Innocenza e durezza
Questo film, secondo lavoro cinematografico dei fratelli Andrea Frazzi ed Antonio Frazzi, registi molto attivi a partire dagli anni '70 in ambito teatrale e televisivo, si inserisce in un filone che da sempre appartiene alla tradizione del cinema italiano, un po' tralasciato invero dai nostri registi negli ultimi anni: quello del film di denuncia, raccontato con taglio realistico, che punta il suo obiettivo su alcune realtà urbane situate principalmente nel meridione, tra criminalità organizzata, disperazione, vite predestinate alla delinquenza e uno Stato sempre più assente. Il film dei fratelli Frazzi, ispirato all'omonimo romanzo di Diego De Silva, narra la storia di Rosario, un bambino di 11 anni diviso tra l'accudimento della nonna malata, un'associazione di volontariato, e la strada, nella quale lui e i suoi amici crescono scimmiottando e prendendo il peggio dal mondo adulto. Rosario ha due "maestri", il volontario Santino e il delinquente Damiano: il bianco e il nero, la speranza contro la disperazione, la possibilità di un futuro diverso contro lo sprofondamento nel baratro della criminalità. Il sentimento che il ragazzino prova per la giovane Caterina, anch'essa volontaria del centro, sembra offrirgli un'ulteriore possibilità di allontanarsi dalla strada, ma un destino beffardo finirà per compromettere il tutto.
Quello che i due registi, per loro stessa ammissione, hanno voluto rappresentare non è nient'altro che un viaggio nella memoria: il film parte con Rosario che esce di casa, salutando la nonna e dicendo di dover andare a giocare una partita di pallone (partita che, intuiamo, non è affatto lo scopo reale del viaggio), e prosegue con il suo viaggio in metropolitana, durante quale il bambino rievoca alcuni momenti fondamentali della sua vita recente. Il modello non cronologico della narrazione, che intende restituire il carattere frammentario e non consequenziale della memoria, ricorda molto alcuni esempi di cinema americano recente, quali Memento e 21 grammi - Il peso dell'anima, con una continua sovrapposizione dei piani temporali, che spesso si intersecano e si mescolano, permettendo una ricostruzione completa della vicenda solo alla fine. Un modello sicuramente originale per il cinema italiano, per la narrazione di una storia realistica che fa del contrasto prima accennato (vita contro morte, innocenza contro durezza, speranza contro spietata realtà) il suo leit motiv, esplicitandolo anche a livello visivo con una fotografia che offre violente luci che squarciano in modo quasi iperrealistico le sequenze più buie.
E' un peccato, date le buone premesse e la generale cura con cui il film è stato realizzato, che nella sceneggiatura non tutto funzioni alla perfezione: la particolare struttura della narrazione diventa a volte confusione, la rappresentazione della vita in strada di Rosario e dei suoi amici riesce solo a metà, alcuni personaggi e determinate situazioni mancano di approfondimento (il rapporto di Rosario con sua nonna, per fare un esempio, o lo scarso risalto dato agli amici del protagonista, trattati un po' alla stregua di comparse). In generale sembra che, laddove negli esempi d'oltreoceano sopra citati il modello non cronologico adottato dalla sceneggiatura dava forza alle vicende narrate, qui questo abbia finito per far perdere loro un po' di sostanza e coerenza, come se gli sceneggiatori si fossero trovati un po' a disagio con una struttura narrativa così insolita.
Resta comunque la cura della confezione, la buona regia e l'indiscutibile sincerità degli intenti di base: il tutto impreziosito da caratterizzazioni di buon livello, a partire dal giovanissimo Gianluca Di Gennaro, un Rosario credibile e intenso, continuando con i due "maestri" Carmine Recano e Arturo Paglia, per finire con un ambiguo (ma fondamentale ai fini dell'evolversi della storia) Rolando Ravello, che dopo la commedia Ogni volta che te ne vai dimostra ancora una volta la sua buona versatilità di attore.
Movieplayer.it
3.0/5