In un altro cinema
Una giovane studentessa di cinema giunge con sua madre nella piccola città di Mohang, in riva al mare, in fuga da una serie di debiti che le due hanno accumulato e con l'intenzione di scrivere una sceneggiatura. Lo script prende vita davanti ai nostri occhi, incentrandosi su un hotel di Mohang e sulle persone che lo visitano: tra queste, tre diverse donne chiamate Anne, ognuna giunta nell'albergo in momenti diversi. La prima è una regista francese di successo, che arriva nell'hotel per una vacanza insieme a un amico e collega coreano e a sua moglie; la seconda, una donna sposata che ha una relazione segreta con un uomo coreano; la terza, una donna da poco divorziata giunta nella cittadina con una sua amica, esperta di folklore e di tecniche di rilassamento orientale, con lo scopo di dimenticare il suo matrimonio fallito. Tutte e tre incontrano la giovane figlia dei proprietari dell'hotel, e si imbattono in una curiosa guardia costiera, che vorrà mostrare loro la tenda in cui vive.
Gli incontri casuali di vite, le coincidenze, gli amori nati all'improvviso, sono un po' la cifra costante dell'opera di Hong Sang-soo, che quest'anno presenta a Cannes, in concorso, questo In Another Country. Se la riflessione metacinematografica è di nuovo presente nel suo cinema, qui resa addirittura esplicita con il personaggio della sceneggiatrice (le cui storie prendono vita davanti ai nostri occhi nel momento della loro creazione, trasformandosi nel film stesso) l'ambientazione, il tema e la stessa apparente leggerezza della narrazione fanno venire in mente il cinema di Eric Rohmer, con i suoi amori estemporanei vissuti e consumati nel tempo (cinematografico) di un respiro. La presenza di Isabelle Huppert, d'altronde (qui alla sua seconda collaborazione col regista) traccia un'ideale linea di continuità col cinema francese di ieri e di oggi, con l'attrice che si divide addirittura in tre personaggi diversi e offre una prova interessante per la duttilità e la stessa capacità dimostrata di mantenere una coerenza nei tre ruoli. La struttura della narrazione è ricorsiva (specie nei personaggi dei proprietari dell'hotel e della guardia) ma asimmetrica; alcuni dei personaggi delle tre diverse storie si incontrano, gli incastri narrativi sembrano altrettanto casuali quanto le interazioni, in realtà attentamente studiate, tra i protagonisti. Rappresenta quasi un luogo sospeso nel tempo, l'hotel posto in riva al mare, una specie di parentesi o di pausa nelle vite dei personaggi che vi si incontrano; parentesi pulsante di energia sommersa, occasione di riflessione sulle scelte passate, messa in discussione di quelle attuali o possibile rigenerazione. Tutte e tre le donne sono personaggi in qualche modo alla deriva, che nell'incontro con la giovane guardia costiera trovano l'occasione per recuperare uno sguardo "puro" sulla realtà (che poi è quello, ideale, del cinema); con la metafora del faro come ideale approdo e possibile nuova partenza per schiarire le nebbie dell'esistenza. Proprio il personaggio interpretato da Yu Jun-sang è in realtà centrale in questo In Another Country, reale fattore di trasformazione (con la sua presenza discreta ma "pesante") in tre vite in fase di transizione, tra scelte pensate, istintive o casuali. Il pregio principale del film di Hong sta proprio in quest'apparente casualità della narrazione, in questo gioco di incontri, confronti e svelamenti più o meno improvvisi di tratti dei caratteri, in uno script che sotto il tono leggero cela riflessioni amare sull'esistenza e sulle decisioni che la influenzano. Lo stesso uso insistito dello zoom sembra rivelare l'essenza di un cinema innamorato dei suoi personaggi, che abilmente si nasconde dietro il "gioco" intellettuale, apparentemente fine a sé stesso, del suo modo di raccontare. Hong, in realtà, riflette sulla vita e sul suo stesso cinema, e quest'ultima opera esemplifica perfettamente il suo modo di farlo.
Movieplayer.it
3.0/5