Non è semplice scrivere una recensione di Irradiated, il nuovo film del regista cambogiano Rithy Panh in concorso a Berlino 2020. Non lo è essenzialmente per due motivi: perché la sua composizione visiva (e non usiamo questo termine a caso) è particolare e difficile da raccontare senza poterla fruire in prima persona; in secondo luogo perché quello che ci viene mostrato è drammatico, atroce quanto necessario, e non è facile evocare a parole le sensazioni che ci ha lasciati la visione del film, la sofferenza, il disagio e un dolore quasi fisico.
Il male degli uomini
Irradiated apre sulle mani di un uomo che costruisce un modello di cartone di una casa, per poi conservare al suo interno un oggetto prezioso, come in un santuario: una foto di famiglia. È il punto di partenza di un viaggio nella sofferenza, un cammino doloroso fatto di immagini di conflitti, esplosioni e tragedie. Di ferite, torture e morte. Funghi atomici, bombe, corpi. Tragedie uniche della storia dell'umanità che Rithy Panh ci propone in modo ossessivo, senza risparmiarci nulla, insistendo e indugiando per raccontare la storia di chi è sopravvissuto a tutto ciò.
L'irradiazione del male
Irradiated racconta di loro, di chi ha subito questa irradiazione, fisica e psicologica, del male. Il regista sa che non c'è modo per descrivere a parole quel che si prova ad aver vissuto esperienze del genere, prova allora a raccontarlo con la forza di immagini spietate e sofferte. Fa male guardare l'ultimo film di Rithy Panh. Fa male agli occhi e al cuore. Ci si sente impotenti al confronto del male che l'uomo riesce a compiere, incapaci persino di piangere. Annichiliti, anche perché consapevoli che tragedie di tale portata non smetteranno mai di esistere, motivo in più per realizzare opere di questa portata emotiva. Per mostrare, mettere in guardia e coinvolgere.
Bombardamento di immagini
È però necessario spendere qualche parola anche sull'aspetto puramente tecnico e sull'incredibile lavoro di montaggio che il regista ha curato in prima persona. Pur con alcuni inserti realizzati appositamente con gli attori, Irradiated è di base un film di montaggio, con immagini che scorrono inesorabili sullo schermo diviso in tre quadri separati, che vivono a volte distinti, a volte collegati tra loro: ci sono infatti momenti del film in cui le tre porzioni di schermo propongono immagini diverse e indipendenti, altre in cui è il medesimo filmato a essere proposto per tre volte, altre in cui la sequenza mostrata si apre a invadere tutto lo schermo. Il tutto mentre un voice over di testimonianze e commento accompagna quel che vediamo. Un lavoro di ricerca e composizione impressionante, che riesce a trasmettere con spietata abilità l'intenzione e il prezioso messaggio dell'autore.
Conclusioni
La sofferenza vissuta durante la visione ci accompagna fino alla conclusione di questa recensione di Irradiated. Il film di Rithy Panh è un affresco doloroso e tragico, necessario per il messaggio che trasmette e incredibile dal punto di vista della realizzazione tecnica, con un lavoro di composizione e montaggio unici. Ma proprio per la sua struttura e la sua carica emotiva non è adatto a chiunque.
Perché ci piace
- L’incredibile lavoro di montaggio e composizione del quadro del film.
- Il messaggio, prezioso e necessario.
- La capacità di coinvolgere e trasmettere il dolore.
Cosa non va
- Per struttura e potenza, non è un film fruibile da chiunque.