Se c'è chi si aspettava che questo ritorno sul piccolo schermo de Il trono di spade potesse in qualche modo deludere le aspettative, si tratta di qualcuno che non deve aver prestato attenzione ultimamente. Dopo gli straordinari trionfi della sesta stagione - la prima progettata e scritta senza la guida dei romanzi de Le cronache del ghiaccio e del fuoco, dato che il povero George R.R. Martin sta ancora sudando sul sesto volume - è evidente che lo show, nel momento in cui tante serie fanno il famigerato "salto dello squalo", ha eseguito il definitivo salto di qualità che lo ha portato là dove nessun altro, al momento, può compiacersi di essere arrivato.
Facendo convergere diversi gruppi di personaggi, precipitando l'azione, liberandosi di alcuni subplot inerti, avviando la storia, insomma, verso la sua inevitabilmente spettacolare conclusione lo show ha trovato la formula infallibile: la padronanza dei temi e dei personaggi da parte degli sceneggiatori, la millimetrica sicurezza di registi e montatori, la proteiforme, immaginifica magnificenza dei contributi tecnici, l'immancabile ispirazione delle musiche di Ramin Djawadi. Insomma, alla sottoscritta i superlativi da snocciolare non mancheranno mai perché intimamente fangirl, ma è ormai un dato oggettivo che gli ultimi detrattori possono accomodarsi e iniziare il loro Cammino della vergogna. Shame!
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Il lupo che sopravvive
Per molti versi questo Dragonstone è una premiere "tradizionale", che si preoccupa, anche letteralmente con mappe e le tavole intarsiate, di preparare le scacchiere, e non difetta di qualche momento espositivo, ma per altri versi è la prova definitiva che non c'è più tempo per i riempitivi e per le scelte approssimative e frettolose. Per cominciare c'è un cold open, un espediente di cui Il trono di spade non ha mai abusato, e infatti quelli che sono stati proposti sono tutti significativi. In questo caso è stato David Bradley, nella sua ultima apparizione nello show, a regalare il KO: tanto convincente nella transizione da un perfetto Walder Frey a una gelida Arya Stark è Bradley, quanto esaltante il pensiero di come la fittizia Arya sia altrettanto abile, grazie al suo lungo addestramento mistico e fisico, nella stessa transizione.
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Con questo cold open gli showrunner in un certo senso si "sdebitano" con George R.R. Martin, e la sua ammazza-Frey eliminata per scelta di adattamento: sì, la via battuta è più breve e semplice, ma non è meno cinematica. Maisie Williams è sempre più brava a incarnare una perversa innocenza con i suoi grandi occhi e il suo volto lunare, soprattutto nella scena coi soldati dei Lannister e l'usignolo Ed Sheeran; il suo monito dovrebbe fare scendere i brividi lungo la schiena a chiunque abbia tramato contro Casa Stark. Il nord non dimentica: lasciate in vita un lupo, e le pecore non saranno mai al sicuro. Il bello è che Arya ancora non lo sa, ma il lupo sopravvissuto non è uno soltanto, e l'aspetta più di una sorpresa.
È vero che la letale fanciulla viaggia non verso i suoi fratelli ma verso verso sud e Approdo del Re (ma noi, per l'appunto, crediamo che nelle foreste delle Terre dei fiumi farà presto un incontro che cambierà il corso del suo viaggio); la persuasione di chi scrive è che l'eredità di Ned e Catelyn Stark che vive nei loro figli (e nipoti) li porterà non solo unire le forze, ma a una comprensione reciproca e a quella collaborazione che è l'unica alleanza efficace contro un nemico inarrestabile. Sansa la invoca nel primo trailer della stagione facendo sue parole che nei libri erano pronunciate da Ned e poi rievocate da Arya.
When the snows fall and the white winds blow, the lone wolf dies, but the pack survives.
Un altro lupo che ci sta molto a cuore e che ha un ruolo ancora misterioso da giocare nell'imminente Lunga Notte, Bran Stark, giunge alla Barriera e sbalordisce Edd Tollett fino a indurlo a fare una cosa che avrà conseguenze indubbiamente catastrofiche: lasciar entrare il giovane veggente toccato dal Re della Notte a Castello Nero. L'ultima visione di Bran è un'apocalisse di orrore e di gelo che che concretizza maniera raccapricciante quell'immagine quasi poetica della "neve che cade" e dei "candidi venti che soffiano".
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Quanto a Jon e Sansa, si è parlato molto in pre-season delle tensioni crescenti tra loro, della frustrazione di Sansa nel dover cedere al "fratello" il governo del Nord, anche sulla base di alcuni elementi di caratterizzazione e scrittura rimasti un po' ambigui nelle ultime battute della sesta stagione. Qui ci sembra che tutto funzioni: lo scontro tra i due è ben circostanziato e credibile, e non scevro di affetto e rispetto reciproci - visto anche che Sansa è stata la prima a contare sull'impulsività di Jon per architettare l'entrata in scena dei Cavalieri della Valle nella Battaglia dei Bastardi. Come dare torto a Sansa quando dice al nuovo Re del Nord che per sopravvivere deve essere meno ingenuo, meno onorevole di Ned e di Robb? Eppure la scelta misericordiosa - come lo sa bene chiunque conosca Tolkien, come la sottoscritta, George R.R. Martin e certamente tanti nostri lettori - è spesso anche la più lungimirante.
Regine in parallelo
Lavorando sulla contrapposizione tra due regine sul piede di guerra - Cersei e Daenerys - Dragonstone inserisce anche Sansa nell'equazione attraverso l'astuto parallelo con la prima: Sansa conosce Cersei, ha imparato il gioco dei troni da lei quanto da Lord Baelish (che ormai sembra in grado di dominare) e questo ne fa forse un'avversaria più preparata di Dany, anche se tutte e tre traggono la propria rabbia e la propria forza da esperienze comuni: l'essere state usate come merce di scambio, violentate, umiliate, rende la loro rivalsa formidabile e particolarmente soddisfacente.
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Per il resto, i momenti in cui Cersei e Jaime condividono il proscenio non sono da tempo tra le scene più forti dello show, non per colpa di Lena Headey e Nikolaj Coster-Waldau: c'è sempre una frustrazione latente, un'incredulità di fronte alla fedeltà dell'uomo che ha letto l'amore negli occhi di Brienne di Tarth verso la sua crudele e folle gemella. Vedere Jaime pressare Cersei sul destino di Tommen non serve a creare maggiore empatia nei confronti della coppia Lannister: lui di quei tre figli che portavano il nome di un altro e che ormai sono cenere si è interessato assai meno della madre. Della stolida devozione di Jaime si fa beffe anche Euron Greyjoy, che arriva a creare un po' assai gradito scompiglio nell'Approdo del Re dei regno di Cersei, prima del suo nome. Il sodalizio con le Isole di Ferro sembra davvero l'unica opzione per difendersi dalla flotta di Daenerys che abbia Cersei; ma il nostro show giustamente temporeggia mandando Euron - interpretato dal gustoso Pilou Asbaek - a procurarsi un dono che convinca la regina a concedergli la sua mano e che ci mette inevitabilmente in allarme. Olenna? Yara? Ellaria? Tyrion? Chi sarà la vittima sacrificale sull'altare dell'infame alleanza Lannister-Greyjoy? O forse si tratta non di un prigioniero ma di qualcos'altro, un oggetto magico come quello di cui Euron è in possesso nei romanzi, che potrebbe tornare ancore ancor più utile della flotta contro Daenerys?
Forte delle sue già consolidate alleanze, nel frattempo Daenerys Targaryen approda nell'avamposto di Westeros che Jaime (che quando vuole non è poi così scemo) aveva predetto sarebbe stato il suo primo quartier generale: Roccia del Drago, l'isola dove la famiglia Targaryen si rifugiò molti secoli or sono sfuggendo così al cataclisma che annientò la Fortezza di Valyria. L'arrivo della regina nella terra nativa è un momento capitale a cui il regista dell'episodio Jeremy Podeswa dedica tutto il respiro che merita, senza bisogno di dialoghi: dopo aver ammirato da lontano i suoi draghi riprendere possesso dell'isola a loro consacrata, senza pronunciare verbo Dany avanza verso ciò che le spetta di diritto, attraversando uno scenario che ha tutta la potenza pirotecnica del suo misterioso popolo d'origine, ma significativamente non siede sul trono ma avanza fino alla sala che ospita il Tavolo Dipinto. Daenerys Targaryen è abbastanza scaltra da non dare per scontata una conquista che è tutt'altro che conseguita: questo è solo l'inizio, e la battaglia sarà lunga e difficile.
L'isola dei draghi e i misteri della Cittadella
Roccia del drago non dà il titolo a questa premiere soltanto perché rappresenta l'approdo di Dany, e perché ci dà la gioia la gioia di assistere del volo di Drogon, Rhaegal e Viserion sulle sue antichissime mura: la prima scoperta di Samwell Tarly in quel di Città Vecchia, nella battaglia per la vita che seguirà all'invasione degli Estranei, potrebbe essere preziosa quanto e più dei tre draghi. L'isola ospita un enorme giacimento di ossidiana, materiale - come sa bene Sam il Distruttore - efficace contro i nemici che giungono dalle terre dell'Inverno perenne.
Ma Sam, protagonista anche del momento più leggero dell'episodio, deliziosamente fetido e magnificamente montato, e pioniere di un nuovo ordine di giovani che devono superare le convinzioni obsolete degli anziani maestri nella bella scena con l'Arcimaestro Ebrose di Jim Broadbent, fa anche una seconda scoperta a Città Vecchia, anche se lui non se ne accorge. Jorah Mormont ha obbedito alla sua signora, è arrivato nell'unico angolo di Westeros in cui c'è una possibilità di curare il Morbo Grigio, e non lascerà che il male lo consumi prima di averla rivista.
Ciò che vediamo nel fuoco
Abbiamo lasciato per ultima quello che forse è il segmento migliore dell'episodio, e che ha come protagonista un personaggio che, pur non avendo mai avuto un ruolo particolarmente rilevante, ci sembra incarnare meglio di tutti lo spirito e la tragedia delle Cronache del ghiaccio e del fuoco. Atrocemente toccato dal fuoco, umiliato e segnato dallo spietato capriccio del potere, vissuto all'ombra di un fratello psicopatico, Sandor Clegane è stato un cinico e disilluso alfiere della morte e del caos. Ma attraverso i suoi dubbi su Lord Beric e il suo incredibile (e recidivo) ritorno dall'aldilà l'ex Mastino dei Lannister inizia a riflettere sul proprio ruolo nel mondo, si chiede perché è sopravvissuto, se c'è davvero una forza superiore che ha qualcosa in serbo per lui. E in qualche modo R'hllor si fa sentire: la risposta è nel fuoco che mostra la strada verso un luogo da armare e difendere dal Re della Notte (dalla descrizione sembrerebbe il castello del Fronte Orientale, dove sono diretti anche i Bruti di Tormund), ma è anche nella pietà che lo induce a dare sepoltura a due persone di cui forse ha involontariamente causato la morte.
L'umana decenza restituita a Sandor Clegane dalle ragazze Stark e da Septon Ray si trasforma in qualcosa di più potente, un fine nobile, una convinzione autentica, qualcosa che non cambia solo la parabola di un personaggio, ma cambia il corso di questa storia. Il trono di spade, correndo verso la catastrofe finale, si lascia alle spalle il mondo caotico e imprevedibile di vizio, sangue e sopraffazione per accogliere una luce di solidarietà e compassione, un'armonia, un senso. Sansa e Cersei la chiamerebbero debolezza, Jon e Dany l'unica via percorribile. Scopriremo presto non se il futuro sarà dei cinici o degli idealisti, ma cosa servirà per conciliare due visioni apparentemente opposte e provare a salvare un mondo sull'orlo del disastro.
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4.0/5