L'Italia non è un paese per animatori. Non lo è stato tradizionalmente, forse non lo è neanche ora al netto di qualche studio che riesce a imporsi e qualche artista che riesce a farsi notare. Ma forse i tempi sono maturi per poter cambiare la situazione e dar sempre maggior spazio a grandi animatori del nostro paese, permettendo loro di realizzare le opere che sentono nel modo che ritengono più congeniale. Uno di questi grandi autori è sicuramente Simone Massi, con una lunga esperienza nel campo dei cortometraggi animati e finalmente approdato alla forma più complessa e ambiziosa del lungometraggio. Parliamo di Invelle, presentato già a inizio settembre alla Mostra del Cinema di Venezia e ora anche alla Festa del Cinema di Roma. Un progetto interessante e di grande valore artistico di cui vi abbiamo già parlato nella nostra recensione scritta a Venezia e che ci siamo fatti raccontare proprio dal suo regista.
Come nasce Invelle? Dal mondo dei corti al lungometraggio
"Devo fare una piccola premessa" ci dice Simone Massi quando gli chiediamo come nasce un progetto ambizioso come il suo Invelle, "io ero stanco del cortometraggio. Era un modo di espressione che consideravo e considero chiuso. Accetto di far cortometraggio non più su soggetti miei, ma su lavori commissionati. E nel momento in cui capisco questa cosa, più o 15 anni fa comincio a a pensare a questa idea del lungo, che mi era stata proposta varie volte in passato ma per la quale non mi sentivo pronto." Il momento però alla fine è arrivato, e siamo grati che sia stato così vista la qualità di questo primo lavoro, ma le difficoltà non sono state poche nell'approccio: "È una sorta di rivoluzione per uno che per 25 anni o più ha fatto cortometraggio. Non è semplice. Quindi mi sono aiutato in qualche modo: intanto la storia è quella della mia famiglia, ma che un po' di tutti i contadini di quello spicchio delle Marche e non solo. E poi ho anche pensato, come dire, di ridurre il rischio concependo la storia come fossero tre mediometraggi. Questo mi rassicurava molto."
Una scelta iniziale che ha reso più semplice l'approccio iniziale al lavoro, ma "in realtà lavorando ho scoperto che era più semplice di quello che pensassi, nel senso che bastava, tra mille virgolette, concepire le scene come come dei cortometraggi. All'epoca non lo sapevo quindi avevo un po' di paure perché è un salto veramente enorme passare da una durata di di 5 minuti a una di 80/90." Un grande salto per il quale si è appoggiato a "quello che conoscevo meglio", qualcosa di radicato nella sua memoria, "la storia che mi ha raccontato negli ultimi momenti della sua vita la mia nonna materna, Zelinda appunto. Quella e le altre storie che ho raccolto, perché sono molto legato alla terra al territorio, alla memoria, agli anziani e ho sempre ascoltato con grandissimo piacere non solo i parenti ma anche i vicini di casa e tante altre persone e tutte queste storie, mi facevano dire ogni volta non è possibile che tutto quello sia successo."
Vite innocenti sullo sfondo della Storia con la s maiuscola
"Sono dei racconti inconcepibili per questa epoca" ci dice ancora Simone Massi, "drammatici. Ma straordinari nella loro drammaticità e io mi sono ritrovato spiazzato perché storie del genere messe nelle mani di un romanziere russo, per esempio, sarebbero dei capolavori universali. Io non intendevo e non ho questa pretesa di fare un capolavoro, ma ritenevo e ritengo giusto che queste che queste storie non vadano perdute." È evidente che sia questa attenzione al passato, alle radici e alla sua terra la preoccupazione maggiore dell'autore, che da tutto questo materiale ha iniziato a costruire il suo film. "Ho cominciato a mettere insieme il materiale, alcune cose scritte, alcune registrate, altre semplicemente ricordate, e a tracciare le linee. Questi tre blocchi, queste tre epoche storiche." Così nasce Invelle, raccogliendo tutte queste testimonianze attorno a dei capisaldi: "C'è la casa, la terra, il borgo che poi negli anni viene abbandonato da tutti."
"Oltre a queste storie" aggiunge Simone Massi, "c'è la storia, quella con la S maiuscola, quella che finisce nei libri, che ci ci viene insegnata e raccontata a scuola e nei canali tematici." Quel qualcosa di enorme, intangibile, che fa parte e deve continuare a far parte della memoria collettiva. "Però" si affretta ad aggiungere, "dal mio punto di vista i protagonisti dovevano essere questi bambini, questi innocenti che hanno le loro piccole storie che che andranno perdute, ma alle loro spalle invece c'è qualcosa di enorme, la Storia che tende a fagocitarli e all'interno della quale ognuno di loro si ritrova senza colpe e che cambia completamente le loro vite."
L'animazione può salvare la crisi della sala cinematografica?
Realizzare Invelle
Quando affrontiamo l'aspetto stilistico di Invelle, in linea con quello consolidato dell'autore, Massi ci parla di una produzione inizialmente travagliata: "Inizialmente c'era una produzione francese che insomma aveva delle idee e tendeva a stare attenta a tutto tutto quello che facevo." Molti input in quella fase, su cose a cui stare attenti per aiutare lo spettatore, a didascalie da inserire per spiegare e altri vincoli. "Non è la maniera migliore di lavorare. Lo faccio, perché sono un professionista, una persona seria, ma rischio di fare un cattivo lavoro, di fare un compitino." Non vuole usare la parola "artista" Simone Massi, ma il punto essenziale è proprio questo: ci troviamo al cospetto di un grande artista dell'animazione che deve poter lavorare come ritiene opportuno per esprimere la propria visione. D'altra parte "per 30 anni ho fatto il lavoro in una certa maniera e ha avuto un certo riconoscimento. Quindi la paura non non è concepibile perché ha prodotto dei risultati."
Una fase di passaggio, per fortuna, perché "è diventata predominante la produzione italiana che invece ha dato completa libertà e a quel punto lì la storia è tornata ad essere mia." Una premessa doverosa se parliamo dello stile di Invelle, perché "se avessi avuto dal principio questa libertà, molto probabilmente io avrei fatto il pazzo e l'avrei fatto tutto in piano sequenza. Questa libertà inizialmente non l'ho avuta e quindi ci sono degli stacchi. Ho cercato poi di rimetterci mano, di farli funzionare perché non è che potevo darla vinta ai francesi, e dalla seconda e la terza parte si vede questa libertà ritrovata perché ho avuto il piacere di concepirli fin dall'inizio come piani sequenza, con questo che caratterizzava anche i miei cortometraggi."
L'importanza del linguaggio
Una possibilità per la quale si sente di ringraziare la produzione in generale e Salvatore Pecoraro nello specifico, che ha assicurato a Simone Massi anche un'altra libertà altrettanto rischiosa: quella di realizzare il film nel dialetto di Pergola, "che conosciamo in quattro persone". Una scelta che dà autenticità, ma è "anche una forma di rispetto. Io batto molto su questo tasto nei confronti di chi era costretto a parlare in dialetto, perché non ha potuto studiare. Poi ho fatto un lavoro che, contro ogni pronostico, dà una grande dignità al nostro dialetto, perché dopo anni di ricerca ho editato un volume che si chiama Abbecedario del dialetto Pergolese. Ho raccolto decine di migliaia di vocaboli e la maggior parte di questi risalgono all'italiano antico del duecento. Quindi è quello che noi, da stupidi, abbiamo buttato nel cestino perché nessuno parla più. È stato un tesoro custodito dai contadini, dagli analfabeti perché non avevano altra espressione. Negli anni '70 questo tesoro l'abbiamo buttato, ma in questa mia convinzione di non vergognarsi di quello che siamo stati, ho cercato di recuperarlo."
Un'attenzione al dialetto locale che non ha impedito a Simone Massi di aggiungere voci importanti al cast vocale di Invelle. "Una scelta che in parte era già in sceneggiatura, in parte aggiunta dopo. Sapevo dall'inizio che ci sarebbe stato García Lorca così come altri aspetti. Speravo che si potessero concretizzare alcune idee, non solo di aggiungere attori famosi, ma attori famosi di un certo tipo. Guardavo anche al tipo di persona, perché con me lavorano persone che conosco, che stimo, che so cosa possono darmi non solo tecnicamente ma anche come persone. Figure come Stefano Sasso, Alberto Girotto, Lola Capote, perché per me la persona è sempre al primo posto." E questo ha applicato anche alla scelta delle voci: "Quando ho pensato agli attori guardavo quello che avrebbero portato, come recitazione, come fama, perché è inutile nascondersi serve anche quello, ma dovevano essere di un certo tipo. Quindi per dire Andrea Baliani, Giovanna Marini, che magari sono meno noti di Filippo Timi o Toni Servillo, ma io sono stato veramente orgoglioso di averli nel mio film, perché loro oltre a essere dei bravissimi artisti sono delle persone eccezionali."
Il valore del sonoro
Invelle è un film di grande impatto visivo, ma non va trascurata la componente sonora. "Tutta l'attenzione, la meticolosità che metto nella composizione, i personaggi, la postura e anche il fuori sincrono del labiale, che è una cosa che non sopporto nei film animati, la stessa attenzione l'ho messa nella colonna sonora che da sempre per me è la seconda regia. Io gioco molto con i neri e con i bianchi, che però sono riempiti dai suoni." Il lavoro lo stesso di sempre: "Una lista infinita di suoni, di prove che procurano e montano egregiamente Stefano Sasso, in questo caso coadiuvato per la prima volta da Valentina Vallorani e da Lorenzo Danesin." Un lavoro di fiducia, ma non per questo meno complesso: "Per quello che è nelle mie mani ovviamente do tutto me stesso, ma per quello che non so fare, come il sound design, mii affido a quelli che oltre a essere dei bravi professionisti sono anche degli amici. Però essendo molto esigente è veramente una lotta, perché si tratta di provare e provare per ottenere l'effetto sperato. Il più delle volte va bene perché oramai lavoriamo in sintonia."
Le difficoltà del nostro paese
Non potevamo non chiedere a Simone Massi una considerazione sullo stato dell'animazione nel nostro paese, dove è molto difficile arrivare a fare un'opera matura come Invelle. "E forse proprio per questo mi interessava farlo" ci dice Simone Massi, "non perché abbia qualcosa da dimostrare, ma per tutto quello che ho seminato, sentivo di poterlo fare pur consapevole della difficoltà dell'impresa, perché tale è stata." Un'impresa a cui hanno preso parte decine di colleghi bravissimi e "la speranza è che possa servire quasi da testa di ponte" per un paese in cui opere di questo tipo sono difficile da realizzare, perché "è un lavoro immane, artigianale, in cui ogni fotogramma corrisponde a un disegno realizzato a mano. Da sempre l'artigianalità viene considerata e apprezzata, ma nell'animazione sembrano essere molto più difficoltà a ricevere il giusto riconoscimento."