Il sesto senso: Shyamalan e il bambino che sussurrava ai fantasmi

25 anni fa esordiva al cinema Il sesto senso, horror dei record che avrebbe lanciato la carriera di M. Night Shyamalan: un film-fenomeno diventato una pietra miliare nell'ambito delle ghost story.

Il sesto senso: il banner promozionale del film

E poi un giorno Malcolm incontra un bambino meraviglioso, un bambino veramente fico. Gli ricorda tantissimo l'altro, e Malcolm decide di tentare di aiutare questo bambino: perché sente che, se riuscisse ad aiutare questo bambino, sarebbe come aiutare anche quell'altro.

Nel bel mezzo dell'estate del 1999, mentre l'America è ancora nel pieno della febbre collettiva per The Blair Witch Project, un altro film horror catalizza di colpo l'attenzione del pubblico, rivelandosi in breve tempo un fenomeno addirittura maggiore rispetto alla pellicola in stile found footage sul mistero della strega di Blair. Terzo lungometraggio del regista indiano Manoj Nelliyattu Shyamalan alias M. Night Shyamalan, Il sesto senso viene distribuito nelle sale statunitensi il 6 agosto 1999: per oltre un mese rimane stabilmente in cima alla classifica del box-office degli Stati Uniti, complice un irrefrenabile passaparola il cui effetto si espanderà, da lì a poco, anche nel resto del mondo. Complessivamente, Il sesto senso arriverà a raccogliere seicentosettanta milioni di dollari, registrando circa centotrenta milioni di spettatori e imponendosi come il secondo maggior campione d'incassi dell'annata dopo Star Wars - La minaccia fantasma.

Il Sesto Senso
Il protagonista, Haley Joel Osment

Già queste cifre basterebbero a indicare come il film di Shyamalan riesca a estendere il proprio appeal ben al di là della comunque ampia cerchia degli appassionati di horror, acquisendo una popolarità trasversale che sarà confermata in seguito pure dai record di vendite e noleggi delle edizioni home-video. E nemmeno l'Academy, a dispetto della sua consueta freddezza per le pellicole di genere, risulterà immune dal fascino de Il sesto senso, che a sorpresa si aggiudica sei nomination agli Oscar, incluse quelle in categorie di massimo peso quali miglior film e miglior regia. A contribuire in maniera determinante a un successo di tali proporzioni è senz'altro l'elemento distintivo che, da lì in poi, sarà sempre legato a Il sesto senso, ovvero quel colpo di scena in grado di ribaltare gran parte della nostra prospettiva sull'intreccio; eppure, quest'unico ingrediente di per sé non basterebbe a motivare il gigantesco impatto esercitato sul pubblico dall'opera di Shyamalan.

Il sesto senso: i fantasmi della "gente morta" e gli spettri del rimpianto

The Sixth Sense Haley Joel Osment
Un primo piano di Haley Joel Osment

Per il regista indiano, tutt'oggi considerato uno dei maestri del thriller contemporaneo (il suo nuovo film, Trap, sta debuttando proprio in questi giorni nei cinema mondiali), Il sesto senso rappresenta la prima incursione nei territori della suspense; prima di allora, infatti, M. Night Shyamalan aveva diretto il dramma indipendente del 1992 Praying with Anger, da lui stesso interpretato, e il racconto di formazione Ad occhi aperti, girato nel 1995 ma bloccato per quasi tre anni da Harvey Weinstein. I temi dell'elaborazione del lutto e del valore dei legami familiari costituiscono i trait d'union fra i primi lavori di Shyamalan e Il sesto senso, in cui i codici della ghost story sono adoperati per delineare gli spettri interiori dei personaggi: il Malcolm Crowe di Bruce Willis, rinomato psicologo infantile di Philadelphia, dilaniato dal rimpianto per non aver saputo aiutare un suo piccolo ex paziente; e Cole Sear, un bambino di nove anni affetto da un inquietante malessere.

The Sixth Sense
Haley Joel Osment e Bruce Willis

Se Cole, a cui presta il volto l'enfant prodige Haley Joel Osment (ricompensato con la candidatura all'Oscar come miglior attore supporter), è tormentato dalle visioni di fantasmi ("Vedo la gente morta", dichiara nella sua celeberrima confessione al dottor Crowe), il senso di colpa è invece il 'mostro' fronteggiato da Malcolm. Shyamalan lo mette in chiaro fin da subito, in uno scioccante prologo in cui l'idillio - professionale e personale - del protagonista viene sconvolto dall'irruzione in casa sua dello psicotico Vincent Grey (Donnie Wahlberg). L'incontro con Cole funge dunque, per Malcolm, da emblematica occasione di riscatto, aumentando il suo grado di coinvolgimento (e di riflesso anche il nostro) nei confronti di quel bambino prigioniero di un inconfessabile segreto. Al contempo, la narrazione oscilla tra il punto di vista di Malcolm e quello di Cole, immergendoci a poco a poco nella dimensione horror della storia.

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The Sixth Sense Willis Osment
Bruce Willis e Haley Joel Osment in una scena del film

In tal senso, la forza del film risiede in buona misura in una costruzione drammaturgica che lavora in primo luogo sulle atmosfere (la cornice autunnale di Philadelphia, il tetro grigiore degli ambienti) e che fa montare la suspense con studiata gradualità, affidandosi alle allusioni e ai non detti prima di svelare le proprie carte. Pertanto l'angoscia di Cole, stampata nello sguardo sgranato di un formidabile Haley Joel Osment, mantiene a lungo un quid di impenetrabilità e di mistero; e quando i fantasmi iniziano a manifestarsi direttamente sullo schermo, le loro apparizioni fanno esplodere la tensione in una manciata di scene tanto rapide quanto elettrizzanti, secondo un equilibrio tutt'altro che semplice da ottenere. Un equilibrio analogo a quello mantenuto dal film fra il registro puramente horror e la sua natura drammatica, fino a riportare sotto gli occhi degli spettatori i dilemmi dei personaggi e le loro difficoltà nel fare i conti con la sofferenza e la perdita.

M Night Shyamalan Sixth Sense
M. Night Shyamalan sul set

In fondo è soprattutto per questo se Il sesto senso, al di là dell'efficacia dei jump scare, riesce a raggiungere la sfera del perturbante e a stamparsi a tal punto nella memoria: perché i momenti di maggiore carica emotiva riguardano il rapporto fra Cole e sua madre Lynn (Toni Collette) e quello fra Malcolm e la moglie Anna (Olivia Williams), gli autentici nuclei di una delle ghost story più originali dell'ultimo quarto di secolo. L'importanza del "fattore umano" all'interno di racconti di genere sarebbe stata ribadita da M. Night Shyamalan in opere quali Signs e The Village, prima di un decennio assai meno fortunato (quello compreso fra Lady in the Water e After Earth) e di un successivo ritorno d'ispirazione, sancito fra il 2015 e il 2016 da The Visit e Split: nuove prove del talento di un autore che, a dispetto di qualche innegabile passo falso, non ha smesso di sperimentare nuove variabili e nuovi percorsi rispetto alla formula elaborata venticinque anni fa grazie al suo film più famoso.