Giuda il reietto, il traditore, il nemico del popolo cristiano parla per la prima volta nella pellicola a sfondo religioso firmata da Giulio Base. "Horror biblico", passateci la definizione, dai toni crudi il cui approccio radicale ricorda certe scelte estreme di Mel Gibson. A Giuda stavolta viene data la parola per raccontare la sua versione dei fatti attraverso la voce profonda di Giancarlo Giannini, anche se ne viene negata la vista. Dell'apostolo che ha venduto Gesù alle autorità romane, mostrato sempre di spalle, intravediamo la figura snella e nervosa che percorre le vie della Galilea dietro al Cristo con lo stesso passo rapido con cui attraversa il postribolo che gestisce curando i propri affari.

Le scelte registiche de Il Vangelo di Giuda non sono mai banali. Come quella di togliere la parola agli attori, costringendoli a recitare solo col corpo e col volto, a eccezione di poche parole in aramaico scarsamente udibili, o quella di affiancare a un cast di attori italiani poco noti, capitanato dal giovane Vincenzo Galluzzo nel ruolo di Gesù, un team di star più o meno a loro agio nei panni dei protagonisti della Passione.
La storia di un riscatto mancato
Che la sceneggiatura di Giulio Base affondi o meno le sue radici nel vangelo apocrifo di Giuda è materia di esperti di teologia. Quel che conta, per l'autore, è la necessità tutta umana di approfondire l'altra faccia della medaglia, raccontare una verità diversa approfondendo le motivazioni di colui che si recò spontaneamente al tempo vendendo Gesù per trenta denari per compiere la profezia e completare l'arco della vita terrena del Cristo.

Quella di Giuda è la storia di un riscatto mancato, di un uomo trascinato a fondo dalla miseria della condizione originaria che non riesce a lasciarsi del tutto alle spalle il passato nonostante tutti i suoi sforzi, ma è anche una richiesta di perdono di colui che ha credito nel Cristo "più del Cristo stesso", mettendo alla prova quando diceva che non sarebbe morto e scoprendone, invece, tutte la fragilità umane. Giuda è, infine, l'unico apostolo che morirà volontariamente subito dopo Gesù per cancellare l'onta del senso di colpa. O forse, come si legge tra le righe, per spazzar via la delusione per aver creduto ciecamente alle sue parole quando diceva che non sarebbe mai morto.
Lavare via i peccati con un "horror" religioso

Per veicolare il suo messaggio, alimentando l'eterna querelle che si riaccende a ogni film a tematica religiosa, Giulio Base usa uno stile a tinte forti ricostruendo la Galilea rocciosa e spietata in Calabria, sul modello di quanto fatto da Mel Gibson in Basilicata. L'iconografia curatissima viene riproposta con accuratezza nelle vesti e nell'aspetto dei personaggi a partire dal Cristo di Vincenzo Galluzzo, totalmente immerso nel ruolo tanto da fornire un'interpretazione vibrante. Mentre si segnala tra gli apostoli la presenza del figlio di Giulio Base, Vittorio, nei panni di Giovanni curioso è il modo in cui Base utilizza il cast internazionale, talmente riconoscibile da creare un effetto straniante.

Convincenti Paz Vega nel ruolo della dolente madre di Gesù e John Savage in quello di un dimesso Giuseppe nei flashback in bianco e nero, mentre non passano inosservati l'Erode lascivo di Abel Ferrara o il minaccioso Caifa di Rupert Everett. Ma è lo stesso stile registico adottato da Base a risucchiarci dentro la storia, facendoci aderire al punto di vista di Giuda non solo con l'insistita voce narrante, ma anche con i tagli inusuali, con la telecamera che si muove nervosa inquadrando volti, occhi, gambe e rocce ed escludendo dallo sguardo il superfluo, il tutto condito da una colonna sonora hard rock che irrompe in apertura e chiusura con un effetto deflagrante.
Il Vangelo di Giuda è un esperimento ambizioso anche se la scelta di una voce narrante "totale" sacrifica la spontaneità del quadro d'insieme creando, a tratti, uno scollamento tra il parlato e quanto vediamo sullo schermo. Scelta probabilmente voluta e ponderata da Base per concentrare l'attenzione sulle giustificazioni di Giuda e sulla sua versione, controbilanciata da una forma potente e da una grande cura nei dettagli. Senza dubbio, non è un'opera che passerà inosservata.
Conclusioni
Con Il Vangelo di Giuda, Giulio Base confeziona la sua Passione dando voce al punto di vista alternativo dell'alter ego "oscuro" di Gesù. L'esperimento si rivela ambizioso, costruendo una pellicola potente e ricca di suggestioni che solleva interrogativi teologici riflettendo sull'imprevedibilità e suoi tormenti dell'animo umano. Visione di forte impatto che mette in campo un cast di stelle capitanato da un Gesù perfettamente in linea con l'iconografia tradizionale.
Perché ci piace
- La potenza della rappresentazione della Passione.
- Le scelte stilistiche fuori dai canoni.
- La necessità di concentrarsi sul lato umano dei personaggi sacri.
- Le scelte musicali dirompenti.
- La performance sentita del Cristo di Vincenzo Galluzzo.
Cosa non va
- L'uso di una voce narrante notale crea uno scollamento rispetto alle immagini.
- L'effetto straniante di alcune star in ruoli inediti.