Il colpevole - The Guilty, la recensione: un thriller (tutt’altro che) telefonato

La recensione de Il colpevole - The Guilty, il thriller danese che gioca sull'impianto sonoro e sulla partecipazione emotiva del pubblico.

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Il colpevole - The Guilty: Jakob Cedergren in un momento del film

Scrivendo la recensione de Il colpevole - The Guilty, thriller danese che arriva nelle sale italiane a poco più di un anno dal fortunato esordio al Sundance Festival, colpisce non solo la qualità del film stesso ma anche il suo strabiliante percorso: premio del pubblico proprio al Sundance, e successivamente anche a Rotterdam e Torino (dove ha anche vinto il premio per la sceneggiatura e per l'interpretazione maschile), nonché il premio della critica al Festival di Zurigo per la migliore opera prima. Traguardi notevoli per il primo lungometraggio di Gustav Möller, cineasta svedese trapiantato in Danimarca che è addirittura stato scelto per rappresentare la sua nazione adottiva agli Oscar nella categoria del film straniero, arrivando alla shortlist di nove titoli da cui sono poi stati selezionati i cinque finalisti. Si parla già anche di remake americano, con Jake Gyllenhaal, ma alla luce del lavoro di Möller i dubbi su un eventuale adattamento statunitense non sarebbero pochi.

La tragedia di un uomo solo

Chi è il colpevole del titolo? Viene spontaneo pensare che si tratti del rapitore di Iben (Jessica Dinnage), la donna che chiama disperatamente il 112 di Copenaghen ed entra così in contatto con il poliziotto Asger Holm (Jakob Cedergren, anche lui, come il regista, svedese di nascita ma attivo in Danimarca sul piano professionale). Ma anche lo stesso Asger ha qualcosa da nascondere, un segreto inconfessabile legato al motivo per cui, dopo anni di servizio attivo, è relegato a una scrivania, armato solamente di telefono. Tra i due si crea un rapporto teso ma sincero basato sull'empatia reciproca, e si instaura una corsa contro il tempo per scoprire chi ha sequestrato la donna, la quale ha anche lasciato due figli piccoli a casa. Una corsa che non vediamo mai, poiché la macchina da presa rimane (quasi) fissa sul volto progressivamente disperato di Asger, bloccato in una stanzetta dalla quale non può uscire.

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Il colpevole - The Guilty: una scena del film

La vera forza, quasi ipnotica, de Il colpevole - The Guilty sta in quella scelta, in apparenza semplice ma in realtà molto stratificata: il sequestro e la relativa indagine esistono solo sotto forma di audio, e seguiamo il tutto tramite il punto di vista di Asger. Motivo in più per cercare, nei limiti del possibile, di assistere a una proiezione in lingua originale: a parte alcuni comprimari fisici che appaiono sporadicamente, l'intero cast secondario è stato scelto in base alle doti vocali, alla capacità di creare non solo i personaggi, ma praticamente un mondo intero, solo con la voce, quasi fosse un radiodramma d'altri tempi o una sessione di doppiaggio per un prodotto d'animazione. Iben non c'è, è invisibile ma al contempo fin troppo visibile, grazie all'umanità e alla disperazione veicolate dalla performance "telefonata" di Jessica Dinnage. L'esercizio di stile, presente nella precisione geometrica della scenografia ridotta al minimo e nel lavoro meticoloso fatto sull'impianto sonoro, si sposa perfettamente con la voglia di raccontare una storia coinvolgente di persone danneggiate che trovano, anche solo per pochi istanti, qualcuno che è in grado di capirle.

Il poliziotto, la vittima e lo spettatore

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Il colpevole - The Guilty: Jakob Cedergren in una scena del film

Il volto di Cedergren e la voce di Dinnage, due ricettacoli di sofferenza e speranza, due elementi che attivano i sensi dello spettatore e lo rendono davvero partecipe nella costruzione del microcosmo immaginato da Gustav Möller. Ascoltando i tormenti di Iben, i pianti disperati dei suoi figli, i rumori del sequestro stesso e gli aggiornamenti di chi sta cercando di risolvere il caso sul campo, non ci limitiamo a seguire la storia propostaci dal regista, ma riempiamo a modo nostro il considerevole vuoto lasciato all'immaginazione, dando un volto a vittima e carnefice, visualizzando il freddo e crudele paesaggio scandinavo dove si consuma la caccia all'uomo, raggiungendo una catarsi emotiva condita dal linguaggio del corpo di Asger, la cui evoluzione narrativa procede di pari passo con l'esperienza sensoriale del pubblico. E al termine di tale esperienza, stremati, ci si interroga sul senso di un rifacimento americano, che o farà un'operazione di "copia e incolla", inquadratura per inquadratura, o opterà per un approccio più classico, nel qual caso non sarebbe necessario scomodare il lavoro di Möller poiché di storie simili, nel cinema statunitense, ne abbiamo già viste e sentite.

Movieplayer.it

4.0/5