Recensione Sympathy for the Devil (1968)

La politica, il sesso, il blues e il rock, il ruolo della donna nella società, e ancora l'ideologia, il passato, il presente e il futuro, tutti elementi inseriti in un film che non spiega il mondo ma affonda la mdp come fossero unghie e denti nelle contraddizioni sociali.

Il diavolo e il sessantotto

Il cinema di Jean-Luc Godard è l'espressione di un sogno, realizzato più per pensare che per raccontare delle storie. Sympathy for the Devil (One plus One il titolo della versione originale) è un sogno ideato per pensare a quel periodo storico di contestazioni e discussioni di modelli sociali, prima di allora ritenuti inviolabili e incontestabili, quasi sacri. Il regista francese ci fa vedere il Sessantotto da diverse prospettive, o meglio solo da due; One plus one, dove uno era lui, Godard, che abbraccia per la prima volta la politica nella sua concezione di cinema, e uno era ciò che gli stava davanti, i The Rolling Stones (nella stesura di un primo progetto aveva pensato ai The Beatles). Tra queste due differenti visioni un'America duplice, contestata e contestatrice. Godard, da un lato, offre la visione di un francese alto-borghese, marxista-leninista, contestatore, intellettuale e provocatore, dall'altro lato è testimone della visione dei Rolling Stones, inglesi di estrazione proletaria, esibizionisti e già proiettati verso una dimensione "industriale" della musica.

Nel film, le riprese in studio dei Rolling Stones che provano la loro canzone Sympathy for the Devil, accompagnano e si alternano, ai quattro episodi che esprimono la visione godardiana del cinema e del sessantotto, mischiando tra loro non solo tracce visive, ma anche audio, come quella voce fuori campo che contamina ogni cosa, compreso il rock, di storie di spionaggio e porno, probabilmente scritte dallo stesso cineasta. Vediamo Anne Wiazemsky (al periodo compagna di Jean-Luc Godard) che gira per Londra disegnando su muri e macchine scritte rivoluzionarie, un gruppo di Pantere Nere che fucilano alcune ragazze bianche in un cimitero di automobili, archetipo sulla quale regge una struttura sociale fragile e arrugginita, ma ormai investita dalla contestazione sociale e culturale, una lunga intervista, sempre alla Wiazemsky, che impersona in abito puro e ottocentesco la Democrazia Liberale, rispondendo alle domande di una troupe televisiva solo con un si o un no, ed infine un libraio fascista di riviste porno-soft, che mentre legge stralci del Mein Kampf, fa schiaffeggiare dai suoi clienti due ebrei pacifisti sanguinanti in volto e nelle mani.
In questo film, in Italia visto da pochi perché mal distribuito, ciò che colpisce l'immaginario, andando oltre ai proclami di lotta delle Pantere Nere o all'apatia della Democrazia Liberale, sono le riprese in studio degli Stones; sequenze tra le migliori mai realizzate nel campo musicale. Ciò che più stupisce in queste lunghe sedute a presa diretta è la realtà del gruppo inglese, due scene su tutte; l'immagine silenziosa e isolata del biondissimo Brian Jones che ne preannuncia la morte imminente, e il re Mick Jagger, l'unico che vediamo divertirsi all'idea di essere anche filmato.

La politica, il sesso, il blues e il rock, il ruolo della donna nella società, e ancora l'ideologia, il passato, il presente e il futuro, tutti elementi inseriti in un film che non spiega il mondo ma affonda la mdp come fossero unghie e denti nelle contraddizioni sociali. Un intreccio di visioni, rappresentate in sequenze che nella loro quasi totalità sono dei piano sequenza di una durata oscillate tra i 10 e 15 minuti, che terminano in una spiaggia dove su una gru vediamo innalzare verso il cielo il corpo insanguinato e senza vita della Democrazia Liberale; immobile e fredda tra quelle due ideologie che nel 68 si scontrarono (quella comunista e quella fascista), rappresentate qui idealmente da due bandiere una rossa e l'altra nera, dopo solo l'immagine nera e i rumori del mare.

In fine, nel ricordare questo film come una delle pellicole più importanti del Sessantotto, anticipatore dell'idea del film scisso, vale la pena ricordare anche ciò che accadde in occasione della prima proiezione pubblica: presentato per la prima volta in una versione "manomessa" dal produttore Iain Quarrier, il quale diede anche un titolo differente, Sympathy for the Devil, il 29 novembre del 1968 presso il National Film Theatre di Londra, Godard, sorpreso, pare reagì con ira, e dopo l'irruzione sul palco, chiese al pubblico presente di uscire dalla sala e assistere alla proiezione della sua versione all'esterno dell'edificio sotto il Ponte di Waterloo.