Il mito della creazione di Roma, che ha per indiscussi protagonisti i due gemelli Romolo e Remo, fa parte del bagaglio culturale di ognuno di noi: in un mondo così lontano dal nostro, in cui la natura stessa è violenta ed ostile, due fratelli sfidano il volere delle divinità per fondare quello che poi diventerà uno dei più grandi imperi della storia. Il primo re il è film diretto da Matteo Rovere dedicato ai leggendari gemelli, un progetto estremamente ambizioso per il cinema italiano che uscirà il 31 gennaio in almeno 300 sale.
Con un budget di circa 9 milioni di euro, il film è stato girato servendosi esclusivamente della luce naturale, ricreando così il più possibile le atmosfere dell'epoca. All'incontro stampa per l'anteprima di Il primo re abbiamo incontrato il regista e gli sceneggiatori, che hanno lavorato insieme per rendere il film il più realistico possibile dal punto di vista storico, ricostruendo con l'aiuto di linguisti e semiologi il latino arcaico che si suppone venisse parlato all'epoca. Abbiamo parlato anche con i due protagonisti, Alessandro Borghi e Alessio Lapice, che ci hanno raccontato le difficoltà di dover recitare in una lingua completamente nuova, ricreata appositamente per il film.
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In quale momento vi è venuto in mente di fare un film di questo tipo? Un film atipico in Italia, dove di film storici ne abbiamo fatti tanti, ma mai con un impronta così violenta.
Matteo Rovere: L'idea nasce con Andrea Paris e gli sceneggiatori dalla volontà di cercare una storia che avesse un sedimento nel nostro passato ma che permettesse di fare un racconto propriamente cinematografico con tante chiavi di lettura, con elementi action spettacolari. Questo in Italia non viene più fatto, a differenza che in passato. Il primo re è un film italiano, anche se realizzato con capitali da tutto il mondo, che è stato fatto in Italia da maestranze italiane, con una costruzione produttiva fatta interamente dal nostro paese. Speriamo che il film divenga un passo in avanti in un percorso di rinnovamento per la cinematografia italiana, e speriamo ci sia un pubblico che vuole vedere al cinema questo tipo di storie.
Il primo re: un film recitato in una lingua dimenticata
Per gli interpreti: nel film, oltre ai dialoghi in latino arcaico, c'è anche moltissimo linguaggio non verbale, i momenti in cui non si parla sono infatti moltissimi. Come avete fatto a costruire i vostri personaggi, che approccio avete utilizzato per il linguaggio?
Alessandro Borghi: E' stato più complicato pensare di farlo che farlo. Ho iniziato ha relazionarmi con la sceneggiatura in protolatino e ho pensato che sarebbe stato impossibile, ero sicuro che avrei fatto una figuraccia. Poi però mi sono accorto che la lingua agiva dentro di me se l'ascoltavo: con Matteo abbiamo fatto delle registrazioni audio delle battute che io poi mi risentivo con le cuffie, a volte anche mentre dormivo, in modo tale da poterle assimilare ed imparare. Il latino arcaico è diventato una delle chiavi fondamentali del film, ora non potrei immaginare questo film recitato in un'altra lingua. Con Alessio e Matteo ci siamo confrontati tantissimo, abbiamo discusso su come raccontare questa storia, soprattutto il suo finale: insieme abbiamo scelto una chiave di lettura, abbiamo deciso che Remo si sarebbe immolato per il fratello.
Alessio Lapice: A proposito dei dialoghi, vi racconto un aneddoto in particolare per farvi capire che cosa ha significato lavorare in questo film e soprattutto lavorare con Matteo Rovere. Avevo preparato il mio monologo finale, lunghissimo e bellissimo, e per impararlo ci ho lavorato un mese: un giorno Matteo viene da me e mi dice che lo aveva cambiato, che lo ha riscritto tutto e che dovevamo rifarlo da capo. E questo solo sei giorni prima di doverlo fare. La cosa che ti spiazza di Matteo è la sua tranquillità nel fare le cose, se lui ti dice che ce la puoi fare, di stare calmo, lui che ha tutto il film sulle spalle, allora non puoi che non farlo. Questa cosa mi ha aiutato molto, il suo essere così preparato su tutto, la sua spinta; ha lasciato a noi attori lo spazio per immergerci nel film, per concentrarci su quello che dovevamo fare. Il linguaggio ci ha permesso di entrare in un mondo nostro, ci ha aiutato tantissimo a immergerci in questo film, che è diventato qualcosa di nuovo, mai fatto prima.
Una domanda per gli sceneggiatori, Francesca Manieri e Filippo Gravino, come avete scritto i dialoghi? Vi siete immaginati come sarebbero stati interpretati?
Francesca Manieri: Abbiamo pensato al contesto, al periodo storico e a dove i nostri protagonisti si trovavano, per questo abbiamo deciso che i personaggi non avrebbero parlato molto. La parola doveva andare in sottrazione, dovevamo lavorare sui silenzi, sulla comunicazione non verbale, dovevamo scarnificare le battute ma far passare comunque dei contenuti enormi, come il rapporto tra uomo e natura, che contiene il mistero di Dio, e quindi di conseguenza il rapporto con il libero arbitrio ed il destino. Questo film parla del confronto con l'irraggiungibilità di Dio, con il suo silenzio. Per quanto riguarda la lingua, Matteo aveva tre ipotesi scelte dai filologi per il protolatino che avremmo usato: abbiamo scelto una lingua aguzza e ruvida, che secondo noi andava bene per questo film.
Filippo Gravino: La cosa più interessante nel film è il rapporto di fratellanza tra i due protagonisti, ed è la cosa che mi ha interessato di più fin dall'inizio. I nostri riferimenti sono stati però insospettabili: Rocco e i suoi fratelli per esempio, ma anche Toro scatenato. Uno dei fratelli in queste storie ha sempre un processo degenerativo, qualcosa che da dentro lo logora, nel nostro caso questo qualcosa era la divinità, il rapporto di Remo con Dio.
Location e scenografia: un film girato esclusivamente in esterni
Questo film è stato girato esclusivamente in esterni: ci sono state difficoltà climatiche, imprevisti che ci volete raccontare?
Matteo Rovere: Questo film è stata una sfida, perché è stato completamente girato in esterni, ma fortunatamente il tempo ci ha assistito. Ci sono state delle difficoltà perché è oggettivamente complesso girare un film in questo modo, abbiamo dovuto imparare a gestire le continue avversità che si presentavano: la pioggia, il freddo, il buio, lo sporco e il fango. Per Il primo re c'è stato tantissimo lavoro dietro alla fotografia e alle scenografie: ognuno ha utilizzato il mondo esterno come poteva, come qualcosa di plastico, un pennello per la propria pittura. Questo è un film dove la natura domina, dove domina la luce naturale. Bisognava creare la finzione su un tessuto molto difficile.
Alessandro Borghi: La nostra più grande preoccupazione ogni giorno era scoprire se pioveva, cosa che avrebbe reso le condizioni di lavoro molto più difficili: ci eravamo rassegnati al freddo ma non alla pioggia. Ma pare che abbiamo abolito la legge di Murphy: non ha mai piovuto, la pioggia ci ha graziato, tanto che, incredibile a dirsi, abbiamo addirittura dovuto usare la pioggia artificiale.
In questo film si parla della nascita di un impero, di temi come la patria, la famiglia e Dio. Non vi siete posti il problema che questi temi, soprattutto nel paese in cui viviamo, possano essere strumentalizzati o male interpretati?
Mattero Rovere: Partiamo dalla famiglia: la relazione sentimentale della fratellanza che abbiamo rappresentato è solo cinematografica, nel mito il sentimento dei fratelli è più freddo, non è profondo come io ho voluto ricostruirlo, il loro è un dualismo belligerante. Il sentimento che c'è tra loro lo abbiamo ricostruito esclusivamente per il film. Dio in Il primo re è il nemico, è l'antagonista, il cattivo del film. Bisogna anche fare molta attenzione al finale: Romolo ci dice che Roma nasce dal sangue di suo fratello, che lui avrebbe voluto morire al posto suo. Questi sentimenti costruiscono la patria, di cui questi personaggi, a quel tempo, non avevano alcuna cognizione. I personaggi cercavano solo la salvezza, un tetto e protezione dalla natura, da ciò che non conoscono: non esiste un concetto primitivo di patria, di nazione, ma solo di aggregazione, di ricerca di protezione. Per quanto riguarda la contemporaneità non bisogna fare confronti, ho deciso che non avrei dato interpretazioni del film, ognuno vedendolo potrà leggerci ciò che vuole.