Il mondo salvato dai ragazzini
E luce fu. Nel mondo in procinto di essere travolto dall'oscurità e della distruzione, scontate conseguenze dell'idiozia umana, una città sotterranea è stata predisposta dai Costruttori per accogliere i sopravvissuti, minuscola comunità in cui le istruzioni per tornare in superficie verranno rese pubbliche, ma solo dopo duecento anni. Tempo che si ritiene necessario, per attenuare gli effetti della devastazione in atto. La misteriosa valigetta in cui sono custoditi i segreti di Ember, questo il nome della città, è stata consegnata direttamente nelle mani del Sindaco, il primo della serie, che poi la tramanderà ai successori. Tuttavia la linea si interrompe: della valigetta e dei suoi segreti si perdono le tracce, tant'è che una parte della cittadinanza rinuncia ad avere piena coscienza di sé e delle proprie origini, precocemente mitizzate da chi vede nei Costruttori figure demiurgiche destinate a ricomparire, un giorno o l'altro, per indicare loro la strada. Niente di più sbagliato, ma è sull'ignoranza che il Sindaco Cole ha fondato la sua fortuna. Il generatore che rifornisce di energia la città, costantemente illuminata da luce artificiale, sta cadendo in pezzi, anche le scorte di cibo si stanno esaurendo, mentre lui se la spassa e gozzoviglia allegramente. Ci sarà qualcuno in grado di guidare gli abitanti di Ember verso la luce del sole, prima che il buio avvolga per sempre quel mondo sotterraneo?
Andando a scandagliare gli elementi che hanno portato alla realizzazione di Ember - Il mistero della città di luce (City of Ember), ne esce fuori l'immagine di un fantasy atipico. Fortuna che sia così, affrettiamoci ad aggiungere, perché negli ultimi tempi il genere ha offerto segnali sempre più evidenti di omologazione. Pur col suo carico di ingenuità, specie a livello narrativo, City of Ember tende a differenziarsi da questi altri prodotti, i cui costosi effetti speciali non garantiscono adeguata creatività, ripiegando invece su una concezione più artigianale della messa in scena.
Facile pensare che i germi di tale diversità agiscano in simbiosi col testo da cui è tratto lo script; il romanzo che apre il ciclo noto come The Books of Ember è stato concepito da Jeanne DuPrau rielaborando paure di vecchia data, le stesse con cui la scrittrice è cresciuta. In primis la cosiddetta "paura della bomba", parte rilevante dell'immaginario americano (e non) nel periodo che va dai primi anni '50 ai decenni immediatamente successivi. Il soggetto della DuPrau riecheggia un'epoca in cui la minaccia del nucleare era avvertita molto più intensamente, facendo sì che quel senso di catastrofe imminente si trasferisse automaticamente nel cinema e nella letteratura di consumo popolare, con l'opportuno corollario di bunker anti-atomici costruiti in vista dell'irreparabile. Ecco, in qualche modo si può anche dire che Ember discenda da quei bunker. Uno dei pregi maggiori del film è proprio quello di aver reso protagonista la città, con la sua rete di edifici e cunicoli nascosti nelle viscere della terra, senza necessariamente abusare della computer grafica, introdotta per gradi e calcolandone bene l'impatto, ad eccezione forse della precipitosa fuga da Ember qui riassunta in sequenze di taglio un po' grossolano. Curiosi oggetti meccanici e scenografie estremamente curate costituiscono invece la parte più gustosa del progetto, affidato non a caso a un regista promettente come Gil Kenan.
Il giovane cineasta londinese, classe '76, aveva già avuto occasione di distinguersi quando studiava cinema all'UCLA, al punto che per il suo esordio nel lungometraggio gli è stato proposto Monster House, impegnativo film d'animazione la cui riuscita artistica e commerciale ha rappresentato per lui un eccellente trampolino di lancio. Il fatto che la precedente pellicola si basi su sequenze animate non è elemento da trascurare: come accennavamo poco fa, la fantasiosa realizzazione degli scenari sotterranei contribuisce notevolmente al fascino del film. Vi è poi nel contesto qualcosa di velatamente orwelliano che si insinua, quasi con malizia, nella peculiare impronta urbanistica della Città di Ember; una topografia che risulta ricca di richiami all'Inghilterra di Dickens e della Regina Vittoria, almeno per quanto riguarda le fatiscenti strutture da archeologia industriale.
In questo ipotetico futuro che si specchia nel passato la componente scenografica è di assoluto rilievo, ma non ci si può dimenticare dei personaggi. Occorre ammettere che i legami tra loro coincidono a volte con quelle contrapposizioni ingenue, un po' infantili, i cui sviluppi non brillano certo per complessità. Eppure, sono personaggi cui ci si affeziona facilmente; a partire dagli eroici ragazzini che, preoccupati per il destino di Ember, si lanciano alla ricerca di indizi che li aiutino a decifrare l'eredità lasciata loro dai Costruttori. Il compito di portare sullo schermo l'impulsivo Doon Harrow e la giovanissima messaggera Lina Mayfleet è stato svolto, con innegabile freschezza, da due interpreti in rapida ascesa, rispettivamente Harry Treadway e Saoirse Ronan, attrice quest'ultima che avevamo molto amato in Espiazione. Così come è difficile non amare Bill Murray, anche quando indossa i panni del villain di turno, nella fattispecie quel Sindaco Cole i cui gretti istinti causeranno non pochi problemi ai protagonisti.Un po' sacrificati, invece, i personaggi di Tim Robbins e Martin Landau, il che è decisamente un peccato. Tale constatazione ci offre lo spunto per dire che il film, prodotto peraltro da Tom Hanks, ha il difetto di risolvere sbrigativamente certi snodi narrativi, lasciando un po' in ombra figure che sembrano sempre sul punto di gratificare il racconto di un'impronta più robusta, ma poi non lo fanno. Viene da chiedersi: perché? Forte di un'estetica che rimanda anche al cinema di intrattenimento anni '80 (I Goonies, tanto per dire), City of Ember non intende forse superare (anche a livello di risorse impiegate sul set) i limiti di pellicola per adolescenti e cultori del fantasy, che abbia un appeal appena superiore alla media. In questo l'opera di Gil Kenan riesce brillantemente, lasciando però intravedere potenzialità non pienamente sfruttate.