Dopo aver conquistato il premio alla regia all'ultimo Festival di Cannes e ben sette nomination ai César 2011, Mathieu Amalric, porta in Italia il suo Tournée, nelle nostre sale a partire dal 16 marzo prossimo grazie alla Nomadfilm. Ospite del centro culturale Saint-Louis de France, nel cuore di Roma, il poliedrico attore-regista francese non ha risparmiato elogi per le sue muse ispiratrici, un gruppo di scatenate ballerine americane di new burlesque, 'responsabili' del grande successo internazionale di questa opera prima di grande impatto. Dietro la leggiadra sfrontatezza delle protagoniste, infatti, il film nasconde riflessioni profonde sulla violenza dello showbiz e sulla solitudine degli artisti, lasciando aperto uno spiraglio di speranza solo davanti al solido rapporto umano che i personaggi sapranno trovare alla fine di questo tour de force attraverso le città portuali della Francia. Amalric veste i panni di Joachim, un ex produttore parigino con molti conti in sospeso, che ha lasciato la terra natia per tentar fortuna oltreoceano. Sogna un ritorno in patria da trionfatore e per questo mette su uno show con sei giunoniche donne che incaranano alla perfezione lo spirito di questa particolarissima forma di spettacolo a metà tra satira e strip tease. L'esotismo dei loro nomi, Dirty Martini, Kitten on the Keys, Mimi Le Meaux, Julie Atlas Muz, Evie Lovelle e Roky Roulette, la dice lunga sulla sensualità che sprigionano, ma quel look decisamente sopra le righe e aggressivo non le mette al riparo dalle delusioni né dallo squallore di certe situazioni, superate grazie ad un'incrollabile ironia.
Mathieu, da dove ha preso spunto per iniziare a scrivere Tournée?
Per prima cosa ho letto un libro di Colette del 1905, in cui lei narrava della sua esperienza dei music hall nei primi anni '20. Sono stato subito attratto dal testo perché parlava di una donna che amava denudarsi, non perché fosse prigioniera di qualcosa, ma per una semplice e pura questione di libertà, di pulsione interiore. Subito ho sentito il desiderio di attualizzare quella storia, ambientandola ai nostri giorni. Sfortunatamente i numeri dell'epoca non avrebbero affatto funzionato oggi; erano troppo ristretti. La soluzione al problema me l'ha fornita un articolo sul nuovo burlesque che ho avuto modo di leggere nel 2005. Prima di allora di questo fenomeno non avevo mai sentito parlare. Allo stesso tempo, però, sentivo che c'era un profondo legame tra la realtà raccontata da Colette e il new burlesque. Le protagoniste del mio film hanno trovato un modo generoso ed efficace di fare politica, di esprimere rabbia. Sono vitali e forti e nonostante ciò sanno sfruttare la loro timidezza. La tournée era il modo giusto per raccontare tutto questo.
Sì, per me la corsa alla perfezione a tutti i costi, l'uso smodato di photoshop sono malattie moderne. In genere sono le donne ad essere vittime di questa tendenza, anche se non mi sfuggono le varie riviste maschili con uomini dagli addominali scolpiti in in bella mostra.
Da poco è uscito il film con Christina Aguilera e Cher e anche la TV dedica un reality al burlesque. Dica la verità, se lo aspettava che diventasse così di moda?
Questo è il destino di tutte le cose che funzionano. Magari partono come un fenomeno marginale e poi si diffondono sempre di più. Il rischio grosso c'è quando si scade nel commerciale. Mi è capitato una volta di assistere ad uno show a Las Vegas e il risultato era deprimente. Le ballerine erano tutte rifatte e perfette che è l'esatto contrario del vero spirito del burlesque.
Ha mai avuto la tentazione di raccontare qualcosa in più sulla vita delle protagoniste?
E' vero. Io e gli altri sceneggiatori ci abbiamo pensato a immaginare un qualcosa di più definito rispetto a un padre o a un uomo violento, ma subito abbiamo scartato l'opzione. I corpi di queste donne raccontano già tutto del loro passato. Volevamo invece che fosse messa in risalto la loro miseria sessuale. E mi riferisco in particolare alla scena che vede come protagonista Mimi.
E' naturale, non hanno più l'età per essere rivali; in qualche modo hanno cancellato le loro ambizioni e i loro sogni e adesso si esibiscono solo per il gusto e l'esigenza di farlo. Questo le avvicina e le rende solidali. Certo, qualche bizza ci può essere su un rossetto rubato o la sedia occupata, ma alla fine vince la complicità. Anche nel rapporto con Joachim che alla fine viene adottato da quello strano gruppo. Il calore di una famiglia può nascere da una molteplicità di solitudini
Ha mai pensato di scritturare artiste francesi?
Assolutamente no (ride). Ve lo immaginate cosa significhi far ingrassare un gruppo di artiste parigine in una fattoria? No, per carità. Mi dispiace ammetterlo ma le francesi non hanno senso dell'umorismo e poi mi serviva qualcosa di molto americano nel modo di fare lo show. Da noi ad esempio si ripercorrono vecchi spettacoli, mentre le attrici del mio cast hanno inventato, giocando coi complessi del corpo e con la propria storia intima. Sono animali da palcoscenico e hanno rispettato tutti i vincoli cinematografici con grande naturalezza. E poi mi piaceva questo gioco di rimandi tra cultura francese e americana, volevo sottolineare come gli Stati Uniti fantasticassero sulla Francia e viceversa.
La sensazione è che abbiate lavorato bene tutti insieme...
Sì, eravamo totalmente complici. E ci tengo a dirlo soprattutto perché nel film non c'è niente di documentaristico, ma tutto è stato deciso a tavolino. Nonostante questo io non mi sono comportato da entomologo con loro. Per evitare che si impostassero troppo, la sceneggiatura non l'ho fatta leggere ma l'ho raccontata per filo e per segno. Poi, sulla griglia costruita abbiamo avuto modo di improvvisare, come in una partitura jazz.
Nel film emerge chiaramente che questo tipo di spettacoli sia in realtà molto amato dalle donne...
Sì, assolutamente. Ero in sala con il pubblico quando gli spettacoli andavano in scena e ho notato l'effetto sulle donne. E gli uomini che avevano accanto le guardavano con occhi completamente diversi. Ho sentito dire a una signora che questi show avrebbero dovuto essere rimborsari dal Servizio Sanitario Nazionale. Ecco, è in questo che si vede la generosità di queste artiste nel modo di far politica attraverso il corpo. Una generosità che contagia il pubblico. Ci vogliono anni per riuscirci.