Il mambo della libertà
Vicky è una ragazza tra due uomini, l'uno l'opposto dell'altro: da una parte Hao Hao, con il quale convive, il cui unico scopo nella vita è mixare musica techno-disco, giocare ai videogames per battere il proprio record, fumare. La convivenza mostra a Vicky il lato peggiore del suo ragazzo, quello dell'esasperazione, della presunzione di avere un controllo assoluto e totale su di lei.
Dall'altra parte Jack, l'uomo presso cui Vicky trova un porto sicuro, un rifugio dalla insostenibilità del rapporto con Hao Hao, e allo stesso tempo un rifugio dalle sue stessa insicurezze, dal suo vuoto interiore, dalla mancanza di motivazioni per andare avanti, dall'illusione di vivere, mentre invece si sopravvive solamente.
Ci sono tutti gli elementi del melò moderno, dai ritmi lenti, scanditi dalla musica (premiata a Cannes nel 2001) martellante ma triste. Grande regia, che usa i mezzi tecnici sempre con moderazione e solo per rappresentare qualcosa di ben preciso all'interno della vicenda; spesso ci passano davanti sequenze sfocate, viene annullata la profondità di campo, come se si sentisse la necessità di avere quasi sempre un personaggio in primo piano, sul quale si concentra la camera di volta in volta, spesso senza inquadrare direttamente il volto, molte volte nascosto da elementi di scena, quanto la figura e i suoi movimenti. Ottima fotografia, che usa colori a tratti molto precisi e definiti, talvolta invece sfumati verso l'interno delle immagini. L'effetto finale è di un'atmosfera surreale, apparentemente tranquilla ma di forte disagio interiore.
L'autore non ha impellenza di lanciare messaggi importanti, ma solo di raccontarci una storia, o per meglio dire, farci osservare delle situazioni concatenate che rappresentano solo una frazione di un tutto in continuo divenire. La riprova è l'uso di una voce narrante (onnisciente) che sottolinea le scene e le "commenta", calcando la mano sull'aspetto di originale perdizione dei protagonisti.
Altro elemento importante la musica, presente per gran parte della durata, come sottofondo o come tema principale, che ritorna nei momenti topici, quei falsi "giri di vite" che vengono ipotizzati per tutto il tempo della narrazione. Senza dubbio molto interessante il fatto che si riescano a coniugare sonorità tipiche da discoteca con ritmi lenti e melodici, da film d'amore. In realtà c'è l'amore, ma è sofferto, molto più fisico che mentale, e si esprime nell'idealizzazione che Vicky compie del suo ragazzo "aggressivo" che, nella realtà parallela della sua immaginazione diventa adorabile. Ottime interpretazioni per tutti i protagonisti, che incarnano bene i personaggi che gli sono stati affidati.
E' chiaro che in questi casi, abbiamo tempi cinematografici radicalmente diversi da quelli della cinematografia europea e americana, e certamente un'occhio poco allenato può non cogliere molte sfumature e persino annoiarsi di fronte a un'opera del genere, che ha significato soltanto se vista nell'ottica di non avere una "fine" ben precisa, ma soltanto di rappresentare qualcosa. Da consigliare a chi non ama i film strettamente inquadrati in una rigida sequenza di azioni, a chi adora spaziare su diversi fronti di lettura e interpretazione e a coloro i quali non partono da pregiudizi legati a un modo di fare cinema molto diverso da quello "nostrano".