Cinéma vérité versione 2016. Con un convincente esordio, il regista Michele Vannucci si immerge nella periferia romana più povera e disastrata, La Rustica, zona est di Roma a ridosso del raccordo anulare. Un agglomerato di palazzoni, campi incolti e roulotte, un'altra delle aree abbandonate a se stesse oggi al centro dell'attenzione dei media come la Ostia di Non essere cattivo e la Tor Bella Monaca di Lo chiamavano Jeeg Robot. A La Rustica vive Mirko Frezza, ex detenuto che, dopo aver scontato la pena, viene eletto Presidente del comitato di quartiere e mentre sogna un'esistenza migliore per sé e per la sua famiglia si assume la responsabilità di proteggere gli abitanti del quartiere. L'incontro casuale tra Mirko e il giovane cineasta Michele Vannucci, impegnato nei provini per il suo corto di diploma al Centro sperimentale, ha dato vita a Il grande sogno, opera a cavallo tra realtà e finzione presentata nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia.
Michele Vannucci racconta: "La realizzazione del film sembra già un film. Se avessi girato il backstage, adesso sarebbe stato in Concorso. Tutto è iniziato quattro anni fa. Ho sostenuto un provino con Alessandro Borghi per il lavoro di diploma e lui ha portato con sé Mirko Frezza. Durante il provino è successo qualcosa di incredibile, rivedendolo ho capito che dentro c'era qualcosa di grande. Allora ho passato quattro anni della mia vita a costruire Il più grande sogno, un film che racconta un pezzo di vita e ha coinvolto un gruppo di lavoro eccezionale".
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La dannazione della periferia
A fianco di attori professionisti come Alessandro Borghi, Milena Mancini e Vittorio Viviani, fulcro de Il più grande sogno è proprio Mirko Frezza, la sua esperienza in carcere, il rapporto con la criminalità e la voglia di riscatto. Naturalmente Michele Vannucci non si è lasciato sfuggire l'occasione di poter lavorare con un personaggio così incredibile e lo ha voluto nel film. Come spiega il regista: "Non sono andato a girare a La Rustica perché c'era una situazione svantaggiata, sono andato lì perché c'era qualcosa che mi attirava, perché è il posto in cui vive Mirko Frezza e io volevo passare del tempo lì per creare un'opera d'arte. Questo film è la prova che l'arte riesce a dare un senso a persone che non hanno un senso. Naturalmente nel film non si vede tutta la verità. La vita reale di Mirko ci ha dato spunti su cui noi abbiamo fantasticato".
A parlare è il carismatico Mirko Frezza, Cristo di periferia dai capelli lunghissimi e dallo sguardo magnetico.
A vederlo sembra un giovane Kabir Bedi dalla parlata romanesca. "Scusate, ma non so usare paroloni", esordisce Frezza. "E' già tanto che il regista sia riuscito ad ascoltarmi. Ha voluto conoscere la mia storia e ha dato spiegazione ad alcune cose che mi sono capitate. Io le prendevo come dannazioni e invece sono eventi che mi sono serviti a crescere. Ho imparato a guardare sempre il lato positivo di ciò che accade".
Non un film, non un documentario
La carriera di Alessandro Borghi è in continua crescita, tanto da permettere all'attore di concedersi qualche "progetto del cuore". Curiosamente un fil rouge lega le pellicole che lo hanno definitivamente lanciato: Suburra e Non essere cattivo, a cui ora va aggiunto Il più grande sogno. In tutte e tre le pellicole Borghi interpreta personaggi che sembrano interconnessi. "Ho pensato a cambiare genere, ma in realtà è già successo. Nei prossimi film mi vedrete in ruoli differenti. Questa, però, è una domanda che mi sono fatto anche io, visto che venivo da tre film che raccontavano la periferia romana. La differenza sostanziale è che Suburra è un gangster movie, mentre Non essere cattivo è una storia tra due amici. La borgata però non è solo criminalità, il contesto è molto più complicato. In realtà non mi pongo il problema del genere dei film in cui recito. Quando mi raccontano una storia bella io accetto e la interpreto".
Vista la peculiarità de Il più grande sogno, il suo essere sospeso tra realtà e finzione, gli attori sono stati messi a dura prova dalle scelte di Michele Vannucci. Borghi racconta: "Abbiamo fatto il film grazie a un'esperienza di vita partecipata in cui tutti hanno collaborato insieme. Non c'era una vera sceneggiatura, ma solo alcune linee guida narrative. Per noi attori era un salto nel vuoto perché dovevamo improvvisare e non per tutti è stato facile". Riguardo al tema fiction/non fiction, Vannucci precisa: "A un certo punto della lavorazione abbiamo riscontrato alcuni problemi e il film stava per diventare un documentario. Ma io sapevo di voler creare un mix tra girato e vita vera, per questo il contributo degli attori è stato essenziale. Questo film è realtà ricreata".
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