I mostri della finanza
L'eterno conflitto tra il bene e il male, declinato nelle sue molteplici varianti, rappresenta la base della stragrande maggioranza dei racconti tradizionali.
Wall Street di Oliver Stone non fa eccezione, anche se questa volta il diavolo non si nasconde in luoghi oscuri, ma nei luminosi uffici ai piani alti dei grattacieli di Manhattan, ed ha le fattezze di Michael Douglas. Gordon Gekko, il vero mattatore del film, è un finanziere senza scrupoli che tiene banco con la sua politica disonesta volta esclusivamente all'arricchimento personale e, per perseguire i suoi scopi, coinvolge i suoi collaboratori in un continuo usa e getta, calpestando sentimenti privati e pubblica legalità. L'ultimo, in ordine di tempo, a cadere nella sua trappola è il giovane Bud Fox (Charlie Sheen), broker frustrato ed inclito a perdere per la strada i buoni insegnamenti che gli impartisce il padre Carl, meccanico in una piccola compagnia aerea (Martin Sheen). Come in ogni racconto morale che si rispetti Bud dovrà toccare il fondo, perdendo la fiducia della famiglia, degli amici e dei colleghi di lavoro, per capire ciò che vale veramente e schierarsi dalla parte del bene denunciando le losche speculazioni di Gekko.
Oliver Stone tratteggia un potente affresco ambientato nel cuore dell'impero della finanza americana cofirmando anche la sceneggiatura: il film è dedicato infatti alla memoria del padre del regista, agente di borsa per più di 50 anni. Stone in questo caso punta il dito non verso il mondo della finanza nella sua totalità, ma verso la cattiva finanza, gli eccessi speculativi e lo yuppismo imperante negli anni '80, anni della presidenza reganiana condannata ferocemente dal regista in più occasioni. Il sottotesto autobiografico si innesta energicamente nel racconto principale attraverso la figura dei "due padri": il padre buono e saggio, Carl, interpretato tra l'altro proprio dal vero padre di Charlie Sheen, e quello cattivo, Gordon Gekko, entrambi impegnati in una lotta per il controllo della morale del figlio. Carl, infatti, rifiuta il lavoro che il figlio ha scelto di intraprendere e lo invita più volte a diventare un creatore, a produrre qualcosa e a non basare tutta la proprio vita sulla compravendita, speculando esclusivamente sul lavoro altrui. Bud, a sua volta, accusa il padre di essere un fallito e di avere guadagnato sempre troppo poco. Le scene di conflitto familiare tra Bud e Carl rappresentano alcuni dei momenti di maggiore interesse del film, arricchite dal surplus di interpretazione offerto dai due attori che appartengono realmente alla stessa famiglia, ma il vero mattatore di tutto il film è Gordon Gekko. Un Michael Douglas in forma strepitosa straripa in ogni scena nei panni del finanziere votato ad un'esistenza "bigger than life" offrendo una straordinaria interpretazione che culmina nel monologo di nove minuti "Greed is good" dove Gekko inneggia alla rapacità come unica regola vincente di vita. Performance ricompensata, infatti, con un Oscar come miglior attore protagonista per Douglas. Quasi del tutto assenti, invece, le figure femminili: la bella e algida Daryl Hannah, che viene utilizzata dal regista esclusivamente come status symbol, offre una recitazione talmente incolore da sembrare semplicemente parte della scenografia.
Wall Street è dunque un film potente ed elegante, ma non privo di difetti, tanto da dividere pesantemente la critica nel giudizio effettivo sul suo valore. Ad una prima parte dinamicamente vorticosa, sostenuta da un montaggio teso e vibrante e da un'ottima regia, se ne contrappone una seconda che sembra perdere progressivamente il proprio filo conduttore così che l'estetica non riesce più a colmare le lacune del racconto. La struttura del film, piuttosto schematica, si rifà infatti a quella del più classico morality play con tanto di declino progressivo dell'eroe seguito dal necessario riscatto morale e dalla redenzione finale. Se i punti più alti del film, capaci di sorprendere lo spettatore, sono quelli in cui domina la personalità esplosiva ed assolutamente immorale di Gordon Gekko, il ritorno all'ordine del finale risulta pesantemente moralistico, una lezioncina scolastica assai prevedibile che sconfina nel tedio dopotutto.
Movieplayer.it
3.0/5