Recensione Ce n'è per tutti (2009)

Il film di Melchionna stimola una riflessione sul senso della vita e dei rapporti umani attraverso il confronto tra Gianluca, aspirante suicida, e i suoi amici superficiali ed egocentrici, con l'onnipresente audience a guidarne i percorsi e i destini.

Il male di vivere, oggi

Quello del male di vivere non è certo un sentimento nuovo per l'uomo. Ci aveva già pensato tutta una stagione letteraria, con capostipite Montale, ad indagarlo qualche decennio fa, o, a voler tornare ancora più indietro, potremmo addirittura rifarci a Baudelaire e al suo spleen: eppure la difficoltà di comunicare, di stabilire un rapporto autentico con gli altri e con il mondo, è più che mai una problematica attuale. Sarebbe facile, e banale, dare la colpa al nostro nuovo concetto di relazione, fondata su una socialità sempre più impalpabile a base di bit, o alla perdita dei tanto sbandierati valori di una volta, ma probabilmente quello di essere solo con se stesso e destinato ad essere incompreso è un fardello che ogni uomo, di qualunque estrazione sociale, provenienza geografica o realtà storica, deve inevitabilmente portare con sé. Il rendersi più o meno conto di questo fa la differenza tra infelici e felici, e sicuramente Gianluca, protagonista di Ce n'è per tutti, fa parte della prima categoria.

Lo vediamo infatti impegnarsi in una vera e propria scalata ai maestosi fornici del Colosseo nel tentativo di allontanarsi, finalmente, da un mondo che finora non deve avergli riservato granché. Un simile gesto non può che essere preso come un tentativo di suicidio, ed ecco quindi che ai piedi dell'anfiteatro si accalcano Polizia, Carabinieri e Vigili del Fuoco, mentre l'onnipresente obiettivo della telecamera riprende ogni cosa, rimbalzandola in un grottesco (ma verosimile) talk show che vede nolenti protagonisti i genitori di Gianluca. Dal canto loro, anche gli amici del giovane sentono di non poter mancare all'evento: chi per una sincera condivisione del suo dramma umano, chi (e sono la maggioranza) perché sente che deve esserci, anche senza un vero motivo. Ad accompagnare Gianluca nelle sue amare riflessioni su se stesso e sul mondo sarà la nonna, che attraverso il racconto della sua giovinezza difficile offrirà al ragazzo una diversa, e meno amara, chiave di lettura della vita. Il film si snoda quindi su diversi binari paralleli: da una parte la realtà casalinga di Gianluca, con una madre inebetita dagli psicofarmaci che, in un appello preteso dalla conduttrice virago, non trova da dirgli altro se non di stare attento al Colosseo, "che sono tutte cose antiche", e un padre che riconosce al figlio "le palle" per suicidarsi. E poi gli amici, o supposti tali: un gruppo eterogeneo in cui, con l'eccezione dello stoico, arrendevole Daniele, nessuno sembra mai staccarsi dal proprio egocentrismo, e per i quali il lungo e trafficato percorso verso il Colosseo diventa un'altra, ennesima occasione di ribadire le proprie insoddisfazioni e le proprie miserie.
Infine Gianluca: i suoi dialoghi disillusi e tragici con la nonna si pongono in netto contrasto con le altre sequenze, tutte improntate sulla tragicomica esasperazione dei comuni vizi di amici e parenti, ma anche degli spettatori, e ci descrivono il dramma della solitudine e, insieme, della normalità, in tutta la sua crudezza. Gianluca, infatti, sa di non avere nulla di diverso dagli altri, dai componenti di quella società che tanto detesta, ed è proprio questo che lo tortura: sebbene questo aspetto sia forse il nucleo più significativo del film, è anche quello reso in maniera cinematograficamente meno convincente.
Se la denuncia dell'indifferenza e della superficialità altrui, a volte talmente inconsapevole da non poter nemmeno essere biasimata, beneficia del taglio ironico sul quale si imposta, il punto di vista di Gianluca è appesantito dalla poca scorrevolezza dei dialoghi con la figura immaginaria della nonna che, nel cercare di esplicitare la propria estraneità, peccano di una teatralità eccessiva. Un difetto in parte mitigato dal buon lavoro di fotografia, che riesce a catturare la prospettiva altra di Gianluca, descrivendone sempre la piccolezza in confronto alla maestosità del cielo o delle pietre millenarie del Colosseo (e non a caso i titoli di coda sono accompagnati da Viandante sul mare di nebbia, quadro emblema dell'estetica del sublime e del romantico). Il pregio maggiore del film rimane comunque quello di riuscire a stimolare una riflessione sul significato dei rapporti umani, della gioia, del dolore, del compromesso, dell'abitudine, in un mondo in cui troppo spesso la vita, e non soltanto quella degli altri, è considerata uno spettacolo da rendere il più possibile accattivante, in cui nessuno rinuncia all'invito, anche se è quello ad un funerale.

Movieplayer.it

2.0/5