Io rimango qui, la recensione: La vita non è fatta per i codardi

La recensione di Io rimango qui, un film che celebra la vita attraverso il genere sick romance: ispirato alla vera storia di Steffi Pape, affetta da un cancro incurabile e determinata a vivere pienamente ogni istante della sua breve e giovanissima esistenza.

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Io rimango qui: Sinje Irslinger in una scena

"Dio, sei proprio un coglione", recita la frase che dà il titolo (originale) al film (Gott, du kannst ein Arsch sein!) e che la protagonista si tatuerà sul petto nel bel mezzo di una notte folle durante la sua fuga da casa. André Erkau porta sul grande schermo la storia vera di Steffi, raccontata nell'omonimo libro dal padre della ragazza che morirà giovanissima quasi un anno dopo la diagnosi di cancro e con un mondo ancora da esplorare. In che modo lo abbia vissuto nel breve lasso di tempo che la separava dalla fine, lo scopriremo nel corso della recensione di Io rimango qui, in sala dal 20 maggio, una storia sulla caducità del tempo, sul dolore e la scelta di vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, perché la vita non è fatta per i codardi, parafrasando il titolo di uno dei lavori precedenti del regista, Life Is Not For Cowards.

Un classico teen movie tra carpe diem e omaggio alla vita

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Io rimango qui: un momento del film

Il film ripropone il classico pattern da teen movie: l'innamoramento adolescenziale, l'irruenza della gioventù ribelle, la malattia che diventa brutalmente epifanica, il sapore delle prime volte, il desiderio di vivere pienamente ogni istante perché potrebbe essere l'ultimo.
"Come può iniziare una grande storia d'amore se sai che è destinata a finire? Come ogni altra storia ciò che conta è il viaggio, [...] perché a volte è così bello che dimentichi dove stai andando": la voce fuori campo di Steffi su un paesaggio al tramonto in un imprecisato e bucolico laghetto della campagna tedesca, ha il compito di dichiarare sin dall'inizio le intenzioni di Io rimango qui, rivolgersi a un pubblico di adolescenti.
È la festa del liceo, Steffi ha sedici anni e si è appena diplomata: è giovane, innamorata ed è in partenza per Parigi dove col fidanzato faranno l'amore per la prima volta. Ma tutto è destinato a cambiare dopo una visita medica obbligatoria per il test di reclutamento che dovrà sostenere per entrare in polizia. La diagnosi è un colpo duro: non le resta molto da vivere, solo pochi mesi. Ma Steffi non ha nessuna intenzione di rinunciare al viaggio: contro il volere dei genitori, scappa di casa per raggiungere Parigi grazie all'aiuto di Steve, un ragazzo conosciuto da poco che lavora in un circo; anche lui per motivi diversi si ritrova a cercare la fuga.

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Io rimango qui: Max Hubacher e Sinje Irslinger in una scena

Insieme a bordo del vecchio pick-up regalatole dal padre, partono alla volta della Francia: sarà l'inizio di un viaggio di formazione, un'avventurosa e rocambolesca avventura con padre e madre di lei alle calcagna e la voglia di annegare nel mondo fuori.
Il regista sposa il linguaggio del sick movie con la scoperta della malattia che irrompe nella quotidianità e spinge all'estremo le decisioni dei personaggi; Erkau sceglie poi di declinare l'intera storia attraverso la narrazione tipica del road movie. Peccato sia tutto molto edulcorato ed estremamente banalizzato nella scrittura come nella regia priva di coraggio e della capacità di trovare una dimensione propria tra le convenzioni del genere.

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Protagonisti e cliché

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Io rimango qui: Sinje Irslinger in un momento del film

I protagonisti della vicenda restano prigionieri dei cliché, orfani di una caratterizzazione che permetterebbe invece allo spettatore di empatizzare con loro: difficile sospendere l'incredulità. Non aiutano gli ambienti patinati, né i dialoghi appesantiti dalla retorica che assumono tutt'altro respiro quando fanno timidamente spazio ai pochi siparietti ironici.
Nota di merito per l'attrice protagonista, Sinje Irslinger, la vera rivelazione di Io rimango qui, una ventata di freschezza in un film monocorde, che nel suo impianto monolitico non permette un'evoluzione organica della storia e dei personaggi. Ogni incontro di Steffi si consuma in una manciata di minuti, senza che possa effettivamente lasciare il segno, mentre Max Hubacher (Steve) è troppo impegnato a scimmiottare James Dean per essere credibile nel ruolo del bello e dannato. La figura dei genitori che inseguono Steffi per tutto il viaggio, fatica a trovare una collocazione che non sia quella di un espediente narrativo fine a se stesso. Resta sullo sfondo l'intera dimensione emotiva, che anche lo spettatore meno esigente aspetterà inutilmente di poter assaporare tra una corsa e l'altra on the road insieme alla coppia di giovani interpreti.

Conclusioni

Alla fine della recensione di Io rimango qui resta la consapevolezza di una storia pensata per un pubblico di adolescenti, ma rimane anche il dubbio di come gli stessi possano apprezzare un film senza anima. Imbrigliato oltremisura nelle convenzioni del genere sick romance (l’innamoramento adolescenziale, l’irruenza della gioventù ribelle, la malattia che diventa brutalmente epifanica, il sapore delle prime volte, il desiderio di vivere pienamente ogni istante perché potrebbe essere l’ultimo) il rischio è che l’assenza di un piano emotivo e di personaggi credibili in cui riconoscersi, possa lasciare indifferenti anche i giovanissimi.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
5.0/5

Perché ci piace

  • L’attrice protagonista, Sinje Irslinger, è la vera rivelazione del film, una ventata di freschezza insieme ai rari momenti in cui i dialoghi fanno spazio a un registro più leggero.
  • La metafora del carpe diem e delle scelte folli, dettate dalla consapevolezza delle ultime volte.

Cosa non va

  • La narrazione della malattia e dell’amore adolescenziale si sviluppa attraverso le regole del road movie, ma tutto risulta edulcorato ed estremamente banalizzato nella scrittura come nella regia priva di coraggio e della capacità di trovare una dimensione propria tra le convenzioni del genere.
  • I personaggi si riducono spesso a cliché e le dinamiche relazionali si risolvono in maniera superficiale e frettolosa, privando la storia di qualsiasi forma di empatia.