Recensione Mille miglia... lontano (2006)

Il grande regista cinese torna a raccontare con passione e tensione l'attualità del suo paese, servendosi di un toccante rapporto tra padre e figlio

Il lungo viaggio di Yimou

Un film che assume un protagonista giapponese per parlare della Cina, un punto di vista "vergine", potenzialmente sorprendibile da una realtà multicolore, che cela nel suo grande ventre infiniti splendori così come amare delusioni e barbare imposizioni.
E' questa la prospettiva che un grandissimo amante della propria patria, qual è Zhang Yimou, utilizza per raccontarci questa nuova storia sulla/della sterminata terra cinese.
E sceglie un tema paradigmatico nella descrizione della società della Grande Muraglia, quello dell'incomunicabilità orgogliosa tra un padre e un figlio, che si rispecchia e si espande nel rapporto tra la Cina dell'apparato politico/militare e quella del folclore, delle tradizioni millenarie, ma anche (in misura minore) tra la storica e agreste società cinese e quella dinamica e frenetica dei dirimpettai giapponesi, che rispondono con una macchinetta digitale alle esibizioni dei costumi delle feste tradizionali.

Un film impostato dunque su una dicotomia di partenza che, alla prova dei fatti, si rivela estremamente permeabile. Il rapporto tra il vecchio pescatore e il proprio figlio morente, professore giapponese di usi e costumi folcloristici, è assolutamente vivo, nonostante riposi sotto anni di ignoramento reciproco e orgogli mai piegati. Il fatto che il giovane professore non compaia mai sullo schermo, indica di quanto simbolica sia la sua figura, ma al contempo di quanto sia decisiva per la narrazione di un rapporto vero, di una storia che abbia uno spessore e una tensione non falsi.
Il padre intraprende un lungo e accidentato viaggio, alla ricerca di quell'opera, Mille miglia... lontano, che il figlio avrebbe voluto riprendere lui stesso.
E il viaggio si snoda sommesso come il rapporto tra i due uomini, non raccontato, non palesato nel girato, ma che emerge in ogni angolo della pellicola, colmo di un sentimento di riappacificazione e di una tensione al re-incontro, che emergono con timidezza ma la cui soffusa potenza arriva a trascinare con sé ogni possibile altra lettura del film.

Yimou riesce così a spostare il fulcro narrativo del film, lo snodo da cui si muove la macchina da presa, su un elemento extra-diegetico, riuscendo, per contrasto, ad evidenziare quel che attorno a quella scaturigine invisibile si muove.
Così Mille miglia... lontano è si un film sul sentimento, sul rapporto umano come fondamento di qualsiasi avventura che valga la pena di vivere, ma è anche uno spaccato lucido e discreto sulla Cina odierna, sul suo panorama interno, che tende a divergere in mille rivoli contrastanti, molti dei quali incompatibili, come sul suo rapporto con l'altro, con lo straniero, nei confronti del quale quei rivoli, forzosamente, si riuniscono, per fornire all'occhio non allenato un'immagine di perfetta unione, di monolitica sincronia.
Il tutto fotografato (come è uso di Yimou) splendidamente da Xiaoding Zhao, che sa saturare ottimamente i bianchi e neri delle immagini di raccordo, come anche misurare i cromatismi nelle situazioni in cui è l'azione scenica il fulcro dell'immagine.
Forse la voce narrante si pone come eccessivamente didascalica, ma è una delle poche sbavature di un regista che, dopo il trascurabile wuxia La foresta dei pugnali volanti, è tornato a colpire per profondità di narrazione e polisemia di linguaggi e significati.