Il soffio della gelosia
Una donna in crisi col marito adultero sfoga la propria frustrazione nella scultura, fino a quando non sente al telegiornale la notizia di un condannato a morte che per la seconda volta ha tentato di togliersi la vita conficcandosi un oggetto appuntito in gola. Affascinata dalla morte che ha accarezzato tanto spesso prima, trattenendo il respiro a lungo sott'acqua, si finge ex del prigioniero e va a visitarlo in carcere. Un po' per curiosità e un po' perché impossibilitato a parlare a causa della ferita, l'uomo, Jin, sta al gioco, ed è così che al primo incontro ne seguono altri, in cui la bella Yeon non si limita a parlargli ma esprime il proprio senso artistico con canzoni e costumi dedicati ogni volta ad una stagione diversa. Gli incrontri inducono gradualmente una passione fra i due, sotto lo sguardo attento del direttore del carcere che segue le loro mosse tramite le telecamere di videosorveglianza, provocando così la gelosia del marito di Yeon e dei compagni di cella di Jin.
Girato in appena due settimane e con un budget ridottissimo, Breath è il primo film dell'amatissimo regista coreano Kim Ki-Duk in concorso al Festival de Cannes, dopo numerosi premi (tra cui il Leone d'oro per la regia per Ferro 3 - La casa vuota e l' Orso d'argento per La samaritana) in prestigiosi festival internazionali. I temi a lui cari della gelosia, della passione e dell'incomunicabilità ci sono tutti, così come chiari riferimenti a suoi film del passato come il passaggio della stagioni di Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera... o il voyeurismo di Bad Guy o Ferro 3. Il film si svolge quasi interamente nel carcere in cui Jin è rinchiuso o nella casa in cui Yeon vive con il marito e la figlioletta, ma non mancano delle sequenze coloratissime e musicali in cui la protagonista canta e balla di fronte allo sconcertato condannato, formando un bel contrasto con gli ambienti e le atmosfere chiuse e grigie della cella ma anche dell'infelice casa dei due coniugi.
Così come noi seguiamo i loro incontri grazie alle inquadrature scelte dal regista, lo stesso fa il direttore del carcere con sguardo da vero cineasta- non a caso interpretato dallo stesso Kim Ki-Duk - che, muovendo e muovendosi tra le telecamere di sorveglianza, zoomando e perfino alternando le immagini di quello che succede dentro e fuori dal carcere, si costruisce quasi una sorta di film nel film.
Ma nonostante questi aspetti interessanti e pur non mancando sequenze di grande impatto visivo, il film è privo di quel senso di generale compiutezza delle (migliori) opere precedenti o anche del parziale tentativo di reinventarsi del meno riuscito Time.
Movieplayer.it
3.0/5