Se si escludono pochi autori di spicco, la rinascita del genere in Italia passa attraverso pellicole low budget realizzate da un manipolo di coraggiosi. Questo è il caso di In the Box, claustrofobico thriller diretto dall'esordiente Giacomo Lesina. Il film, girato in inglese, è stato già venduto in 25 paesi nel mondo tra cui Stati Uniti, Corea del Sud e gran parte del sudest asiatico. In Italia uscità tra febbraio e marzo con l'Istituto Luce. Il film, ambientato negli USA, si svolge all'interno di un garage in cui la protagonista, interpretata dalla bella Antonia Liskova, si risveglia scoprendo suo malgrado di essere intrappolata senza via di uscita.
"All'inizio Giacomo non mi voleva" ci racconta Antonia "perché aveva bisogno di qualcuno che parlasse bene inglese. Avendo scelto me, ha deciso di adattare la sceneggiatura perciò io interpreto Elena Radich, una donna originaria dell'est sposata a un criminale italoamericano, mentre il cattivo è inglese. Il film mi è stato presentato così com'era e io, prima di accettare, ho voluto sottopormi al provino perché era un progetto rischioso. Essere chiusa da sola in un posto. Fare un film in inglese e riprodurre le emozioni parlando una lingua che non è mia. Era una sfida difficile da affrontare. Le paure, facendo un film di questo tipo, sono tante, invece ha trovato un suo ritmo". Il regista aggiunge: "In questo film la fisicità della protagonista era fondamentale. Abbiamo girato in modo cronologico e col passare dei minuti vediamo il suo corpo cambiare. La macchina in cui è chiusa è vera, il vetro che rompe è vero quindi serviva un'attrice energica. Antonia non ha avuto problemi a sporcarsi, a ferirsi. Lavorando in uno spazio così ristretto, ho sfruttato tutte le possibilità del primo piano e i cambiamenti sul suo viso per avere la maggior scelta di inquadrature possibile".
Fino all'ultimo respiro
In the Box è un thriller tesissimo della durata di ottanta minuti che si svolge in tempo reale. Lentina, che ha alle spalle una lunga esperienza come aiuto regista in commedie e fiction italiane, ce ne racconta la genesi. "La sceneggiatura mi è stata presentata dall'autore Germano Tarricone. Mi è piaciuta subito e ho deciso di fare il film con l'aiuto del produttore Massimo Spano. Abbiamo girato in tre settimane e mezzo con due macchine da presa, a orario continuato, in sequenza. Non abbiamo fatto molte modifiche sulla sceneggiatura, principalmente abbiamo tagliato i dialoghi. La difficoltà principale nel girare in un garage è stato il fumo. Dopo un po' ci siamo abituati, ma la tensione che si percepisce durante la visione era reale perché stavamo male. Il soffitto era chiuso e ogni tanto ci dovevamo fermare per aprire il portellone e respirare". La Liskova aggiunge: "In più il pavimento era sempre pieno di vetri che non potevamo spazzare, cadendo mi sono ferita un sacco di volte. E poi mi si rompevano in continuazione i jeans. La costumista era disperata". Il thriller è un low budget e il produttore Massimo Spano ci tiene a sottolineare il coraggio dell'operazione: "In the Box è costato poco più di 100.000 euro. Lavoravamo al risparmio perciò alcune scene dovevano essere subito buone, come la scena in cui Antonia rompe il parabrezza dell'auto. Il principale problema è stato il fumo che ha richiesto sei mesi e mezzo di postproduzione; sette persone hanno lavorato frame by frame per renderlo realistico ed è stato anche riprodotto in 3D".
La rinascita del genere?
Parlando dei modelli di riferimento a cui Giacomo Lesina si è ispirato per il suo thriller, il regista cita in primis Hitchock e il bellissimo Nodo alla gola, che si svolge in un unico ambiente, ma ammette di non aver voluto vedere pellicole più recenti di quel tipo come Buried - Sepolto. Se deve indicare delle fonti preferisce guardare alla letteratura e a classici come Edgar Allan Poe. A svelare un modello è, però, Antonia Liskova che racconta: "Nella scena in cui parlo rivolta alle telecamere, Giacomo mi ha detto 'Cerca di farla come in Shining'. Quando si parla di genere, Kubrick, che è stato il più grande, li ha sperimentati tutti e non riesco a pensare a un film più inquietante di Shining". Parlando di genere, il produttore Spano sembra piuttosto pessimista sulla situazione attuale del cinema italiano. "In Italia fare cinema è sempre più difficile. Chi ci lavora lo fa perché lo ama, non tanto per i soldi. Una volta volta il genere era fiorente e si facevano buoni film con pochi soldi perché c'era un lavoro appassionato alle spalle. La proliferazione di commedie prima e di cinema impegnato poi hanno distrutto i generi. Tante cose non riusciamo più a dirle. Abbiamo una pruderie che ci impedisce di mostrare al cinema ciò che in privato facciamo liberamente. Siamo un paese ipocrita, culturalmente livellato verso il basso". Giacomo Lesina aggiunge: "Anche l'influenza del Vaticano condiziona molto la tv pubblica, mentre quella privata, che dovrebbe essere uno spazio libero, di fatto non fa il suo lavoro. Film come Duel o Dallas Buyers Club dimostrano che la bellezza non sempre va di pari passo con i soldi. Quasi amici in Italia non avremmo potuto farlo perché è politicamente scorretto. Il genere dovrebbe servire anche fornire uno sguardo sulla situazione attuale e il mio film parla di bambini. Oggi che le violenze familiari, purtroppo, sono all'ordine del giorno, io ho fatto un film su una donna e una madre con alle spalle una situazione difficile. I bambini sono sempre condizionati dalle scelte dei genitori e spesso ne subiscono le decisioni. Al cinema deve persistere l'iconografia della famiglia italiana perfetta quando nella realtà la famiglia è allo sbando".