Purtroppo a Venezia viene presentato fuori concorso, altrimenti Il caso Spotlight avrebbe ipotecato qualche leone fin dal secondo giorno di Mostra. Di certo sarà un temibile avversario agli Oscar, viste le incredibili performance del cast capitanato da Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams e Stanley Tucci. La quinta regia di Tom McCarthy è un'opera potente, che ricostruisce con dovizia di dettagli l'operato di Spotlight, gruppo di giornalisti investigativi in forza al Boston Globe. Nel 2002 il team dimostrò la responsabilità della chiesa cattolica di Boston, colpevole di aver insabbiato più di settanta casi di molestie sessuali su minori da parte di preti. L'inchiesta fece enorme scalpore e valse ai reporter il Pulitzer. Il caso Spotlight è un potente affresco giornalistico che si riallaccia alla grande tradizione del cinema civile americano sul giornalismo. Un titolo per tutti? Il magnifico Tutti gli uomini del presidente. "Ogni film che parla di giornalismo deve vedersela con il capolavoro di Alan J. Pakula. Prima di girare il film, ho cercato di non guardare a quel modello, anche se nel cuore sapevo di amare quel film ed ero consapevole che mi avrebbe influenzato. E' un'opera solida, sobria, una pietra miliare. Nel mio caso, però, è stata la storia che ho deciso di raccontare a dettare le regole al mio film".
Ad accompagnare a Venezia Tom McCarthy vi è una piccola, ma significativa rappresentanza del ricco cast, composta da Mark Ruffalo e Stanley Tucci. Dopo la recente sortita estiva che lo ha visto ospite del Giffoni Experience, Ruffalo è tornato in Italia accolto dall'entusiasmo delle fan, accampate da stamattina fuori dal red carpet per tentare di strappare un selfie a Hulk. A parlare dell'approccio con fatti e personaggi reali è Stanley Tucci che spiega: "Quando interpretiamo una persona vivente o realmente esistita abbiamo l'obbligo di attenerci alla realtà. La responsabilità nei confronti di un personaggio, inventato o reale che sia, esiste sempre. Io non ho incontrato il vero Mitchell Garabedian. E' stato Tom a consigliarmi di non farlo perché aveva una personalità molto complessa, ma ho avuto comunque a disposizione un sacco di materale per prepararmi". Aggiunge Mark Ruffalo: "Io ho conosciuto il mio personaggio, Michael Rezendes, anche se non ho potuto passare molto tempo con lui. L'ho sfruttato per scopi recitativi e sono perfettamente conscio della responsabilità che avevo. Nel film ho parecchie scene con Stanley Tucci e per me è stato un grande dono poter lavorare con lui".
Chiesa e pedofilia, un perdono è possibile?
Come il recente Philomena, anche Il caso Spotlight affronta un tema delicatissimo, di cui ancor adesso negli ambienti cattolici si fa fatica a parlare. Tom McCarthy è consapevole di aver messo il dito nella piaga, ricostruendo il caso giornalistico che portò alla ribalta le colpe della chiesa di Boston. Al riguardo spiega: "Nella nostra ricerca, parlando con i sopravvissuti agli abusi, in molti hanno messo in luce il doppio tradimento perpetrato dalla chiesa, l'abuso fisico e quello spirituale. Per molte di queste persone la religione contava moltissimo perciò si sono sentite abbandonate dalla chiesa stessa. Per molte delle vittime non è finita bene, ma anche i sopravvissuti hanno avuto molte difficoltà. Prima di fare le mie ricerche non avevo mai riflettuto sulla gravità di un crimine così diabolico". Un film non cambia il mondo, ma sono in molti ad auspicare che opere di un certo valore aprano gli occhi di fronte ai mali della società. E' di questo avviso Stanley Tucci che non esclude la possibilità di un cambiamento anche in una struttura così rigidamente tradizionalista come la chiesa cattolica: "Credo che Papa Francesco sia straordinario nell'aver portato la chiesa cattolica a una prima apertura, a una parziale ammissione dei crimini. Se c'è qualcuno che può cambiare le cose è proprio questo Papa". Tom Mccarthy non è altrettanto ottimista: "Capisco Stanley, ma dopo aver girato il film sono piuttosto pessimista riguardo ai cambiamenti della chiesa. Un conto sono le parole, un altro i fatti. Non mi aspetto alcuna reazione riguardo al mio film, ma sarei felice di aver torto. Vorrei che il Papa vedesse Il caso Spotlight".
Giornalismo d'inchiesta: la ricetta contro i mali della società
Insieme alla Chiesa, l'altro elemento focale de Il caso Spotlight è l'inchiesta giornalistica. Il film mostra un metodo lavorativo che, con l'avvento di internet e la crisi dell'editoria tradizionale, rischia di scomparire. Tom McCarthy sembra particolarmente sensibile alla questione. "Spotlight esiste ancora, per miracolo. L'industria del giornalismo è stata decimata, in America come in altri paesi. I giornali hanno subito pesanti tagli. Io spero che questo film aiuti il giornalismo mostrando il lavoro eccezionale fatto dai reporter coinvolti nella storia. Non sono sicuro che il pubblico si renda conto di quanto sia grave la situazione, ma è fondamentale per una democrazia sana avere una stampa forte e indipendente. Oggi i grandi giornali si basano sulla ricerca continua del profitto. Così si perde il giornalismo professionale. Ci servono reporter che scendano sul campo. Oggi non ci sono più inviati, è diminuito il numero di persone che lavoravano sul territorio. E' un buon momento per i corrotti perché nessuno ti tiene d'occhio sul posto. In questo film mostro qualcosa che temo sia già stato perduto". Sulla questione, Mark Ruffalo si dimostra più ottimista: "I media hanno perso gran parte della loro credibilità dopo la guerra in Iraq. Oggi l'informazione non ci arriva più in maniera centralizzata, ad esempio dal New York Times, ma arriva lo stesso. C'è il web, siamo solo all'inizio dei nuovi media. Il vecchio modello è passato alle notizie 24 ore su 24, ma ha perso perché non è più credibile come in passato. Esistono ancora oggi bravissimi giornalisti investigativi che però ora sono finanziati dai lettori, non dipendono più da nessuno".
Mark Ruffalo, il pasionario
Parlando dei problemi che affliggono il presente, Mark Ruffalo si accende. L'attore, noto per il suo attivismo a favore dell'ambiente e dei diritti civili, ha a cuore i destini del pianeta e non manca occasione per ribadire i temi che gli stanno a cuore. E' forse questa una ragione per cui Tom McCarty lo ha voluto per il suo film? Il regista nega: "Per arrivare al personaggio, ci vogliono gli attori giusti e gli attori per me sono stati una scelta immediata. Michael Keaton, Mark Ruffalo, Stanley Tucci sono attori capaci di creare un personaggio che viva al di fuori del film. Ho scelto Mark perché era il più adatto al ruolo di Michael Rezendes. Ammiro, però, il suo attivismo e non riesco a capire come riesca a trovare il tempo per fare tutto". Anche se sembra pacato e riflessivo, in effetti Mark Ruffalo sembra condividere con il vero Rezendes una dedizione totale al proprio lavoro e una passione per le cause umanitarie. "Prima di diventare reporter, Mike era un ex tassista quindi conosceva perfettamente Boston. A ogni angolo della strada c'era una chiesa, è una bellissima città antica ed è piena di chiese che danno il senso del potere della gerarchia ecclesiastica. Dopo lo scandalo, molte delle chiese sono state chiuse per risarcire i sopravvissuti. E' come se il potere si fosse sgretolato". Aggiunge Mark Ruffalo: "Non era solo la chiesa, ma il giornale, i politici, le famiglie importanti della città, le scuole, tutti avevano fatto finta di non vedere. Il modo in cui il film ci porta dentro la storia è fortissimo. Ci mette davanti ai fatti. Le chiese sono state chiuse anche perché la gente ha cominciato ad andarsene. E' accaduto in America come in Irlanda. Credo che questa pellicola sia un'opportunità per la chiesa per guarire le proprie ferite".