Pochi dubbi, gli inglesi sanno fare le miniserie thriller, è una loro prerogativa. Ma anche i migliori a volte sbagliano. È il caso di Hostage, nuovo titolo Netflix sicuramente presto in Top 10 che mette insieme due nomi apprezzati della cinematografia inglese e francese per far incontrare proprio i loro rispettivi Stati Europei, storicamente in contrasto, e far fronte ad una difficile situazione socio-politica.
Hostage: tutto parte da un rapimento (e una decisione impossibile)
Nella miniserie Netflix Suranne Jones veste i panni di Abigail Dalton, Primo Ministro Britannico eletta democraticamente che non sta riuscendo a mantenere le promesse fatte durante le elezioni, mentre Julie Delpy quelli di Vivienne Toussaint, la Presidente Francese che sta facendo campagna elettorale per farsi rieleggere. Entrambe hanno bisogno l'una dell'altra, così come le Nazioni che rappresentano, e viene organizzato un incontro proprio a questo scopo.

Durante il summit, però, il marito di Abigail, il Dr. Alex Anderson (Ashley Thomas), in Ghana per Medici Senza Frontiere, viene preso in ostaggio da un gruppo di militari mascherati. La richiesta da parte dei rapitori? Che la donna si dimetta dalla propria carica, e tutto tornerà al proprio posto. "Noi non negoziamo coi terroristi" è sempre il mantra di risposta che vediamo al cinema e in tv, ma in questo caso è la strada giusta da seguire?
Thriller politico e familiare
È una scelta impossibile quella che devono compiere entrambe le protagoniste. Parallelamente, infatti, anche la Presidente Francese, che potrebbe aiutare Dalton a recuperare il marito poiché si trova in territorio francese, viene ricattata a propria volta dai rapitori. Entrambe rischiano di compromettere il proprio futuro in politica e sono chiamate a scegliere tra la propria vita professionale e quella personale. Una scelta che per una donna diventa doppiamente difficile, poiché giudicata e messa sotto i riflettori e la lente d'ingrandimento due volte, dalla stampa come dall'opinione pubblica.

Le due donne, forti e determinate, devono affrontare un grande dilemma mentre cercano di guidare il proprio Paese e rischiano la vita in prima persona. Vengono quasi costrette, dagli eventi e da ciò che le persone si aspettano da loro, ad una spietata rivalità: dovranno imparare a collaborare per il bene della politica estera comune ma anche di quella interna. Come spesso capita in questo tipo di storie, in modo anche un po' prevedibile, saranno entrambe vittime di un complotto: d'altronde, nei thriller politici bisogna sempre guardare in casa propria piuttosto che dall'altra parte della Manica. È interessante la scelta di parlare di un presente-futuro in cui il cambiamento climatico e la crisi economica sono arrivati praticamente agli sgoccioli.
Due interpreti d'eccezione

Julie Delpy non ha molta fortuna con Netflix. Prima con On the Verge - Al limite, la sua prima serie scritta e diretta in prima persona, dopo il successo della Before Trilogy di Richard Linklater, ci aveva convinto a metà nell'affrontare la maturità femminile di un gruppo di amiche a 50 anni. Ora in Hostage la affronta - solamente da attrice - anche a livello politico, ricordandoci come per i personaggi pubblici la sfera tra personale e professionale sia davvero labile e doppiamente difficile da gestire. C'è un dialogo a riguardo molto interessante e rivelatore tra le due quando parlano di solitudine pur essendo costantemente circondate da qualcuno, nel loro lavoro come nella loro vita familiare.

Proprio per questo, tra un colpo di scena abbastanza prevedibile e l'altro, una regia che prova a tenere sul filo del rasoio ma non sempre ci riesce, emergono una serie di situazioni che abbiamo oramai già visto in altrettanti titoli di genere. Non riesce ad emergere nemmeno il cast di contorno - Corey Mylchreest che è Matheo, figliastro della Toussaint, e Lucian Msamati che è il fidato Kofi Adamako per la Dalton - puntando quasi esclusivamente sulla presenza scenica delle due personagge principali. Due attrici che hanno abbastanza esperienza e carisma per farlo ma che allo stesso tempo mostrano il fianco in alcuni frangenti e situazioni. Finiscono per essere in ostaggio non solo dei propri elettori ma anche di una storia già vista.
Conclusioni
Hostage è una miniserie quasi già dimenticata a fine visione, nonostante l’interessante riflessione sul clima socio-politico attuale e sulla presunta rivalità e solitudine tra donne forti al potere, perché troppo figlia di altri prodotti di genere nati prima di lei. Buona la prova di Suranne Jones e Julie Delpy, meno forte il cast di contorno e i colpi di scena messi in campo, anche se coerenti fino alla fine col titolo.
Perché ci piace
- Le due protagoniste femminili e le tematiche che si portano dietro.
- L’ambientazione in un presente-futuro.
- La coerenza di fondo.
Cosa non va
- I colpi di scena e le dinamiche, già viste e un po’ prevedibili.
- Il cast di contorno.