Circondati dall'entusiasmo di decine di rapper e amanti del genere, il regista Cosimo Alemà e il cast di Zeta hanno presentato questa mattina a Roma uno dei primi film italiani dedicati alla musica rap. Un ibrido che si ispira a Il tempo delle mele mentre omaggia 8 Mile.
Famoso per i suoi bellissimi videoclip il regista romano è riuscito a radunare molti rappresentati del rap italiano (da Fedeza J-Ax, da Baby K a Clementino) per incoraggiare la sua giovane troupe e dare un'ulteriore spinta al genere musicale italiano più in voga del momento. Contrariamente alle aspettative, Zeta è soprattutto un film romantico, dedicato ai più giovani, al loro amore per la musica e alla loro irrefrenabile voglia di vivere. Regista e cast ci hanno chiarito le idee sulle loro intenzioni e le loro aspettative.
L'affermazione del rap
Alemà, lei è conosciuto principalmente per i suoi videoclip, era naturale che prima o poi pensasse ad un film sulla musica rap?
Cosimo Alemà: I miei primi due film sono accomunati dalla mancanza di speranza. Avevo voglia di fare un film sull'amore, anche se dirlo fa un po' cariare i denti. Zeta è questo, un film sull'amore che nutro per la musica e ritrovo oggi nei ragazzi. Credo che il rap sia prima di tutto una cultura musicale che facilmente appassiona il pubblico, l'unica che mi ricordi quello che accadeva alla mia generazione attraverso altri generi trent'anni fa. Data la mia esperienza nel campo dei videoclip era da tempo che cercavo un modo per coniugare il cinema con la musica. Il fenomeno del rap in Italia è esploso a tali livelli che ad un certo punto l'idea di fare un film sul rap è nata spontanea.
Nel film è presente qualche elemento autobiografico?
Diego Germini: Il film si rifà molto alla mia vita reale e a tutto ciò che mi è capitato dall'inizio della mia breve carriera. Come Alex (il protagonista del film, n.d.r.), provengo dalla periferia, da ragazzino non avevo molte risorse per esprimermi ma poi sono riuscito ad affermarmi. Chi si appassiona alla mia musica lo fa principalmente per i temi che tratto. Non amo la superficialità e questo si sente nei miei pezzi. Cerco di far annegare le persone nelle emozioni.
YouTube e la periferia
In Zeta non vediamo una Roma cinematografica ma si va ad indagare in quartieri meno conosciuti. Avete avuto delle difficoltà per le riprese?
Cosimo Alemà: Non volevamo connotare la città. È molto improbabile che i non romani possano individuare Roma e i suoi monumenti più riconoscibili. Della città vediamo solo un insieme di periferie, tra cui anche alcune al di fuori del raccordo anulare. Mi piaceva l'idea di raccontare una qualsiasi periferia di una qualsiasi città italiana. Ecco perché non ho mostrato l'altra parte della città. Dal punto di vista logistico girare nelle periferie è stato più comodo e più bello perché gli abitanti hanno reagito in maniera più positiva, si sono sentiti emotivamente più coinvolti. Ci sono immagini tratte dal reale finite direttamente nel montaggio del film.
Come è cambiato il potere dell'immagine nel tempo nel campo musicale dagli inizi della sua carriera ad oggi?
Il videomaker continua a servire perché il nostro lavoro è funzionale alla musica. Il videoclip è il veicolo perfetto per far conoscere la propria musica e per creare una fan base che accompagna il proprio progetto. I giovani di oggi sono ormai abituati ad ascoltare la musica su YouTube.
I vantaggi di un'arte di strada
In che modo il rap è comunicativo?
Diego Germini: Oggi il rap è il genere più amato dai ragazzi perché si identificano in ciò che ascoltano e si sentono rappresentati dai proprio coetanei, che non avvertono distanti. Per questo motivo nella mia musica io cerco di essere il più intimo possibile per avvicinarmi a loro. Sono felice di questa apertura del rap perché trovo che sia uno dei pochi strumenti per avvicinare i giovani alla musica, all'arte e alla creatività in genere. Non pone limiti, non richiede grande risorse. È una disciplina molto complessa ma accessibile e fruibile per tutti.
Cosimo Alemà: Da ragazzo ascoltavo musica inglese tutto il giorno e i testi non erano molto importanti. Nel rap invece la parola è di primaria importanza. Il dialogo che questi artisti riescono a stabilire con l'ascoltatore è speciale.
Baby K: Sicuramente i giovani di oggi escono di meno e si isolano ma questa solitudine si riversa spesso nelle rime. Il rap è strutturato per strofe lunghissime e affollate di parole che rendono facile la comunicazione dei propri sentimenti. Diventa uno sfogo laddove c'è un isolamento, una sofferenza. Il tema non è solo l'amore, come magari avviene nel pop.
Rancore: Sottolineo che il rap utilizza la parola, il più grande recipiente in cui possiamo inserire concetti. Il rap sabota il verbo, rompe le parole e le ricostruisce. Annienta i luoghi comuni perciò rappresenta libertà e comunicazione. Il rap è come una spada che arriva diretta nell'inconscio delle persone, fagocitando limiti e preconcetti.
Allargare i propri orizzonti
Qual è l'obiettivo primario della vostra operazione?
Cosimo Alemà: Negli ultimi tempi c'è stata un'esplosione del rap che finalmente è arrivato anche alle orecchie di un pubblico che solitamente non lo ascoltava. Da venerdì sarà nei negozi la nostra colonna sonora e vi assicuro che è un disco che spacca i culi. Spero che il film possa traghettare questa musica. Irene Vetere, la protagonista del film, è stata testimone del suo potere comunicativo.
Irene ci spiega perché?
All'inizio delle riprese ignoravo il genere. Non avevo voglia di approfondirlo ma è stata una piacevole sorpresa. Il rap mancava alla mia conoscenza musicale ma più mi immergevo in quel mondo più cominciavo ad apprezzarlo.
Oltre al rap è l'amicizia ad avere un ruolo chiave nel film.
Jacopo Olmo Antinori: La prima volta che ho letto la sceneggiatura mi è piaciuto subito Marco, il mio personaggio, per l'assoluta devozione al sentimento dell'amicizia. Con Alex (il protagonista) ha un rapporto molto complesso. Nonostante gli voglia bene entra in competizione con lui da una posizione di manifesta inferiorità creativa. Ho ammirato il romanticismo di Marco e il suo essere così fedele e leale nonostante i suoi limiti.
Limiti e ambizioni
Salvatore lei è per la prima volta protagonista di un progetto completamente diverso da Gomorra - La Serie.
Salvatore Esposito: Da Genny Savastano al camorrista in Lo chiamavano Jeeg Robot la strada era abbastanza breve. Con Mainetti ho girato il film prima che Gomorra andasse in onda e quella è stata una bellissima sfida che ho accolto come quella di Zeta. Sono un grande fan del mondo del rap, apprezzo quello napoletano e amo da sempre quello americano. Eminem è il re indiscusso. Mi dispiace che per questioni di tempo non sono riuscito ad interpretare vocalmente anche i testi ma ci stiamo lavorando. Dopo Gomorra mi sono state proposte tantissime cose ma ho sempre deciso di sfidare me stesso e questo film è stato un modo per fare qualcosa che non avevo mai fatto prima e di confrontarmi con uno dei capisaldi dei giovani d'oggi.
Dalle periferie di Napoli a quelle romane, com'è stato il passaggio?
Venendo da una zona particolare di Napoli oggi, forse più di prima, trovo che il rap consenta ai ragazzi di urlare la propria rabbia e la voglia di farcela. Spero che possa essere un'ancora di salvezza per chi non ha alternative e viene circuito dalla malavita.
Cosimo, si è ispirato a qualche film preesistente per realizzare il suo?
Cosimo Alemà: Un giornalista ha definito Zeta "Il tempo delle mele del 2016" ed esattamente quello a cui puntavo. Ho avuto parecchi punti di riferimento, come avviene in maniera fisiologica quando si comincia a girare un film. Non ci siamo ispirati ai film sul rap, pur conoscendoli bene, ma a quei film degli anni Ottanta che puntavano su delle sceneggiature semplici ma complete. In Zeta ci sono citazioni esplicite a Ufficiale e gentiluomo e Cocktailmentre un altro film di riferimento è stato L'odio.