Tanto si è già detto e scritto, su Il Racconto dei Racconti, prima ancora di poter vedere effettivamente il film di Matteo Garrone. Tanto si è chiacchierato di questa insolita operazione italiana di matrice fantasy, tratta da tre racconti risalenti al 1600, scritti da Giambattista Basile; tanto si è discusso della fattura, del respiro internazionale del progetto e del cast (che comprende nomi come Salma Hayek, John C. Reilly e Vincent Cassel); tanto si è parlato delle prospettive e suggestioni che il film apre per l'immediato futuro del cinema italiano, e tanto si è gioito per la sua imminente presenza a Cannes, insieme alle contemporanee opere di Paolo Sorrentino e Nanni Moretti.
Prima del passaggio sulla Croisette, comunque, il film di Garrone è stato presentato alla stampa italiana, in attesa dell'uscita in sala prevista per il 14 maggio (contemporanea alla proiezione cannense). Nella totale assenza del cast, è stato il regista, loquace e gentile come sempre, a introdurre il suo film alla stampa; rivelandone la genesi e spiegando le motivazioni che lo hanno portato a rivolgersi a un autore come Basile, confezionando un prodotto così lontano dagli standard del cinema commerciale italiano, prendendosi più di un rischio con un genere così insolito per la grande produzione nostrana.
I motivi di una scelta rischiosa
Garrone ha introdotto la conferenza stampa parlando dei motivi che lo hanno portato a scegliere i racconti di Basile: "Si tratta di un autore che ho subito sentito come familiare, anche se l'ho scoperto tardi: era un genio assoluto, i suoi racconti mi colpivano per la bellezza, la ricchezza visiva e l'originalità delle storie. È uno scrittore ingiustamente poco conosciuto: il libro da cui abbiamo tratto spunto ha ispirato fiabe come Cenerentola, Il gatto con gli stivali e La bella addormentata nel bosco, è stato l'ispirazione prima per i racconti di autori come Charles Perrault e i fratelli Grimm. È stata una scelta masochistica, incosciente, che ho fatto in un momento in cui volevo mettermi nei guai." Una scelta solo apparentemente lontana da quelle fatte nelle opere precedenti. "Nei film precedenti partivo da una realtà che trasfiguravo in una dimensione fantastica", ha continuato il regista, "mentre ora ho fatto il percorso inverso: qui ci sono racconti magici che vengono portati in una dimensione realistica. La ricchezza delle immagini di Basile mi faceva sentire più tranquillo, visto che io vengo dalla pittura: il genere poteva quindi essere vicino alle mie caratteristiche".
Nonostante questo, si è trattato comunque di un progetto che presentava i suoi rischi. "Sì, i rischi erano molti", ha ammesso Garrone. "Il film ha attraversato parecchie fasi, abbiamo dovuto affrontare diverse sfide fin dalla fase produttiva. Gli effetti speciali, le scenografie, i costumi, tutto doveva essere curato nel minimo dettaglio, ogni reparto si metteva in gioco. Per me, poi, che sono abituato a controllare l'immagine sul set, era un po' frustrante il fatto di usare spesso il green screen, e quindi non poter sapere come sarebbe stato il risultato. Non ero abituato a film così complessi tecnicamente. Quando l'abbiamo scritto pensavo mi sarei divertito molto a farlo, invece... comunque spero si diverta il pubblico, visto che è un film che nasce con l'ambizione di intrattenere".
Qualcuno suggerisce che nel film, e nei racconti di Basile, c'è materiale per un progetto dal respiro più ampio. "E' stata una forzatura non trasformarlo in una serie", ammette il regista, "avevamo persino iniziato a scrivere l'adattamento di altri racconti, e alla fine è stato doloroso sceglierne tre. Potrebbe esserci una serie, certo, o almeno un secondo film."
Locale e globale
Garrone ha affrontato anche il tema della matrice "partenopea" dei racconti originali, che traspare abbastanza chiaramente dal film. "L'elemento della cultura napoletana è forte, certo, ma anche quello della cultura italiana. Uno dei rischi era quello di fare un fantasy che si limitasse ad imitare quelli anglosassoni: invece ci siamo mossi all'interno del genere, mantenendo però una nostra unicità. Anche per questo fatto abbiamo fatto venire gli americani da noi, invece che andare noi a girare all'estero." Qualcuno suggerisce che il film poteva addirittura essere doppiato in napoletano, con le voci partenopee sovrapposte ai volti degli attori anglosassoni.
"Ci abbiamo pensato", ha ammesso Garrone, "ma abbiamo scartato l'idea perché sarebbe comunque stata una traduzione: nessuno legge i racconti di Basile nel napoletano del '600, e inoltre saremmo ricaduti nel localismo, mentre il nostro scopo era dare un respiro universale. All'inizio l'uso dell'inglese mi preoccupava, ma poi mi sono reso conto che se c'era qualcosa che non andava nella recitazione me ne accorgevo. L'attenzione ai dialoghi e alla sceneggiatura, qui, è più forte che nei film precedenti: mentre in questi ultimi lo script era soprattutto un punto di partenza, qui il copione è rimasto sostanzialmente quello scritto".
Una battuta anche sulle location, molto suggestive. "La linea guida era quella di cercare dei luoghi reali che sembrassero ricostruiti in studio: un esempio è quello delle gole dell'Alcantara, che si vedono all'inizio. Doveva esserci l'iperrealismo, il movimento continuo tra il realismo e la dimensione fantastica, la ricostruzione. In questo, c'è un legame con le origini del cinema, in cui si sente l'artificio ma le immagini hanno una loro verità."
I temi, tra innovazione e continuità
Parlando dei temi del film, e dei suoi personaggi, Garrone ha spiegato: "Il desiderio è la guida fondamentale che muove i personaggi del film. Anche qui ci sono le trasformazioni del corpo, che sono da sempre una mia ossessione: era sorprendente, tra l'altro, la modernità di questi racconti, visto che Basile già nel '600 parlava di chirurgia estetica e di lifting. Credo che i temi che mi sono familiari si vedano, comunque: per esempio, anche L'imbalsamatore potrebbe essere un racconto di Basile in chiave moderna. Le fiabe, in fondo, si muovono su archetipi, sono sempre moderne e universali". I tre racconti scelti, comunque, vedono tutti e tre protagoniste delle donne, viene fatto notare. "La matrice femminile di queste storie non ha un motivo vero e proprio, in realtà: ne avevamo adattate anche altre, il fatto che ne siano state scelte tre 'al femminile' è stato abbastanza casuale".
Viene sottolineata anche una delle sequenze poste all'inizio, in cui si vede Salma Hayek percorrere un labirinto. "E' un simbolo anche quello", ha detto Garrone. "Quella scena, comunque, nasce dall'investigazione dei luoghi: in quel castello c'era quel labirinto, e quando l'abbiamo visto abbiamo deciso che in qualche modo avremmo dovuto usarlo. Successe la stessa cosa in Gomorra, quando ci siamo imbattuti nel solarium che si vede all'inizio, e abbiamo saputo che i camorristi hanno questa cura ossessiva per il corpo. Spesso sono i luoghi che suggeriscono le idee, e diventano drammaturgia."
La preparazione e i riferimenti
Garrone ha poi affrontato il tema del cast, col suo respiro internazionale: "Le scelte partivano dalla fisicità, oltre che dalla bravura. Salma Hayek mi pareva giusta come regina spagnola del '600, mentre Vincent Cassel sapeva muoversi sul doppio registro comico/drammatico, in un modo che mi ricordava un po' Vittorio Gassman. L'interprete di Viola, invece, Bebe Cave, è stata una sorpresa: era l'unica attrice che vedevo per quel ruolo, veniva soprattutto dal teatro, ma quando ho visto il provino mi ha subito colpito. Non pensavo però che sarebbe stata così brava."
Qualcuno chiede al regista come ha gestito, in questo caso, la direzione degli attori. "Sostanzialmente come faccio sempre", risponde Garrone. "In genere do molta libertà, ma qui la sceneggiatura era abbastanza blindata. Gli attori e le attrici, comunque, hanno avuto lo stesso la libertà di costruire il proprio personaggio sulle loro caratteristiche".
Una domanda si incentra poi sui riferimenti "visivi" del film. "Ero circondato dai disegni, ho tratto ispirazione soprattutto da quelli", ha detto Garrone. "In particolare i Capricci di Goya mi hanno ispirato, contenevano quell'elemento grottesco e un po' macabro che poi si ritrova nel film". Viene chiesto poi al regista se il film contiene anche dei riferimenti specificamente cinematografici. "Se parliamo del presente, credo di essere stato influenzato dalla serie Il trono di spade, specie dalle prime stagioni. Al passato, un regista che amo molto è Mario Bava. Ci sono comunque anche molti altri registi che ammiro, e che mi hanno influenzato: tra questi c'è Pier Paolo Pasolini, con film come Uccellacci e uccellini, il Mario Monicelli de L'armata Brancaleone, Luigi Comencini con Le avventure di Pinocchio, e molti altri."