Lo scopo del terrorismo è colpire dove fa più male: in un mercatino di Natale pieno di famiglie, in un locale dove dei ragazzi stanno ballando o ascoltando la loro musica preferita. Imprevedibile e difficile da contenere, un attacco fa vittime senza distinzione di sesso, razza, credo religioso o politico perché spara letteralmente nel mucchio. In questo modo si crea una situazione di paura e tensione, da cui è difficile uscire una volta che gli attacchi si accumulano uno dopo l'altro.
Uno di questi è quello alla maratona di Boston, avvenuto il 15 aprile 2013, in cui hanno perso la vita tre persone e il conto dei feriti si è fermato a 264. Tra questi c'è Jeff Bauman, ragazzo di 27 anni, accorso al traguardo per sostenere Erin, la ragazza di cui era innamorato. Colpito in pieno dall'esplosione, Jeff ha perso entrambe le gambe. Grazie a un percorso doloroso, sia fisico che mentale, Bauman è diventato un simbolo per gli americani, la prova che si può sopravvivere al terrore.
La storia di Bauman, raccontata nel romanzo Stronger, scritto a quattro mani con Bret Witter, è ora un film diretto da David Gordon Green, con protagonista Jake Gyllenhaal, che per il ruolo ha lavorato molto sul fisico, trasformandosi completamente, come ci ha abituato con le sue ultime interpretazioni. Bauman e Gyllenhaal hanno presentato Stronger alla 12esima edizione della Festa del cinema di Roma, dove hanno raccontato come la storia del ragazzo di Boston sia ormai un esempio di speranza e forza di volontà.
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Da un ristorante italiano ai festival più importanti del mondo
Quando hanno proposto a Jeff di trasformare il suo libro in un film, il ragazzo immaginava Ryan Reynolds come interprete di se stesso, ma la scelta è invece ricaduta su Jake Gyllenhaal: "La prima volta che ci siamo incontrati con Jake è stato in un ristorante italiano a Boston: quindi essere qui in Italia è un po' la chiusura del cerchio" ha detto Bauman alla stampa, spiegando come l'etichetta di "eroe" lo faccia sentire a disagio: "Non mi piace per nulla la parola eroe: i veri eroi sono altri, come le persone che hanno salvato la mia vita quel giorno o quelle che mi hanno accudito. Ero lì per amore, per amore di mia moglie, della madre dei miei figli. Era la mia prima maratona, avevo fatto un cartello, che vorrei avere ancora. Esserci e partecipare, incontrare la gente è sempre stato qualcosa che mi viene spontaneo".
Per Gyllenhaal interpretare Jeff è stata una sfida che è orgoglioso di aver accettato, tanto da figurare anche tra i produttori: "Quando mi è arrivata la storia ho capito che mi avrebbe insegnato qualcosa di me che ancora non sapevo, come fanno sempre tutte le grandi storie. Non conoscevo Jeff, se non dalle fotografie di quel giorno. È una storia di sopravvivenza, di dolore, di come possiamo uscire dai momenti più difficili della nostra vita. Mi ha molto ispirato. Jeff per me è una luce: ha una qualità speciale che è difficile da trovare. Mentre andavo al ristorante pensavo di non poter interpretare una persona del genere, non pensavo di avere quello che ha lui: la capacità di sopravvivere. Quando l'ho incontrato ho scoperto che è una persona gentile e fantastica: allora ho cominciato a credere di poterlo fare".
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Essere forti sta nelle piccole cose
Bauman ha apprezzato il lavoro fatto da Green e Gyllenhaal, perché non nasconde i momenti difficili del suo percorso: "Amo il fatto che il film mostri sia i momenti bui, come quando torno a casa la prima volta e mi butto nella doccia, oppure quando mi sono allontanato da Erin, cadendo in un buco di depressione, e poi anche il processo grazie a cui sono riuscito a uscirne. Non bevo da 16 mesi, vedo un terapista regolarmente: grazie al film ho visto chiaramente i miei errori e ora so che posso essere una persona migliore, non bevo, cerco di essere un bravo padre".
Gyllenhaal ha ammesso invece di aver imparato cosa vuol dire essere forti: "La cosa più potente che ho imparato dell'essere forti, o eroi, viene dalle piccole cose: sono quelle che ci commuovono di più quando pensiamo di non riuscire a fare qualcosa o cerchiamo di aiutare chi amiamo. Esserci per qualcuno è la cosa più bella che possiamo fare: le vere relazioni si basano su questo. La cosa più importante che ho imparato è che devo ancora imparare molto su questo".
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Trattare tutti come se avessero il cuore spezzato
Per interpretare al meglio il ruolo di Bauman, Gyllenhaal si è documentato molto sul disturbo post traumatico da stress, tipico di chi torna dal fronte dopo esperienze sconvolgenti: "Una volta un soldato mi ha detto che bisognerebbe trattare tutti come se avessero il cuore spezzato: tutti dobbiamo affrontare dei problemi, viviamo quotidianamente delle battaglie personali e per essere dei buoni esseri umani dobbiamo ricordarcelo. Il mondo e l'America stanno vivendo un momento molto difficile: la vera forza secondo me sta in qualità che sono considerate debolezze, sta nel capire che dobbiamo essere comprensivi. Non volevamo fare un film retorico: è un periodo confuso, quello che era importante per noi era il dolore che Jeff stava vivendo e il suo viaggio. Il tema è il trionfo dello spirito umano e questo non può esserci senza il dolore. La particolarità della storia di Jeff sta nell'essere diventato un simbolo e contemporaneamente aver vissuto un percorso molto difficile e doloroso. Niente è semplice. È per questo che la sua storia è importante: anche i simboli non sono esenti da difetti. Intorno a Jeff ci si sente meglio: concerlo è una fortuna. È una persona incredibile".
D'accordo Bauman: "Credo che realizzare il libro e il film mi abbia dato la possibilità di mostrare al mondo che si può sopravvivere a una cosa terribile come un attentato terroristico. Credo che questo film dia una speranza a chi è disabile, facendogli capire che non è solo e che si può sopravvivere. La parte più difficile della mia ripresa è stata proprio tornare ad aprirmi alle persone".
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Una dichiarazione d'amore per la sorella Maggie
A proposito di persone che sanno ispirare, Gyllenhaal ha parlato di sua sorella Maggie, anche lei attrice, in questi giorni protagonista della serie HBO The Deuce: "Siamo stati cresciuti, proprio come Jeff, da due persone incredibili e molto complicate. Per mia madre e mio padre è sempre stato importante che noi credessimo in tutto ciò che facciamo: questa idea si è instillata dentro di noi, nel bene e nel male. È questo che dà benzina alla nostra passione e forse per questo abbiamo scelto entrambi di essere attori, una professione molto difficile. Da mia sorella ho imparato molto, soprattutto su che cosa voglia dire essere un'attrice in questa industria, e ho capito che cosa voglia dire essere femminista. Lei è mia sorella maggiore e mi ha insegnato tanto: a volte riusciamo a fare un buon lavoro, a volte no, ma ci crediamo sempre".