"Lui era sempre tre passi davanti a noi, vero?" "Forse lo è ancora."
"There. No more pain". La frase pronunciata dal Frank Underwood di Kevin Spacey cinque anni e mezzo fa, in occasione del debutto della serie, è la stessa frase che ritroviamo nel finale di House of Cards 6, affidata stavolta alla vedova di Frank, Claire Underwood. Il suggello a quel "dolore necessario" che ha costituito un letimotiv dell'intero racconto, e a cui fa seguito un'ultima frattura della quarta parete: lo sguardo implacabile di Claire si solleva dal cadavere di Doug Stamper per rivolgersi alla macchina da presa, dritto su di noi.
La resa dei conti fra la Presidente degli Stati Uniti, interpretata da Robin Wright, e il braccio destro del suo defunto marito, impersonato da Michael Kelly, costituisce non solo la climax dell'episodio Chapter 73, ma il punto d'arrivo di una serie che, dopo sei anni di programmazione e di alterne vicende, fa calare il sipario con l'ennesimo coup de théâtre dal gusto shakespeariano: un omicidio commesso nella Stanza Ovale, con Doug pugnalato a morte da Claire con un tagliacarte, al termine di un serrato confronto su cui grava la presenza/assenza di Frank Underwood, uno spettro mai veramente esorcizzato.
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Tutti i nemici della Presidente
Questa sesta ed ultima stagione di House of Cards, riscritta in corso d'opera a causa del licenziamento di Kevin Spacey, ha ricevuto un'accoglienza piuttosto fredda dalla maggior parte della critica americana, che già negli scorsi anni non si era dimostrata troppo generosa verso la serie creata nel 2013 da Beau Willimon. E gran parte dei limiti già evidenziati si riflettono inevitabilmente sulla puntata di chiusura (diretta dalla stessa Robin Wright), a partire dalla gestione poco convincente degli antagonisti di turno, la potentissima famiglia Shepherd: il magnate Bill (Greg Kinnear), la cui salute è minata all'improvviso da un cancro, è apparso come un villain sempre più fiacco e irrisolto, mentre il giovane Duncan (Cody Fern) è sparito frettolosamente dai radar, con l'abbandono del subplot legato alle sue misteriose origini.
Il più intrigante tra i personaggi è quello di di Annette Shepherd, a cui presta il volto una fascinosa ed ambigua Diane Lane: Chapter 73 riserva qualche minuto ad un ultimo faccia a faccia fra lei e Claire, ma il ruolo di Annette come 'burattinaia' che agisce nell'ombra è rimasto nel complesso meno incisivo del previsto. Nei precedenti episodi, House of Cards ci ha consegnato comunque diversi momenti ricchi di tensione e di pathos: dalle principali sfide affrontate da Claire, praticamente sola contro tutti, ai suoi 'duetti' con l'impenetrabile Jane Davis di Patricia Clarkson. Se la serie ha confermato dunque buona parte dei propri motivi d'interesse, in altri casi le sceneggiature delle varie puntate sono apparse decisamente forzate ed inverosimili: specie riguardo la presunta 'invincibilità' della protagonista, fra prolungate assenze dalla scena pubblica e deliranti minacce di un'imminente guerra nucleare con la Russia.
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Il finale di partita: 'Dovevo proteggere l'eredità dall'uomo'
E nel novero delle "sospensioni dell'incredulità" un po' eccessive rientra pure la parabola di Doug Stamper, ossessivamente legato alla memoria di Frank Underwood perfino dopo la sua morte e impiegato dal clan degli Shepherd come arma per eliminare fisicamente l'odiatissima Claire Underwood. Se l'omicidio del Presidente degli Stati Uniti costituisce ormai un tòpos dell'immaginario americano, il 'duello' fra Doug e Claire, preannunciato fin dall'inizio dell'episodio, è il lacerante finale di partita in chiave quasi western fra una spietata Lady Macbeth che si è conquistata il proprio "trono di sangue" (raggelante la sua conversazione notturna con il simulacro di Claire da adolescente) e l'emissario dello 'spettro' del marito, diventato a sua volta un "morto che cammina" (tanto che l'assassinio di Doug potrebbe quasi essere assimilato a un suicidio per interposta persona).
In Chapter 73, con quell'ipotesi di impeachment post mortem ventilata in conferenza stampa, Claire ha iniziato a demolire l'immagine di Frank Underwood, il modello da lei osservato, imitato, combattuto e, infine, fagocitato. "Non potevo lasciare che distruggesse tutto ciò che abbiamo costruito", sono le parole di Doug, mentre confessa di essere proprio lui l'artefice della morte di Frank; "Dovevo proteggere l'eredità dall'uomo". Il finale di House of Cards, per quanto dotato di innegabile potenza, ha un vago sapore di incompiutezza e lascia aperti diversi percorsi narrativi, ma in quell'ultimo sguardo di Claire, nei suoi occhi gelidi e feroci, almeno una risposta forse è possibile trovarla: l'uomo magari sarà stato abbattuto, l'ennesima vittima in un'infinita scia di sangue, ma la sua mostruosa eredità è più viva che mai.
Movieplayer.it
3.5/5