"Questo è il mio paese!" "Non più: è il paese di Lindbergh, di chi odia gli ebrei, degli America Firsters, della gente che insegue i bambini per strada facendo domande e alla fine deporta le loro famiglie in Kentucky... è il loro paese."
"La paura domina questi ricordi, un'eterna paura. Certo, nessuna infanzia è priva di terrori, eppure mi domando se da ragazzo avrei avuto meno paura se Lindbergh non fosse diventato presidente o se io stesso non fossi stato di origine ebraica". La citazione in apertura della nostra recensione de Il complotto contro l'America costituisce l'incipit del romanzo in cui, nel 2004, Philip Roth amalgamava storia e finzione per dipingere un agghiacciante scenario ucronico: la sconfitta alle elezioni del 1940 del Presidente in carica, Franklin Delano Roosevelt, contro il celebre aviatore Charles Lindbergh, e la successiva alleanza degli Stati Uniti con la Germania di Adolf Hitler, che nel frattempo sta mettendo in ginocchio l'Europa. Una realtà alternativa non troppo dissimile da quella immaginata nel 1962 da Philip K. Dick nel suo libro più famoso, La svastica sul sole.
Come (non) eravamo: gli anni Quaranta secondo Philip Roth
Le prime righe de Il complotto contro l'America già racchiudono il senso del libro di Philip Roth, una delle migliori opere del prolifico scrittore di Newark: la componente autobiografica, a partire da un'infanzia segnata dalla paura dell'antisemitismo, e quella fantapolitica, che induce a interrogarsi su quanto sia stata concreta la possibilità che il treno della storia deragliasse dalle sue rotaie, che il nostro presente fosse completamente diverso rispetto a quello da noi ereditato. Ma ancora più significative risultano essere altre domande: in che modo il romanzo di Roth rifletteva umori e turbamenti dell'America del 2004, ancora scossa dal trauma dell'11 settembre? E i suoi fittizi anni Quaranta, messi in scena nella serie di Ed Burns e David Simon, cosa sono in grado di dirci a proposito dell'America del 2020, nell'ultimo (?) atto della Presidenza di Donald Trump?
Populismo, antisemitismo e xenofobia: gli spettri di ieri, durante il braccio di ferro con i totalitarismi europei, e di oggi, epoca di rabbiosi fermenti contro varie forme di immigrazione e dei tentativi di rivalsa dei suprematisti bianchi. Nell'arco dei sei episodi de Il complotto contro l'America, diretti per metà da Minkie Spiro e per metà da Thomas Schlamme, tali spettri prendono forma nella città-natale di Roth, Newark, in New Jersey, a cavallo fra il 1940 e il 1942, nella ridente cornice suburbana che fa da teatro alla routine di Herman e Bess Levin (Morgan Spector e Zoe Kazan) e dei membri della loro famiglia (che però nel libro, vale la pena ricordarlo, fa di cognome Roth): i figli Sandy (Caleb Malis) e Philip (Azhy Robertson), la sorella maggiore di Bess, Evelyn (Winona Ryder), e il nipote adulto di Herman, Alvin (Anthony Boyle).
Winona Ryder, la riscossa di una ragazza dark da Beetlejuice a Stranger Things
L'America all'ombra dell'antisemitismo
Un meccanismo narrativo corale, che in più occasioni favorisce lo sguardo ad altezza di bambino del piccolo Philip, spettatore inerme dell'ondata antisemita nell'America del neo-eletto Presidente Lindbergh (Ben Cole), e di Sandy, adolescente diviso fra gli impulsi di ribellione nei confronti del padre Herman e la fascinazione esercitata dalla zia Evelyn. Perché mentre Herman, acceso sostenitore di Roosevelt, si mostra incredulo e allarmato di fronte all'escalation di soprusi ai danni della comunità ebraica, Evelyn preferisce abbandonarsi al carisma e ai discorsi rassicuranti del rabbino Lionel Bengelsdorf (John Turturro), pronto a fare da cassa di risonanza al repubblicano Lindbergh e a sminuire le preoccupazioni in merito alle trattative con il ministro tedesco Joachim von Ribbentrop (Orest Ludwig).
Intanto l'ardimentoso Alvin decide di arruolarsi nell'esercito canadese e si reca a combattere il nazismo in Europa, mentre la famiglia Levin, sempre più divisa al proprio interno, assiste alla trasformazione di un paese che abdica progressivamente al proprio ruolo di baluardo della democrazia. E se i primi episodi, caratterizzati da un ritmo più dilatato, fungono soprattutto a introdurre e definire i personaggi in gioco, le puntate successive vedranno crescere tensione e conflitti fino alla climax dell'ultimo atto, fra l'esplosione di pogrom in varie località degli Stati Uniti e i colpi di scena relativi agli equilibri di potere dentro la Casa Bianca.
American Pastoral: gruppo di famiglia in un inferno
Dal romanzo allo schermo: il confronto con un gigante
David Simon, creatore dell'acclamata serie The Wire e dell'ottimo Show Me a Hero, e il suo collaboratore di lunga data Ed Burns scelgono la via della fedeltà quasi filologica al romanzo di Philip Roth: un approccio motivato dalla natura stessa del libro, che si presta più facilmente a un adattamento drammaturgico rispetto ad altri titoli del grandissimo scrittore americano. Non è un caso che finora le trasposizioni della sua opera, per quanto talvolta più che pregevoli, non abbiano mai suscitato troppo entusiasmo: restituire la complessità e la densità delle pagine costituisce di Roth un'impresa proibitiva. Stavolta, tuttavia, la struttura e l'ampiezza del formato seriale hanno giovato non poco all'operazione, offrendo a Simon e Burns l'opportunità di 'cesellare' i ritratti dei vari comprimari, di concedere il giusto spazio alle loro vicende e di soffermarsi sulle sfumature, sociali e psicologiche, di un racconto straordinariamente potente.
Conclusioni
Come abbiamo lasciato emergere in questa recensione de Il complotto contro l’America, il lavoro condotto da Ed Burns e David Simon riesce dunque a restituire sia le riflessioni elaborate da Philip Roth attraverso l'espediente della fantapolitica, sia i momenti più incisivi e dolorosi di una cronaca familiare che, in molti casi, assume i contorni di un tormentato racconto di formazione: e pertanto, all’indignazione infuocata di Herman e alla strenua resilienza di Bess (che trovano in Morgan Spector e Zoe Kazan due solidi interpreti) offrono un ideale controcampo i giovanissimi Sandy e Philip, con la loro innocenza confusa e smarrita e il loro sguardo inquieto puntato verso un mondo sul ciglio del baratro.
Perché ci piace
- L’ampio respiro di un adattamento che non tradisce l’ambizione, la profondità e la ricchezza del capolavoro di Philip Roth.
- La capacità di conferire spazio e attenzione a ciascun personaggio, costruendo un magnifico racconto corale.
- La forza emotiva di cui sono innervate numerose scene, ma senza mai rinunciare a una rigorosa lucidità di fondo.
- Un cast eccellente, dagli interpreti più giovani fino ai volti noti quali Winona Ryder e John Turturro.
Cosa non va
- La relativa ‘lentezza’ degli episodi iniziali, che potrebbe scoraggiare gli spettatori meno motivati.