Si chiude con una sorpresa il 55° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, si chiude con la vittoria di un musical Sudafricano, U-Carmen eKhayelitsha, su cui in pochissimi avrebbero puntato.
Eppure l'intera manifestazione, sin dall'inizio con la pellicola d'apertura Man to Man e i due film sul genocidio del Rwanda (Hotel Rwanda e Sometimes in April), aveva dimostrato un'attenzione particolare al continente africano, alle sue tradizioni, ai suoi abitanti ed anche al suo nuovo, emergente, filone cinematografico.
I due premi a La rosa bianca - Sophie Scholl sono sicuramente meno sorprendenti non solo perché il film è di nazionalità tedesca e quindi come si suol dire "giocava in casa", ma perché di argomento di sicuro interesse. E si può senza dubbio dire che il nazismo e l'olocausto non sono più un argomento tabù a Berlino, se consideriamo che due dei film più interessanti visti al festival sono l'ungherese Fateless e il film evento La disfatta, campione d'incassi in patria lo scorso anno, pilastro dell'intera rassegna sul cinema tedesco. In più Sophie Scholl è anche una biopic, un film basato su una storia vera, genere mai tanto di moda quanto quest'anno in tutte le manifestazioni (basti pensare agli Oscar con The Aviator e Ray) e ma anche a Berlino con Kinsey e Beyond the Sea.
Altro filone seguito sempre con crescente interesse è il cinema orientale, ormai da diversi anni sempre più presente nei festival europei, e i due premi a Tian bian yi duo yun del regista Tsai Ming Liang o il gran premio della giuria assegnato Kong que, ottimo esordio dietro la macchina da presa del grande direttore della fotografia Gu Changwei, sono sicuramente significativi.
Il miglior film europeo per la giuria è il palestinese Paradise Now, apprezzatissimo da critica e pubblico, ma per il resto
il cinema del vecchio continente è stato poco incisivo: anche senza considerare la delusione italiana di Provincia meccanica (sicuramente tra tutti i film in concorso il meno amato dalla critica), anche Asylum, Gespenster, Le passeggiate al Campo di Marte, Anklaget (solo per citarne alcuni) sono tutti film potenzialmente interessanti su carta ma poco riusciti sul fronte cinematografico. E se le eccezioni servono appunto a confermare la regola, il russo Solnze di Aleksandr Sokurov è invece splendido nella sua forma incredibilmente curata e dilatata e intenso nei significati, un ritratto profondo e delicato dell'imperatore Hiro Hito che conclude la sua trilogia sui protagonisti dell'ultima grande guerra, dopo Hitler e Stalin.
E chiudiamo questo breve sguardo ai film in concorso constatando come il cinema americano continui a dimostrarsi in grande forma riuscendo a portare finalmente un pò di allegria e "leggerezza" al festival senza per questo perdere né di intensità o qualità, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Thumbsucker e, in misura minore, anche In Good Company sono degni rappresentanti di un cinema giovane e fresco, pungente ed intelligente, che è forse proprio l'antitesi di quello che viene normalmente considerato lo scenario da festival. E non sempre a ragione, come è stato dimostrato in questi giorni.
Ma visto che si parla di vincitori e premi, lasciateci spendere due parole sul festival vero e proprio, quello che abbiamo affrontato per undici giorni e che è fatto di proiezioni e conferenza, interviste e incontri stampa, ma normalmente anche di file chilometriche, ritardi e disastri vari. L'organizzazione della Berlinale è invece ottima in ogni sua forma: affascinante nella sua presentazione e locazione, sorprendente in quanto a puntualità e precisione. I biglietti vanno a ruba dal primo giorno e non c'è evento che non sia gradito: le sezioni parallele Panorama e International Forum presentano gioielli che non avrebbero sfigurato in quella principale, le rassegne dedicate ai più giovani e cinema tedesco non mancano mai di incuriosire e le retrospettive riportano nelle sale capolavori imperdibili, dall'intera filmografia di Stanley Kubrick al Brazil di Terry Gilliam, passando per i nostrani Michelangelo Antonioni (L'eclisse) e Federico Fellini (E la nave va), perle di comicità di Jacques Tati e Billy Wilder, o autentiche pietre miliari restaurate per l'occasione come La corazzata Potemkin o I cancelli del cielo.
La 55° edizione della Berlinale, insomma, sembrava partita in sordina anche a causa della mancanza di film di grande richiamo per il pubblico come per gli anni passati o poco mondana a causa della mancanza di grandi star di richiamo internazionale, ma si è fatta notare comunque un programma abbastanza valido e molto variegato. Ora non resta da attendere che i film arrivino anche nelle sale nostrane e vedere come reagirà il pubblico italiano.