"Il cinema mente, lo sport no". È con questa frase di Jean-Luc Godard che si apre il film al quale dedichiamo questa recensione di John McEnroe - L'impero della perfezione, particolarissimo documentario del regista francese Julien Faraut sull'indimenticabile campione americano di tennis, premiato come miglior film alla 54° Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, e nelle sale dal 6 maggio. È un film che prende spunto da una serie di filmati didattici di Gil de Kermadech, nati per osservare posture e movimenti dei migliori tennisti, per diventare una riflessione inedita sul tennis e su uno dei personaggi più importanti e iconici di questo sport.
Dopo aver visto John McEnroe portato sul grande schermo con il volto di Shia LaBoeuf nel film di finzione Borg/McEnroe, ecco il vero McEnroe ripreso dalle telecamere, in immagini di repertorio, con punti di vista inediti: ma non aspettatevi un classico, glorioso documentario sulla sua vita e le sue imprese, perché si tratta di un ritratto in bilico tra la cinefilia e la vivisezione scientifica dei movimenti e della psicologia del tennista. In ogni caso, qualcosa di mai visto prima.
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La trama: dai filmati didattici al Roland Garros
La trama di John Mcenroe - L'Impero della Perfezione... non c'è. Ci sono una serie di immagini nate dall'idea di Gil de Kermadech, che aveva pensato di creare dei filmati didattici sul tennis. I primi esperimenti erano simili a quelli che oggi chiamiamo "tutorial", con una serie di tennisti che, da fermi, riproducevano i movimenti corretti per giocare. Resosi conto che queste immagini non funzionavano, Gil decise di riprendere, in occasione dei tornei del Roland Garros, i migliori tennisti in circolazione, per poi isolarne il gesto tecnico. Così nel progetto è entrato anche John McEnroe, che nel 1985 era il n.1 del mondo per il quarto anno consecutivo.
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Fissare il movimento dell'atleta: come nell'arte classica
Si tratta quindi di immagini molto particolari: non la ripresa televisiva della partita di tennis, in campo lungo e con entrambi i giocatori. Ma, spesso, una mdp fissa su un unico giocatore, che in questo modo sembra trovarsi in una sfida con se stesso. Vedere il gesto atletico di un servizio ripetuto in sequenza, al ralenti, fino quasi a fermarsi, estratto dal contesto della gara, è straniante, ma anche molto affascinante. Il ralenti è la decomposizione del movimento. Quell'immagine riesce a fissare in un'icona il gesto atletico in un modo molto vicino alla rappresentazione che ne faceva l'arte classica, con la scultura. Il McEnroe fermo e la sua torsione nell'atto di fare un servizio ci ricorda l'immagine di un discobolo scolpita nella pietra, e fissata per sempre nella memoria.
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John McEnroe: tra Robert De Niro e Tom Hulce
Ma John McEnroe - L'Impero della Perfezione abbandona ben presto lo studio dei movimenti del campione del tennis per aprirsi ad altre riflessioni. Ad esempio, McEnroe ci viene presentato come un "regista" in grado di fermare il tempo. Essendo un "attaccante", in una partita è spesso lui che decide quando dire "stop" all'azione, quando chiuderla, con le sue volee e i suoi smash, le sue azioni sottorete. Ma, volendo continuare i paragoni con il cinema, il nostro John ci è sembrato anche un grande attore. Perché, proprio nel momento in cui pensavamo che il film isolasse i momenti di pura tecnica, comincia a soffermarsi sulla sua indole, passionale e iraconda.
Da un punto di vista inedito, non dalla solita angolazione della telecronaca, ma più da vicino, e con l'audio, assistiamo alle sue animate discussioni con gli arbitri e i giudici di linea. E quel "Why can't you show me the mark?" (perché non puoi mostrarmi il segno, quello della palla sulla terra rossa), ripetuto in modo aggressivo e ossessivo, ci sembra degno di un grande personaggio del cinema, una frase indelebile come il "You talkin' to me?" del Travis Bickle di Robert De Niro in Taxi Driver. A proposito di attori, grazie a questo film abbiamo saputo che Tom Hulce, per il suo ruolo di Mozart in Amadeus, si è ispirato proprio a John McEnroe.
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L'impero della perfezione
E dai movimenti tecnici, alla collera, si arriva poi alla lettura psicologica del fenomeno McEnroe. Perché quella perdita di controllo, che per ogni atleta assoceremmo naturalmente alla sconfitta, per McEnroe è una carica, è un tirare fuori il leone dalla gabbia. È qualcosa che non gli fa perdere efficacia. Secondo l'analisi andrebbe ricercata nella sua natura di perfezionista che pretende che anche gli altri (arbitri e giudici di linea) lo siano. Il vero perfezionista è in gara con se stesso, non appare mai soddisfatto, ha un desiderio feroce di vincere. Attraverso l'ostilità, quella dell'arbitro e del pubblico, trova la molla per dare il meglio. John McEnroe - L'impero della perfezione, in un modo unico, riesce a raccontarci tutto questo, e anche a farci vivere (per chi non ricorda come andò a finire) la finale del Roland Garros del 1984 contro Ivan Lendl, scandendone il tempo, con la suspense di una gara vissuta in diretta. Per poi farci sapere un dato, che ci spiega perché si parla di perfezione: il 96,5% di gare vinte da John McEnroe in una stagione.
Conclusioni
La recensione di John McEnroe - L’impero della perfezione ci racconta un film che è un ritratto in bilico tra la cinefilia e la vivisezione scientifica dei movimenti e della psicologia del tennista. Colto, ricercato, ma alla fine anche appassionante, è un viaggio nel mondo di John McEnroe mai visto prima.
Perché ci piace
- Il film raccoglie immagini di repertorio inedite del grande tennista al Roland Garros, da angolazioni mai viste, e quindi molto preziose.
- La bellezza delle immagini al ralenti fissa il gesto atletico come riusciva a fare l’arte classica nelle sculture.
- In modo originale riusciamo a saperne di più del personaggio McEnroe: non solo tecnica, ma anche psicologia.
Cosa non va
- Non è il classico documentario sportivo che racconta la vita di un atleta: se vi aspettate questo, potreste rimanere spiazzati.
- È un film di nicchia, per appassionati di tennis o per cinefili affascinati dallo studio dell’immagine.