Recensione My Little Eye (2002)

Buon horror a basso costo per gli amanti del genere questo My little Eye, claustrofobico e sinistro, si fa notare per l'uso semi-sperimentale della tecnologia digitale.

Il voyerismo che uccide

L'horror è un genere che vive da sempre di alti bassi rispetto al suo rapporto con il mercato. La sua natura ed il suo rapporto con il pubblico permette al genere di esprimere veri e propri cicli che traggono vita da pellicole fortunate che generano successioni di film che ne ricalcano lo schema. Crisi o non crisi (l'attuale è un periodo di rigoglio) l'horror permette numerose soluzioni anche per la possibilità del low budget, terreno da sempre economicamente produttivo per questo tipo di pellicole. Se il richiamo alla paura sul grande schermo, rimane sempre garanzia di successo (a patto che si riattualizzi di continuo il concetto di paura), la qualità di questo richiamo non sempre è eccellente; di sicuro il buon, seppur non trascendentale, The Ring, ha rifornito linfa vitale al genere horror. Assistiamo così alla proliferazione di numerosissime uscite sulla falsariga del film di Gore Verbinski (e di conseguenza del suo diretto antisegnano giapponese Ringu), così simili tra loro da rendere già saturo il mercato.

My Little Eye di Marc Evans, non sfugge a questa categorizzazione, eppure, nonostante non brilli per originalità e per sincerità, si fa apprezzare per una buon dosaggio degli elementi e delle situazioni ad effetto. Prodotto a basso costo, diretto erede dei B-movies e della loro estetica, il film di Evans (noto in particolare come documentarista musicale), fa un ottimo uso delle più moderne acquisizioni in campo di riprese digitali per rendere angoscioso il fenomeno che più caratterizza i nostri tempi: il voyerismo.

Sorta di grande fratello per smanettoni informatici e sadici della rete, My Little Eye, punta inizialmente e sapientemente sulla paura di tipo psicologico, scatenando la tensione dalle suggestioni provocate ai ragazzi (tutti giovani e poco noti attori), all'interno della loro lugubre abitazione. Colpisce in positivo infatti, la capacità di Evans di saper padroneggiare al meglio la grammatica horror, non abusando di immagini truculente ma piuttosto puntando su inquadrature sinistre e ossessive, colori opprimenti e soprattutto utilizzando un commento musicale veramente disturbante. Questo discorso, vale comunque per due terzi abbondanti del film, infatti come prevedibile e forse normale, nella parte finale My Little Eye perde un pò di vista il suo quadro di riferimento per andare sul sicuro puntando tutto su una escalation sanguinolente onesta quanto convenzionale nel suo rifarsi tutto il repertorio classico dello slasher: strangolamenti, impiccagioni, accettate ecc..

Un film, in definitiva, dal quale non bisogna attendersi una profonda caratterizzazione psicologica dei personaggi, ne interessanti spunti di riflessione che non siano il banale e apocalittico tema della paura di essere controllati in ogni nostra azione, o il moralistico discorso dei pericoli legati all'estrema ambizione e volontà di successo mediale, ma solo un buon intrattenimento con annesso scuotimento della tensione nervosa.