Non capita molto spesso che un film riesca a mettere d'accordo critica e pubblico. C'è riuscito The Orphanage, opera prima di Juan Antonio Bayona sospesa tra horror, thriller e fantasy, che riconferma la vitalità della Spagna nella realizzazione di pellicole di genere. Vincitore di sette premi Goya, tra cui quelli per il miglior regista esordiente e per la miglior sceneggiatura, The Orphanage è stato inoltre il candidato della Spagna agli Oscar 2008 come miglior film straniero, senza finire però nella cinquina finale che si è disputata l'ambita statuetta. Come spesso accade per queste piccole opere che diventano subito cult all'estero, l'Italia è ancora una volta l'ultima in fatto di distribuzione. Arriverà infatti solo questo venerdì, in 200 sale italiane, il film che all'estero ha ormai già un anno di vita e che ha potuto contare sul nome di Guillermo Del Toro tra i produttori per suscitare ancora più interesse attorno a un lavoro che innesta nella più classica delle storie horror un'inedita profondità che si rivela nelle relazioni che legano i personaggi. Per presentare il film alla stampa italiana è giunto a Roma il trentatreenne regista spagnolo, Juan Antonio Bayona, che parla di The Orphanage come un omaggio ai film spagnoli coi quali è cresciuto.
Juan Antonio Bayona, quali sono stati i punti di riferimento nella realizzazione di The Orphanage?
Juan Antonio Bayona: Un regista che è stato molto importante per me durante la realizzazione del film è stato Narciso Ibáñez Serrador che ha fatto solo due film, Ma come si può uccidere un bambino? e Gli orrori del liceo femminile (il cui titolo originale è La Residencia, ndr). Già dal titolo del mio film si capisce come quest'ultimo sia stato un punto di riferimento per me. Altri film che mi hanno ispirato molto sono stati The Others di Alejandro Amenabar e Lo spirito dell'alveare di Víctor Erice, un'opera che parla di fantasmi solo indirettamente e visivamente molto illuminante. Inoltre, The Orphanage è stato influenzato anche dai film che vedevo da bambino che non erano propriamente horror, ma più film politici, e che però a me ispiravano un gran terrore.
Ma se dovessi scegliere un solo titolo sicuramente farei quello de La Residencia, un film realizzato nel 1969 ma decisamente avanti per i suoi tempi, sia per la sceneggiatura che per le ambientazioni.
C'è una grande vitalità del cinema spagnolo di genere negli ultimi tempi. A cosa è dovuto secondo lei?
Juan Antonio Bayona: Credo che attualmente in Europa, in generale, si stia facendo il miglior cinema fantasy e horror del mondo. Il cinema americano è caratterizzato da grandi produzioni, che non sempre si rivelano di alta qualità. Il cinema europeo è più interessante perché più trasgressivo, perché sa uscire fuori dai limiti di una categoria, e questo vale non solo per i film spagnoli, ma anche per quelli francesi. In Europa si corrono più rischi, mentre in America si ha più paura di sperimentare.
Com'è nata la collaborazione con Guillermo Del Toro?
Juan Antonio Bayona: Ho conosciuto Guillermo circa quindici anni fa, quando ero ancora più basso e minorenne. A quei tempi mi intrufolavo nei festival fantasy spacciandomi per giornalista perché desideravo vedere più film possibili, e un giorno sono riuscito a intervistare Guillermo, sempre fingendomi un giornalista. A lui è piaciuta tantissimo la mia intervista e ci siamo tenuti in contatto. Quando sono andato alla scuola di cinema gli mandavo i miei lavori e lui non esitava a darmi ogni volta il suo parere. Quando gli ho spedito la mia prima sceneggiatura era entusiasta e la sua fiducia per me è stata molto preziosa.
Lo stile del suo film è classico, quasi barocco. Come ha lavorato alla sua realizzazione?
Juan Antonio Bayona: La scelta dello stile per me non è una cosa pianificata, ma dipende dall'istinto. Per me conta il lavoro della macchina da presa, scrivo una sceneggiatura pensando per immagini. Molto importante per me è la suspense dei film di Hitchcock, che considero una vera e propria scuola. Penso che una storia vada raccontata in maniera classica, con molto lavoro di montaggio. Ci possono essere stili più trasgressivi, ma l'importante per me sono sempre la storia e le immagini.
Una notevole importanza in The Orphanage la hanno anche i luoghi fisici.
Juan Antonio Bayona: Nel film un'importanza cruciale la ha la casa che più che un personaggio, è un vero e proprio stato mentale dal quale Laura, la protagonista, non vuole distaccarsi, perché per lei quella casa è l'infanzia idealizzata, rappresenta una fuga dalle responsabilità. Laura è un personaggio molto infantile che non sa rapportarsi con l'età adulta. Il riferimento in questo caso è chiaramente alla fiaba di Peter Pan. D'altra parte, Laura è anche una donna molto coraggiosa, perché alla fine decide di restare in quella casa da sola. La ricerca della felicità da parte di Laura significa un ritorno a quell'infanzia idealizzata che è incarnata dalla casa.
Perché ha scelto Belén Rueda nel ruolo di Laura?
Juan Antonio Bayona: Conoscevo Belén perché l'ho vista in un lavoro televisivo, è stata interprete di un cortometraggio di un mio amico e naturalmente l'ho ammirata in Mare dentro di Alejandro Amenabar, il regista di The Others che per me è stato un punto di riferimento importante. Quindi la scelta di Belén Rueda rappresentava un po' la chiusura di un cerchio e devo dire che sono stato ampiamente ripagato, perché si è rivelata un'artista fantastica, la scelta migliore per il film. Si è impegnata al massimo e ha dato molto di più di quanto mi sarei mai aspettato.Cosa rappresenta la maschera che Tomás indossa nel film?
Juan Antonio Bayona: Nel film tutti i personaggio hanno un lato negativo. Tomás rappresenta il lato oscuro di Simon, mentre Laura è il riflesso positivo dell'assistente sociale che lavorava all'epoca nell'orfanotrofio. La maschera è uno stratagemma ingenuo di Laura che la usa per nascondere la deformazione del figlio, un tentativo di far indossare un sorriso a un bambino dal volto deformato.
Perché ha deciso di circondarsi di tecnici alla loro prima esperienza in un lungometraggio?
Juan Antonio Bayona: E' vero, The Orphanage non è solo il mio primo film, è anche il primo film per lo sceneggiatore, il direttore della fotografia, il montatore e il compositore delle musiche, tutte persone, comunque, con le quali ho lavorato fin da quando facevo cortometraggi e spot televisivi. E' stata una fortuna che i produttori abbiano accettato la proposta di coinvolgerli nel film, perché di solito preferiscono affidarsi a gente esperta, e questo ha portato un'inedita freschezza al lavoro. Per esempio, quando è arrivato il momento di realizzare gli effetti speciali ci siamo ritrovati senza soldi e non sapevamo così fare. Così, mi sono ricordato che, quando ero professore in una scuola di cinema, avevo un allievo molto bravo nella realizzazione degli effetti speciali. Lui ha accettato il lavoro con entusiasmo, gli ho comprato il miglior computer possibile, e si è messo a lavorare nella cameretta di casa sua. Alla fine, ha vinto il Goya per i migliori effetti speciali.Il film ha avuto un successo internazionale. Ha già ricevuto nuove proposte per i suoi prossimi film?
Juan Antonio Bayona: Come me, c'è un gruppo di registi europei di genere che vengono sommersi da offerte che spesso rifiutiamo perché di scarsa qualità. Attualmente ho un paio di progetti in via di sviluppo. Uno prevede ancora una volta la collaborazione con Guillermo Del Toro e sarà prodotto dalla Universal. La storia parla di un'epidemia di paura che si scatena negli Stati Uniti in risposta al panico diffuso instillato nella popolazione dal governo. Un altro progetto sarà invece realizzato in Spagna perché ho intenzione di continuare a muovermi sia sul mercato internazionale che su quello spagnolo, visto che sono molto legato al mio paese.