In occasione della presentazione di L'amore ritorna, l'atteso nuovo film di Sergio Rubini, il regista e il protagonista Fabrizio Bentivoglio ci hanno parlato del film e di come questo è stato da loro vissuto nei rispettivi ruoli.
Rubini, quanto le "appartiene" questo film? S.R.: Rispondo a questa domanda girando il discorso: forse negli ultimi tempi sono io che mi appartengo di più. Credo che sia qualcosa legato alla consapevolezza, che a sua volta è legata alla maturità: maturità significa soprattutto raggiungere la coscienza di sé stessi, e di conseguenza riuscire a ridimensionarsi. E' una cosa che, secondo me, traspare molto nel personaggio di Luca.
Pensa che un film possa aiutare le persone a far luce su ciò che sono? E se sì, in che modo? S.R.: Secondo me la realtà non è riproducibile, e non dovrebbe nemmeno essere questo lo scopo del cinema. Noi ricostruiamo la realtà, filtrandola attraverso la nostra esperienza, in modo assolutamente soggettivo. Nel mio film, poi, ci sono anche elementi che non hanno mai fatto parte della mia realtà, ma che avrei voluto ne facessero parte. La nostra realtà, quella degli altri, e quella che vorremmo fosse la nostra, si mescolano nel cinema attraverso un'ottica che è del tutto personale.
In questo film torna l'elemento della magia, già trattato precedentemente dai suoi film. Può spiegarci il senso di questa scelta? S.R.: Io sono del sud, e quello magico è un elemento che da sempre fa parte della nostra cultura. E' il nostro modo di intendere il tempo ad essere diverso, il nostro modo di percepirlo: nella nostra cultura convivono tranquillamente passato, presente e futuro. Questo credo emerga chiaramente dal film e dal personaggio del fantasma.
Il film sembra essere in un certo senso un viaggio nell'alterità: da esso emerge un senso molto forte dell'altro. Perché questo interesse? S.R.: Guardi, non è stata casuale la scelta, come protagonista, di un personaggio che fa l'attore: l'attore è in un certo senso una rappresentazione dell'uomo, con tutte le sue paure, le sue debolezze e il suo terrore di "uscire di scena". E' una paura che abbiamo tutti, e che ho cercato di trasmettere nel film. Luca, con la sua malattia, ad un certo punto da attore si trasforma in spettatore, e la cosa inizialmente lo deprime: solo in seguito si rende conto che, in questo modo, lui è in grado di osservare e capire gli altri. Ne esce quindi rinnovato, migliore.
F.B.: In effetti c'è un "gioco di specchi" con gli altri, nel film, evidente soprattutto nel mio personaggio: guardando gli altri, infatti, lui capisce di sé.
Può spiegarci il senso del titolo? In fondo, il film non racconta affatto un amore che ritorna, casomai il contrario. S.R.: In effetti il titolo iniziale era L'amore se ne va, perché sostanzialmente quello che raccontiamo è la fine di un rapporto. Successivamente, però, mi sono reso conto che in questo film c'è anche un ritorno dell'amore, inteso in senso lato: torna l'amore per la vita, torna la forza di vivere, e con essa tornano anche le persone, trasformate. Ecco, con questo titolo abbiamo inteso esprimere entrambe le istanze.
Come è nata l'idea di coinvolgere suo padre nel film? S.R.: Il motivo era di carattere "tecnico": mi serviva un attore autentico, per quel ruolo, qualcuno che avesse questa forte cadenza del sud, e che potesse risultare credibile. Ho avuto non pochi problemi, inizialmente, perché l'idea stessa di "dirigere" il proprio padre è una mostruosità: normalmente, è il padre il "regista" del figlio, è lui che indirizza la tua vita. All'inizio non ero contento, per niente, mi sembrava oltretutto che lui non fosse in grado di darmi quello che mi serviva per il personaggio. E' stato Fabrizio a farmi cambiare idea, a farmi capire che mi trovavo di fronte ad un grande attore.
Cosa può dirci dell'assortimento del cast? S.R.: Questo film è stato soprattutto un lavoro collettivo, e spero che questo emerga guardandolo. Attori e "non attori" hanno interagito al meglio, e soprattutto i secondi sono stati fondamentali: spesso, infatti, un "non attore" ha una spontaneità irrintracciabile in un attore professionista, può permettersi di fare cose che quest'ultimo non oserebbe fare. Ecco, nel mio film i "non attori" hanno aiutato gli attori a "snudarsi" dal loro ruolo di attori, e a recuperare così autenticità.
Quanto sono state importanti le prove, per gli attori, in questo film? S.R.: Fondamentali. Abbiamo provato in continuazione, in ogni momento, e le prove ci aiutavano a costruire i personaggi, li completavano. Questo continuo provare è stato come un viaggio dentro il personaggio e dentro noi stessi, un percorso in qualche modo doloroso, ma fondamentale.
F.B.: Il mio personaggio, così come era scritto, era incompleto, gli mancava la parte corporea. Le prove, così, mi hanno aiutato a dargli corpo, a renderlo concreto, e quindi a completarlo.
Come si rapporta a voi il personaggio del protagonista? E' migliore, peggiore? S.R.: Guardi, questa è una domanda a cui il personaggio stesso risponde meglio di quanto non saprei fare io. Credo sia un personaggio che parla da solo.
F.B.: Non è affatto facile dirlo, si tratta di una divisione molto difficile da operare. La cosa evidente, nel mio personaggio, è la sua maturazione, che si concretizza durante il film: ma credo non sia una maturazione definitiva, anzi, credo che in realtà una maturazione definitiva non possa esistere.
Cosa potete dirci su un'eventuale presentazione del film a Cannes? S.R.: Sappiamo che lo stanno valutando. Non ci è dato di sapere altro, al momento.