Il cinema francese è notoriamente il più vivo tra quello di tutti i panorami europei contemporanei e deve molto di questo alla sua capacità di sfornare commedie dissacranti, in grado di tagliare con ironia sprezzante gli argomenti che affrontano, riuscendo comunque a rimanere sempre equilibrate nei toni. Questo soprattutto lo deve a maestri del genere e della settima arte in generale, fini conoscitori di questa tipologia di meccanismi narrativi.

Maestri come Pascal Bonitzer, ex critico cinematografico nientemeno che dei leggendari Cahiers du cinéma, sceneggiatore dalla straordinaria produttività e anche ottimo regista, la cui ultima fatica è Il quadro rubato, ovvero una commedia, tratta da una storia vera, che rientra perfettamente tra quelle sopradescritte, che si sono distinte come forza portante della realtà transalpina recente.
La pellicola, come da tradizione, vanta un'ottima capacità metaforica, una regia pulita e una scrittura brillante, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi. I problemi che rischiano di affossarla sono invece quelli legati all'efficacia dell'intreccio, alla gestione di una struttura complessa e alle ovattate conclusioni alle quali arrivano i ragionamenti innescati. Quest'ultimo aspetto potenzialmente fatale per una riuscita sostanziosa.
Il quadro rubato che può cambiare le vite di tutti

André Masson (Alex Lutz) non se la passa benissimo. Nonostante la sua indubbia posizione agiata a livello lavorativo come banditore nella prestigiosissima casa d'aste Scottie's a Parigi (posizione che gli permette di vivere tra macchine d'epoca e appartamenti lussuosi), è in realtà piuttosto solo e annoiato. Soprattutto ha perso l'amore per l'arte, il motore della sua vita.
A farne le spese è la stagista Aurore (Louise Chevillotte), condannata a sottostare ai suoi borbottii e alle sue incostanze, come se le beghe legate alla sua situazione familiare non facessero già abbastanza per urtare le sue giornate passate alla ricerca di un posto nel mondo. Anzi, dei mondi: il mondo dell'arte, il mondo di Parigi, il mondo degli uomini, delle donne e via dicendo.

Tutto cambia nella vita di André (e di conseguenza di tutti coloro che gli gravitano attorno) quando nel suo ufficio arriva una telefonata da una casupola a Milhouse, dove vivono un ragazzo che fa i turni di notte in fabbrica con la madre, per segnalare che in una delle loro stanze è appeso un autentico quadro di Egon Schiele. Possibile? Impossibile. E se invece fosse possibile?
Una commedia annacquata

Il frammento di realtà che ha ispirato Il quadro rubato è la vicenda legata al miracoloso ritrovamento di un dipinto ritenuto distrutto che nella pellicola si traduce ne "I girasoli", un quadro di Egon Schiele disperso nel 1939 nel marasma della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale i nazisti si diedero alla pazza gioia distruggendo l'"arte degenerata" (leggenda vuole che fu ordinata da Hitler perché gli andò molto male a Belle Arti).
La trovata della trama permette di creare un sentiero in cui la riscoperta di un quadro perduto diventi metafora della riscoperta di una passione perduta da parte del protagonista. Non solo, la portata economica di una scoperta del genere fa in modo che la pellicola possa disegnare un preciso ritratto delle differenze che ci sono tra le classi sociali in Europa e di come ognuno si rapporti con le proprie origini e il proprio status in modo differente. Forse il problema maggiore è proprio per coloro che si ritrovano "nel mezzo", persi alla ricerca di se stessi. Loro sono i più fragili, ma anche, potenzialmente, i più ricchi, perché in grado di vedere senza paraocchi.

Una commedia dalla trama e dall'indirizzo tematico piuttosto classico, che brilla per il ritmo e la vivacità dei dialoghi. Il problema de Il quadro rubato sta nel suo non essere però in grado di andare a fondo a tutte le questioni che apre e, soprattutto, per il suo essere debole tanto nel suo intreccio (tutta la componente da giallo) e nelle conclusioni del suo ragionamento. Questo lo rende un film incredibilmente tenue, definizione che non si addice propriamente ad una commedia francese frizzante e gagliarda.
Conclusioni
L'ultima fatica di Pascal Bonitzer è Il quadro rubato, una delle tante commedie transalpine sagaci e dissacranti che basano le loro fortune sull'equilibrio dei toni e sulla capacità di tagliare in modo funzionale le tematiche che affrontano. Magari sfruttando un'intreccio rivelatore. Purtroppo il titolo, nonostante una buon uso della metafora e dei dialoghi frizzanti, non riesce ad essere incisivo a causa di una superficialità generale e, cosa più grave, dell'inefficacia delle conclusioni a cui arriva.
Perché ci piace
- I dialoghi sono divertenti e ritmati.
- La regia è pulita ed efficace.
Cosa non va
- L'intreccio è scialbo e non credibile.
- C'è una superficialità nell'affrontare gli argomenti.
- Le conclusioni sono tralasciabili.