Nel 1977 erano già passati dieci anni dagli ultimi progetti direttamente supervisionati dal papà di Topolino, da quel Walt Disney che si era rivelato artista capace di mettere in piedi un vero e proprio impero con la sua creatività e la sua ambizione, eppure in casa Disney non c'era l'intenzione di smettere di produrre progetti capaci di conquistare il pubblico ed allo stesso tempo innovare il mondo del cinema. Di lì a qualche anno avrebbero tentato di seguire le orme dello Star Wars di George Lucas con un Il buco nero incapace di conquistare il grande pubblico, così come avrebbero messo in piedi uno dei primi esperimenti con la grafica al computer in un film come TRON, a suo modo rivoluzionario, ma senza perdere di vista quel pubblico di giovanissimi che rappresentava il loro target principale.
Chi, come chi scrive, è stato bambino in quegli anni, ricorderà la buffa silouette verde e tondeggiante protagonista del film Elliott, il drago invisibile, un figura che non poteva passare inosservata, perché appartenente ad un personaggio animato in un film live action. C'erano già stati proprio in casa Disney altri contatti tra interpreti reali e personaggi disegnati, per esempio in Mary Poppins e in Pomi d'ottone e manici di scopa, ma i miracoli del settore che avrebbe raggiunto una pietra miliare come Chi ha incastrato Roger Rabbit? erano lontani ancora undici anni. Per questo, più del film in sé, un personaggio come il drago Elliott non poteva non lasciare un segno nei giovani spettatori dell'epoca.
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Amici per la pelle
Elliott non è però l'unico protagonista de Il drago invisibile, che nel suo titolo originale, Pete's Dragon, tradisce la centralità del bambino che è suo amico: Pete, il misterioso bambino ritrovato nei boschi del Pacific Northwest dalla guardia forestale Grace. Un bambino che sostiene, appunto, di vivere lì insieme ad un gigantesco drago verde, avvalorando i racconti del signor Meacham, padre della donna, un vecchio intagliatore di legno che con le sue storie riguardo questo feroce animale che si nasconde nella foresta locale ha sempre affascinato, e spaventato, i bambini della cittadina. Incuriosita dal misterioso ragazzino, Grace decide di indagare sulla sua provenienza e la sua storia, aiutata dalla figlia del proprietario della segheria locale, l'undicenne Natalie, che col bambino riesce ad instaurare un rapporto di fiducia reciproca, ma attirando le attenzioni poco amichevoli di un gruppo di cacciatori della cittadina.
Le inevitabili differenze
Già dall'accenno di trama che vi abbiamo proposto è evidente quanto Il drago invisibile sia diverso da quello realizzato nel 1977, a cominciare da una scelta di base che ne fa, sin dalla concezione, un altro tipo di film: se Elliott, il drago invisibile era a tutti gli effetti un musical, con canzoni e coreografie che contribuivano allo sviluppo della storia, la versione moderna rinuncia a questo aspetto per seguire la strada più sicura di una favola tradizionale nell'impostazione, semplice e lineare (ma, attenzione, mai banale) che attraverso la storia dell'amicizia tra un bambino e un drago racconta temi come la tolleranza e l'accettazione, senza rinunciare ad una spruzzata di spirito ecologista che non stona con il tono e lo sviluppo della narrazione. Un'altra differenza che salta subito all'occhio è proprio il drago Elliott, non più realizzato con l'animazione tradizionale (che vantava una firma del calibro di Don Bluth), ma con una più moderna, e di ottimo livello, CGI. Una scelta che pone una distanza enorme tra le due produzioni, perché laddove il buffo drago verde del 1977 risaltava come sotto un riflettore quando in scena, come dei caratteri in stampatello in un testo in corsivo, la sua controparte in computer graphic si fonde alla perfezione con l'ambiente, si amalgama con i personaggi essendo parte omogenea e organica del film. Invisibile quanto e più del personaggio che rappresenta.
Il nuovo Elliott
Il nuovo Elliott è quindi un protagonista a tutti gli effetti del film che lo ospita e riesce a creare un rapporto simbiotico con l'amico Pete, una interazione che li rende uno parte dell'altro, complementari, dando una sensazione simile a quella evocata da uno dei videogiochi annunciati per i prossimi mesi, quel The Last Guardian tanto atteso dagli appassionati del settore. Se il film funziona è perché funziona Elliott, e non solo per la mirabile realizzazione tecnica, dal dettaglio del pelo alla realistica goffaggine dei suoi movimenti, alla solidità e pesantezza del suo passo e l'evidente fatica nel prendere il volo. Funziona anche per la dolcezza nello sguardo e la capacità di comunicare delle sue espressioni, per la credibilità che ha la sua presenza scenica, quella sensazione di trovarsi al cospetto di un animale vero e proprio. Una caratteristica così ben riuscita che forse ha rischiato di portare fuori rotta anche il regista David Lowery, perché se ha un difetto questa nuova versione della storia di S.S. Field e Seton I. Miller è l'eccessivo compiacimento con cui indugia sulle gioiose sequenze di gioco tra Pete ed Elliott che, almeno nella prima parte del film, rallentano troppo lo sviluppo del plot e fa sì che il film fatichi a carburare.
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La forza di un marchio
Quando, però, finalmente lo fa, Il drago invisibile si dimostra una favola riuscita e piacevole, capace di decollare, come il drago che ne è protagonista, sulle ali dell'emozione che l'amicizia tra Pete ed Elliott riesce a veicolare con delicatezza e garbo. È evidente che si tratta di un film per un pubblico più giovane e che quindi può stancare chi si aspetta e apprezza un approfondimento maggiore e trovate di sceneggiatura più profonde e complesse, ma va detto che pur nella sua linearità il film di Lowery si concede alcuni momenti più cupi e maturi, il cui coraggio va apprezzato. Quello che viene fuori ancora una volta è la forza di un marchio come quello Disney, che ha trovato oggi una nuova via in questi remake live action di grandi storie del suo passato, da Cenerentola a Il libro della giungla al prossimo La Bella e la Bestia. Da questo punto di vista, sia Il drago invisibile che il suo predecessore si dimostrano coerenti e compatibili con il contesto in cui nascono, inserendosi in un filone e completando la filmografia di uno studio che ha, oggi come allora, le idee chiare su quale sia il suo pubblico e come assecondarne i gusti.
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Movieplayer.it
3.5/5