In Italia uscirà direttamente in home video il 20 giugno prossimo ma Intruders, il nuovo film di Juan Carlos Fresnadillo, ha già un lungo percorso festivaliero alle spalle. Toronto, San Sebastian, Torino, Malaga e in questi giorni il film sarà uno degli assi nella manica del trentaduesimo Fantafestival di Roma. Dopo l'interessante esordio con Intacto e l'accattivamente sequel zombesco 28 settimane dopo, Fresnadillo torna alla regia di un thriller spostando però la sua attenzione verso il lato oscuro della paura, quello meno tangibile e meno visibile, il lato psicologico più nascosto che inizia a tormentarci sin dall'infanzia per colpa del temuto Uomo Nero, abitante subdolo dei nostri armadi e degli angoli pià nascosti delle nostre case. Co-produzione indipendente, cast internazionale di alto livello e ottima confezione visiva per un film che racconta in fondo la stessa storia in due contesti ambientali diversi, che racconta la paura dal punto di vista parallelo di due bambini che vivono rispettivamente a Londra e a Madrid. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con il regista proprio in occasione dell'uscita del film e questo è quello che ci ha raccontato della lavorazione, della sua visione personale nei confronti della paura e dei suoi progetti futuri.
Il suo film parla di paure tramandate e di legami familiari. Secondo lei sbagliamo nel pensare che tutte le cose oscure e inquietanti che ci capitano e spaventano nella vita finiranno per inquietare e terrorizzare i nostri figli?Ho pensato a tutte le cose che non vengono dette in famiglia, ai segreti che spesso possono trasformarsi anche in qualcosa di estremamente inquietante. Non è raro che un bambino cresca con dei punti interrogativi riguardanti la stessa famiglia di provenienza. Può accadere che cresciamo senza sapere nulla dei nostri avi e questo fatto ce lo portiamo dietro tutta la vita, con tutti i misteri e le ombre che ne conseguono. Intruders parla proprio di questo, di come affrontare i 'fantasmi' della nostra vita da adulti e di come poter evitare che le nostre paure e angosce da genitore vengano trasmesse ai nostri figli.
C'è qualche ricordo della sua infanzia che è raffiorato durante la lavorazione di Intruders?
Quando si lavora a un film è inevitabile mettere in esso qualcosa di personale, di tuo, che riguarda la tua famiglia. In Intruders la famiglia è il centro del film, attorno cui si sviluppa tutta la storia. Nello specifico per lavorare a questo film sono andato a ripescare alcune cose dalla mia infanzia, ho investigato un po' sulla mia memoria, sulla mia esperienza personale...
Penso esista un'intera generazione di cineasti latini che usano tematiche e aspetti del sopranaturale per trattare tematiche che riguardano l'uomo, più nel dettaglio i sentimenti, le emozioni e tutto ciò che riguarda e che tocca la sfera del personale. Questo legame tra il soprannaturale e l'umano viene affrontato e sviluppato in modo profondo e coincidente da tanti registi di origini latine e ciò probabilmente accade perché è nella nostra natura cercare di far emergere sempre il lato 'umanista' in ogni tipo di storia, anche in quelle più fantasiose. Fa parte della nostra cultura cercare di entrare sempre in contatto con il lato più umano delle cose, probabilmente ciò è dovuto al fatto che per noi i legami affettivi e i rapporti familiari sono fondamentali.
Cosa l'ha convinta ad affrontare la lavorazione di Intruders?
La cosa che mi attirava in modo più forte era la possibilità di inserire all'interno del film qualcosa di molto personale. L'idea di realizzare un film più 'mio' mi è piaciuta da subito, è questo l'aspetto che più stimola un regista. Si possono realizzare film popolari e commerciali ma a volte si sente il bisogno di lavorare a progetti più personali e quando si ha la possibilità di metterci del proprio è chiaramente un'opportunità da cogliere al volo. Si è anche più liberi nel lavoro perché lo si è nel modo di sviluppare e raccontare la storia. Intruders mi ha dato la certezza che la necessità di attingere al proprio bagaglio personale è di primaria importanza. Questo aspetto rappresenta la linfa vitale del nostro lavoro.
La grande difficoltà nel girare Intruders è stata proprio lavorare con i bambini. E' un film particolare e la mia preoccupazione principale era chiaramente non procurare alcun tipo di malessere ai giovani attori. Ho cercato di trasformare tutto in una specie di gioco ed è grazie a questo, e alla capacità che hanno i bambini di vivere le proprie esperienze molto in fretta, che il lavoro è stato facilitato risultando piacevole per tutti. La personalità e il carisma di Clive Owen come hanno influito sul film? L'attore ha partecipato in qualche modo alla caratterizzazione del suo personaggio?
Certamente! Clive è uno dei miei attori preferiti perché è capace di trasmettere emozioni, sentimenti e stati d'animo semplicemente attraverso lo sguardo. Ha la rarissima capacità di comunicare tutto con gli occhi e tutto questo mi affascina molto. E' un attore che lavora su due livelli diversi contemporaneamente, con il linguaggio del corpo è capace di trasmettere allo spettatore un'estrema calma ma allo stesso tempo riesce ad incutere un profondo malessere attraverso il suo magnetico sguardo. Mi piacciono gli attori che sono in grado di lavorare portando avanti una recitazione così sottile ed elaborata. In questo film era molto importante far sentire la presenza di una forte figura paterna che grazie allo sguardo potesse infondere sicurezza e tranquillità ai figli spaventati.
I nostri lettori appassionati di videogiochi vorrebbero sapere, se possibile, il motivo del suo abbandono della trasposizione di BioShock. Si parla di problemi di rating e di budget, pensa che alla fine si troverà un accordo tra la casa di produttrice del gioco e quella del film?
A dire la verità non ne ho idea. E' un progetto che non seguo più da un po' di tempo e quindi non saprei proprio cosa dire a riguardo, se e come lo si sta portando avanti o meno. E' un progetto appassionante ma allo stesso tempo difficile da realizzare vedremo cosa ci riserverà il futuro a riguardo.
Sì, in questo momento sto sviluppando delle idee proprio su Highlander, è un progetto che mi appassiona molto perché affronta un tema che penso sia molto interessante e cioè la dicotomia tra il desiderio di ottenere l'immortalità e il doveri convivere con essa, un aspetto che per me è molto affascinante. Sarebbe interessante approfondire anche in questo caso l'aspetto umano della questione, come poter convivere con un potere così particolare che tutti almeno una volta nella vita abbiamo desiderato avere. Mi interessa molto questo scenario ma non sono ancora certo che si realizzerà, io lo spero con tutto il cuore, l'unica cosa che posso dire è che mi piacerebbe molto essere al timone di questo reboot.