John Rambo scende da un sentiero verso delle baracche in riva ad un lago, con la camminata di chi non sta andando in nessun posto perché non vi è posto dove possa sentirsi a casa sua, ma sorridente, con i capelli spettinati e con la giacca e il borsone che ne rivelano il passato nelle file dell'esercito. Arriva dove è sicuro di trovare Delmar Berry, ex commilitone, ex fratello d'armi, ma giunto sul posto gli viene detto che è morto di cancro, a causa di quell'Agente Arancio utilizzato per deforestare le giungle dove i Vietcong si nascondevano. L'uomo si volta, se ne va dopo aver lasciato alla madre di Berry una foto del figlio, e arriva a piedi, da solo, nella cittadina di Hope. Il protagonista - attualmente in sala con Rambo: Last Blood - nato a Bowie, in Arizona, è un ex Berretto Verde di un gruppo scelto per operare in missioni speciali dietro le linee nemiche in Vietnam, dove ha servito per diversi anni, e dove è stato decorato per il valore con la Medaglia d'Onore del Congresso.
Ma lì, ad Hope, dove è arrivato dopo un vagabondaggio che dura da anni, dopo che viene rifiutato fin dal suo arrivo, John Rambo trova sulla sua strada uno Sceriffo intollerante e prepotente. Il resto, come si suol dire, è storia... la storia di uno dei personaggi più iconici del cinema americano, un simbolo dell'America la cui natura e caratteristiche sono più volte cambiate nel corso degli anni, donandogli di volta in volta una luce nuova, facendolo portatore di una miriade di messaggi e tematiche tutt'altro che superficiali. E lui, John Rambo, guerriero tra i più temibili e spirito tra i più dannati, assieme ad arco e frecce, al suo coltello tattico e al resto dell'arsenale, portava con sé lo spirito del suo tempo, del tempo di quell'America che lo aveva creato.
In principio fu un romanzo di David Morell
In Rambo (First Blood il titolo originale), il regista Ted Kotcheff faceva muovere il protagonista secondo un iter che, per quanto ispirato chiaramente all'omonimo romanzo di David Morell, se ne discostava per una natura meno violenta, sanguinaria, ma piuttosto molto più malinconica e disperata.
Morell, autore di talento, per creare Rambo si era ispirato nella fattezze e nell'infanzia povera e drammatica all'eroe della Seconda Guerra Mondiale Audie Murphy, attore di discreto successo nel dopoguerra che per tutta la vita aveva però sofferto per gli orrori a cui aveva assistito mentre si batteva contro i tedeschi.
Esisteva anche un Arthur J. Rambo, caduto in Vietnam e il cui nome è ancora oggi scolpito nella nera pietra del Washington Memorial, assieme a 58mila altri che non tornarono più dall'inferno del Sud-est asiatico.
Rambo Last Blood, il creatore di Rambo attacca il film: "Dopo averlo visto mi sento meno umano"
Lo scrittore canadese, volle inoltre che il nome di Rambo fosse pronunciato in modo da assomigliare a quello del grande poeta Arthur Rimbaud, che con "Una Stagione all'Inferno", aveva infatti creato la disanima di una sofferenza esistenziale, che Morell aveva poi riversato a piene mani nella psiche e nell'esistenza del silenzioso reduce dell'Arizona. Tuttavia il Rambo immaginato da Morell era prima di tutto un ferocissimo assassino, un uomo dalla mente assolutamente fuori controllo, che fermato per vagabondaggio, infine dava libero sfogo ai propri istinti omicidi, seminando di cadaveri la fetta di mondo in cui era finito.
Sylvester Stallone, co-sceneggiatore del film assieme a Michael Kozoll e William Sackheim, decise però di intervenire pesantemente, rendendo Rambo un buono, un anti-eroe sfortunato ed umanissimo, vittima di insensibilità e ingiustizie, responsabile in modo accidentale solo della morte di un vice-sceriffo sadico e crudele. Il risultato fu un personaggio complesso, che il pubblico amò immediatamente e che la critica (sia di destra che di sinistra) intuì in egual modo essere portatore di drammi e realtà che popolavano gli Stati Uniti usciti distrutti dal conflitto Vietnamita. John Rambo, soldato scelto, incapace di reinserirsi nella società americana di quell'epoca, divenne in quell'inizio di anni 80, il simbolo di un paese che si rifiutava di fare i conti con il suo passato.
Il Reduce senza Speranza
Quando arriva ad Hope, John Rambo indossa una divisa con la bandiera americana, ha scarponi militari la classica daily bag da militare, tutti elementi che lo fanno guardare e giudicare con sospetto sia dagli abitanti del piccolo borgo in cui sperava di trovare Berry, sia dallo Sceriffo Teasle (Brian Dennehy).
Lo stesso Sceriffo gli dice senza mezzi termini che lì attorno i reduci del Vietnam non sono ben visti, senza sapere che una delle umiliazioni più cocenti per Rambo è stata tornare ed essere insultato e trattato in con disprezzo dai suoi compatrioti.
Nella cinematografia moderna, si era abituati a vedere i reduci trattati con rispetto, quasi con deferenza; Rambo fu forse il primo a squarciare il velo per ciò che riguardava gli insulti, la rabbia e le accuse con le quali chi aveva servito per il proprio paese in Vietnam, sovente veniva etichettato come "uccisore di bambini".
Il ritorno dal Vietnam: l'orrore continua
Tuttavia tale rabbia era tutto tranne che ingiustificata. Dai primi anni 50 fino al 1975, gli Stati Uniti erano rimasti via via sempre più coinvolti in quel teatro di guerra che aveva visto i francesi soccombere a Dien Bien Phu e dover rinunciare al loro dominio. Anno dopo anno, migliaia di giovani soldati (consiglieri militari così erano definiti) erano stati inviati per fermare l'esercito del nord ed i ribelli vietcong. Nel 1968, a cavallo della famosa Offensiva del Tet, quasi un milione e mezzo di americani combattevano contro un nemico feroce, in un teatro di guerra che portava le truppe all'esaurimento, in cui era sovente difficile distinguere tra amici e nemici. Il risultato fu un'esponenziale aumento di crimini di guerra, massacri, molti dei quali documentati da giornalisti e reporter accorsi da mezzo mondo per parlare di una guerra sempre più impopolare sia negli USA che nel resto del mondo. Particolarmente scioccante fu il famoso Massacro di My Lai, in cui una Compagnia di soldati americani uccise qualcosa come 504 civili, quasi tutti donne e bambini. Il comandante della Compagnia, il Tenente William Calley, fu condannato all'ergastolo, salvo poi essere graziato da Nixon, cosa che non fece che aumentare l'acredine di una grossa fetta della popolazione statunitense, stanca e nauseata da una guerra senza senso.
Moltissimi reduci tornarono a casa e invece di trovare parate in loro onore, ringraziamenti o simili, come toccato ai loro padri reduci dalla Prima e soprattutto Seconda Guerra Mondiale, furono trattati come criminali, come rifiuti della società.
John Rambo è la personificazione di questa generalizzazione disgustosa, compiuta contro uomini che spesso avevano sofferto moltissimo e nella maggioranza dei casi avevano solo cercato di sopravvivere, senza macchiarsi di alcun crimine.
Per chi era contro la guerra, era automatico sovente essere contro quei soldati, tornati agli occhi di molti con la colpa di aver macchiato il ricordo della Generazione Gloriosa, dei padri che avevano sconfitto il demonio dell'Asse.
Rambo però si fece portatore anche di un'altra problematica, più atroce, più intima, a lungo non considerata dall'Esercito, dalla società stessa e che in passato aveva significato un'ulteriore ostacolo per l'inserimento dei reduci nella società: il disturbo da stress post-traumatico.
Con la definizione di "Scemi di Guerra", dopo il primo conflitto mondiale si definivano quegli ex combattenti che presentavano sintomi mai visti prima: tremore irrefrenabile, perdita di controllo dei movimenti, mutismo totale, si sentivano straniati, ipersensibili al rumore, dediti a comportamenti assurdi.
Ma vi erano altri uomini che come John Rambo all'apparenza sembravano normali, come tutti gli altri, ma che in realtà vivevano un incubo ad occhi aperti.
John Rambo alla fine ammette, di fronte al suo ex comandante (l'unico uomo di cui si fida) di soffrire di perdite di memoria, attacchi di panico, rivede continuamente come incubi ad occhi aperti i momenti più terribili e dolorosi della sua esperienza sotto le armi.
La morte degli amici, le torture, la paura, il terrore...dopo sette anni dal ritorno in patria John Rambo è ancora in guerra, quella guerra che gli è entrata in testa, che lo perseguita.
Cercare di dimenticare, tirare fuori dalla testa tutto questo fu ciò che spinse già in Vietnam migliaia di ragazzi verso la tossicodipendenza, che spesso li seguì anche in patria.
Il dramma di questi reduci, dei reduci in generale, di quelli tornati dall'Iraq e Afghanistan che si suicidano o peggio ancora ammazzano i loro familiari, è oggi noto e trattato da libri, documentari, film.
L'esercito degli Stati Uniti (e non solo) ha cominciato ad operare per offrire supporto psicologico ai reduci, per aiutarli a venir fuori dal dramma della loro mente.
Ma all'epoca, al cinema, solo Tornando a casa aveva aperto un primo, timido velo sui disturbi psichici a cui erano affetti i veterani tornati nel loro paese.
Nulla però che potesse paragonarsi alla violenza, al dolore e all'impatto di massa che il film di Stallone (sotto l'alone dell'action) ebbe presso il pubblico.
First Blood, per tematiche e profondità, ha un posto di primissima grandezza non solo all'interno della saga, ma anche del cinema inerente il Vietnam in generale.
Il tutto, anche grazie ad un monologo finale, che rimane uno dei più strazianti e viscerali che si ricordino ancora oggi.
Rambo II e la resa dei conti
La guerra del Vietnam trascinò gli Stati Uniti in un orrore che nessuno poteva preventivare e che comportò per molte famiglie, anche l'orrenda realtà di non sapere che fine avessero fatto i loro figli, se fossero morti oppure vivi.
Qualcosa come 2500 americani erano reputati ancora nelle mani dei vietnamiti già nel 1973, quando durante l'Operazione Homecoming, 600 prigionieri americani erano stati rimpatriati.
La cifra poi scese negli anni a seguire, ma molti dispersi non tornarono mai a casa, secondo molti furono semplicemente dimenticati, lasciati indietro, da una leadership politico-militare che voleva semplicemente chiudere i conti col passato.
Nonostante le obiezioni insite nelle conclusioni portate dalla Commissione del Senato nel 1993 (di cui facevano parte nientemeno che ex eroi di guerra come John Kerry e John McCain), molti reduci nonché membri delle Forze Speciali (tra cui una leggenda come Eric Haney) ancora oggi si dicono sicuri che decine di prigionieri americani siano stati abbandonati nei terribili campi di prigionia vietnamiti.
Già nel primo Rambo, numerosi flashback facevano comprendere cosa avesse passato John Rambo in quei campi quando era stato preso prigioniero: torture indicibili, condizioni di vita orribili, disperazione e morte erano compagne quotidiane.
La triste realtà è che era veramente così, ancora oggi i crimini commessi in quei campi di prigionia hanno ben poco da invidiare rispetto a quelli usati dai giapponesi nella seconda guerra mondiale.
Nel 1985, con un budget di 44 milioni di dollari, ed in piena epoca Reaganiana, George Cosmatos fu chiamato a dirigere Rambo 2 - La vendetta (Rambo: First Blood Part II in originale), con una sceneggiatura curata dallo stesso Stallone e da un grande del cinema come James Cameron.
Al contrario del primo episodio, il secondo era un vero e proprio inno al ritrovato orgoglio patriottico americano, al militarismo imperante, ma anche un'opera di fantasia che in qualche modo mostrava così si sarebbe potuto fare e non si era fatto.
Il film, non accolto molto bene dalla critica ma grande successo in tutto il mondo, vedeva nei soldati americani dei valorosi patrioti, usati e poi traditi dalla politica, dai burocrati, dai Servizi Segreti.
Tornava, in modo abbastanza insistente, la visione di una vittoria che era mancata per colpa della politica, dei giornalisti, del mancato sostegno ai soldati al fronte.
Per quanto assolutamente fuori da ogni realtà, tale asserzione fu rilanciata proprio da questo film, dove Rambo viene salvato dal carcere per essere rimandato nel Vietnam per cercare prigionieri da salvare.
Infine viene tradito, catturato, torturato ancora non solo dai vietnamiti ma da quei russi che in quegli anni eran ritornati "l'Impero del Male", scappa con l'aiuto di una bella vietnamita e infine torna all'assalto, torna per distruggere quel lager e liberare i prigionieri, mette in scena un altro Vietnam, dove stavolta gli elicotteri guidati dai prodi americani trionfano.
I cattivi, sia russi che "gialli", vengono massacrati grazie alla raffinate tecniche di guerriglia, al superiore valore di uno Stallone scolpito nel marmo, selvaggio, furente, testosteronico e con un arsenale da cacciatore, da guerriero apache. Perché a lui quasi non servivano le armi convenzionali.
Ed il vero nemico, sono altri americani, quegli americani che hanno tradito i soldati americani, che li hanno venduti, che non seguono il codice d'onore del "io copro te e tu copri me" che Rambo decantava nel finale del primo film.
In tutto e per tutto, Rambo 2 - La Vendetta, rimane un film simbolo del primo mandato del più propagandistico tra i presidenti americani, del revival patriottico che egli creò in quegli anni, e di quanto il cinema cercasse se non di riscrivere la storia, di ammorbidirla, anche a costo di diventare razzista e machista.
"La prossima volta manderò Rambo" non fu pronunciata per caso da Ronald Reagan. Era il simbolo di una simbiosi culturale e politica che di lì a poco avrebbe prodotto epigoni a non finire...
Rambo III e la Crociata Afgana
Passano quattro anni, la crisi tra Stati Uniti ed Unione Sovietica si fa sempre più profonda, nonostante l'arrivo al Cremlino di quel Gorbaciov che con le sue riforme, la sua perestrojka e glasnost tende una mano all'Occidente, all'America di un ancor più determinato Ronald Reagan.
Il 25 maggio di quell'anno usciva Rambo III, ambientato nientemeno che in Afghanistan, dove dal 1979 si era consumato quello che molti (persino il Colonnello Trautman nel film) avevano definito "il Vietnam Sovietico".
Dieci anni di massacri, di sanguinose imboscate, battaglie inutili per sostituire il Presidente afgano Hafizullah Amin con un fantoccio più gradito ai sovietici, fino a quando proprio ad inizio 1989 (il 15 febbraio, tre mesi prima dell'arrivo in sala del film) Gorbaciov mise fine alla guerra voluta da Breznev, facendo ritirare l'esauste truppe di Mosca da quelle terre inospitali.
A molti l'uscita del terzo capitolo della saga sembrò da un certo punto di vista quasi una gaffe, ma ciò non impedì al film di rastrellare soldi in tutto il mondo, così come di costituire un non indifferente sberleffo mediatico al nemico che di lì a poco si sarebbe dissolto.
Il film fu dedicato "al coraggioso popolo afgano", lo stesso popolo che da lì a poco sarebbe stato abbandonato dagli Stati Uniti in preda ad una guerra civile che avrebbe visto il trionfo dei talebani, futuri nemici della Guerra al Terrore.
Non servivano più a fermare "L'Impero del Male", i profughi non passavano più sulla CNN e i fondi per missili Stinger e latte in polvere non venivano più raccolti.
Il John Rambo ritratto in questo terzo episodio vive in un monastero di monaci buddisti in Thailandia, lavora per loro, combatte in incontri clandestini per pochi soldi. Sembra aver scelto una strada a metà tra l'isolamento spirituale e l'autodistruzione sistematica, dalla quale neppure Trautman, arrivato per reclutarlo nelle operazioni speciali contro i sovietici in Afghanistan, riesce a strapparlo.
Quando però il suo mentore, il suo secondo padre, viene catturato al confine dai sovietici, ecco che il nostro eroe è costretto di nuovo a scendere in campo, pur senza un incarico ufficiale.
Da lì in poi sarà un susseguirsi del meglio della Hollywood "amerikana", con Rambo che si guadagna il rispetto degli arretrati ma coraggiosi afgani, che li supera in coraggio ed ardimento, che li spinge a superare la paura di un esercito sovietico crudele, sanguinario e vile.
Un esercito che però non può reggere il confronto con un super-guerriero come Rambo, che nelle caverne li umilia, li distrugge, che da solo massacra plotoni interi, abbatte elicotteri, distrugge basi...
Il reduce disturbato, ferito, amareggiato del primo film non esiste più, qui John Rambo è il simbolo del potere assoluto della superpotenza americana, è un individuo ancora più indistruttibile del secondo episodio, una macchina da combattimento inarrestabile.
Di pari passo con tale metamorfosi (anche fisica), si accompagna una diminuita complessità dell'eroe, che parla sempre meno, quasi sempre si esibisce in grida belluine, in insulti.
In tutto e per tutto, Stallone prestò i suoi occhi spiritati a quello che divenne un simbolo del "superoismo" americano, della cultura dominante, del modello di riferimento a stelle e strisce.
Un'America che proteggeva i deboli e gli indifesi, che mandava nuovi "giganti verdi dei detersivi" che ripulivano il mondo con il mitra (come spiegato in Full Metal Jacket di Kubrick) ma con una ritrovata forza, con dietro un paese compatto e unito, non come quando sotto i flosci liberali democratici come i Kennedy o Johnson, si era lasciato che il dissenso diventasse imperante.
In tutto e per tutto, la sua crociata afgana era anche l'affermazione di una vittoria contro quella parte di America troppo morbida, troppo poco virile e "legata alla scartoffie" che per fortuna in quegli anni 80 era stata messa da parte, riuscendo così a travolgere Mosca. E a tornare ad essere l'Amerika. Quella con la k.
Il Risveglio dell'Eroe
Dal 1989 del crollo del muro, della ritirata sovietica, del trionfo dell'Amerika, passa un bel po' di tempo, si arriva al 2008, quanto serve a Sylvester Stallone per rilanciarsi e rilanciare i suoi personaggi.
Dopo l'avventura afgana, Rambo si è di nuovo spostato in Thailandia, dove lavora come battelliere e cacciatore di serpenti vicino al confine con la Birmania, paese da secoli scosso da conflitti di natura etnica, massacri e atrocità di cui però l'ex Berretto Verde fa capire di voler stare lontano ad ogni costo.
Troviamo qui un Rambo cinico, disilluso, staccato da tutto e da tutti, che vive completamente da solo, con giornate tutte uguali,e rifiuta ogni contatto con l'esterno, deciso a farsi gli affari suoi.
Sicuramente un Rambo che è pieno di rimorsi e sensi di colpa, che non è riuscito a fare pace con il suo passato perché bloccato in un presente ostile, povero e senza amore.
Rambo e Sylvester Stallone: 10 cose che (forse) non sapete sul suo guerriero riluttante
La situazione resta uguale fino a quando non entra in contatto con un gruppo di missionari protestanti gli chiedono di scortarli lungo il fiume, per permettergli di fornire cibo, medicine e bibbie alla popolazione dei Karen, falcidiata dalle stragi del governo birmano.
Sarà l'inizio di un percorso di redenzione del reduce, che da eremita e misantropo, disilluso da tutto e tutti, abbraccerà una lotta che lo porterà a comprendere quanto non si possa restare con le mani in mano di fronte al male.
John Rambo passo dopo passo accetterà sempre maggior responsabilità, si farà coinvolgere sempre di più in quella lotta di pochi contro molti, di vittime contro carnefici, prenderà il comando di un improvvisato team di mercenari per salvare i missionari, si getterà in una battaglia finale terrificante.
L'America è molto cambiata dai tempi del tronfio raeganismo, è un paese ferito dall'11 settembre, dalle guerre al terrore che invece che risolvere il problema, sembrano averlo complicato e reso più intricato. Il vecchio ma sempre letale Rambo, assurge a simbolo di un paese che è andato in giro per il mondo senza sapere il perché, sprecando le proprie energie in guerre e battaglie inutili, pensando di cambiare il mondo piuttosto che proteggere chi ci viveva dentro. La redenzione, tema centrale di questo John Rambo, passa attraverso non il puro combattere, ma la presa di coscienza del per cosa si combatte. "Muori per qualcosa o vivi per niente" è la frase che più simboleggia il cambiamento tra ciò che Rambo era ad inizio film e ciò che è tornato ad essere: un uomo che agisce, un combattente che sceglie da solo la sua guerra, le sue cause, che non resta a guardare mentre il male trionfa. Vi è qui la rivendicazione di un'iniziativa puramente personale, che slega il personaggio da un rappresentare un paese, una nazione, quegli Stati Uniti da cui si è sentito più volte tradito. Contano le persone, contiamo noi, le scelte che facciamo, senza che una bandiera, un ordine o altro possano salvarci dal fardello ci ciò che vogliamo essere, di ciò che decidiamo di fare quando è il momento. In mezzo al massacro birmano (che solo recentemente si è cominciato ad arrestare) Rambo simboleggia anche il fatto che il mondo è ciò che è, non ciò che vorremmo e che l'ingenuità è quasi una colpa. Perché i cattivi non si ritireranno solo perché lo si chiede, ma perché li si fa retrocedere, e dipende da noi.
L'Ultima Battaglia
Arriviamo a questo Rambo Last Blood che guida lo spettatore in una dimensione narrativa chiaramente connessa al western crepuscolare che fu, ad un John Rambo che vive con poche persone amate nel vecchio ranch di famiglia in Arizona.
Il ritorno al focolare, alle origini - di cui abbiamo parlato nella recensione di Rambo: Last Blood - è però solo una maschera dietro cui il vecchio guerriero nasconde sofferenze, rimpianti e angosce ereditate da tutte la morte che ha donato e visto.
I tunnel che ha scavato sotto il suo ranch, sono il suo rifugio e la sua prigione, sono la scatola dove nasconde la sua natura feroce, i suoi istinti omicidi, la sua rabbia ed il suo dolore.
La guerra non lo abbandona mai, come la certezza di aver sbagliato molto e a lungo, di non aver più modo di rimediare, ma rimane convinto nel voler difendere le persone a cui tiene, difendere ciò che ritiene giusto.
Si muove in un mondo popolato da persone che non lo capiscono e da cui non ci tiene troppo ad essere capito, in virtù del suo essere un sopravvissuto a sé stesso.
Il fragile equilibrio viene interrotto dal rapimento della figlioccia Gabrielle, figlia dell'amica Maria, che ha cresciuto come un padre, salvo ritrovarsela venduta da dei mercanti di ragazze messicani.
La sua vendetta è quella patriottica, quella degli Stati Uniti contro il Messico che travalica i confini, ma è anche rovesciamento assurdo delle parti, dal momento che per sconfiggere gli squadroni della morte messicani, Rambo utilizza contro di loro le tattiche e le trappole che i Vietcong tanti anni prima avevano usato contro di lui.
Da aggressore in terra straniera, Rambo per la prima volta difende al propria, difende metaforicamente la vecchia America, quella dei padri, quella maciullata nei principi ed ideali da quella 2.0 del nuovo millennio.
Non capisce questa nuova America, fatta di musica hip-hop, ragazzi che invece di legarsi alla loro casa partono per altri lidi, che non seguono il consiglio di chi è più anziano ma fanno di testa loro, capaci di vendersi per invidia o un braccialetto.
Alla fin fine però, in questo quinto ed ultimo capitolo, la vendetta che Rambo cerca è anche contro sé stesso, contro il mondo che lo circonda, accetta la sua sorte, ma senza alcun dubbio o remora sul fatto che l'affronterà in piedi.
La sua è l'America profonda, quella dimenticata da gran parte del cinema, dove nulla o quasi è cambiato nelle persone che la abitano, dove la Frontiera è ancora viva con la sua pericolosa sfida quotidiana.
In un tempo in cui il paese non sa più chi è e cosa è diventato, in cui il futuro è nebuloso, John Rambo in questa sua ultima difesa si arrocca a difesa dell'America che fu, dell'America che può ancora essere, ma che per restare tale deve essere difesa, ha bisogno di uomini di valore.
E poco importa se per trovarli bisogna guardare sempre più indietro, a chi magari pensava di godersi la pensione...
Non sappiamo se rivedremo più John Rambo, se davvero è finita con questo ultimo capitolo, questo Last Blood. Sappiamo solo che le metamorfosi che ha subito da quell'inizio di anni 80, in cui rappresentava l'animo ferito e sofferente dell'America, la Generazione Perduta a Saigon, sono state continue ma mai banali. Da reduce fragile ed impaurito è divenuto l'ambasciatore dell'America della riscossa, raeganiana, piena di orgoglio e pronta a riprendersi dopo la batosta vietnamita, infine unico superstite di un mondo, di un paese, che non c'è più, dell'America degli uomini con una sola parola, che tengono al posto in cui sono nati. Del resto, quanto è cambiato il paese da cui proviene Rambo? Quanto è restato in fondo lo stesso? Un po' come lui, sempre chiuso in un silenzio che copriva la sua natura guerriera e ferale, il suo simboleggiare quelle migliaia di ragazzi mai veramente tornati come prima da quella tempesta chiamata guerra.