Cosa ha guidato la creazione di Honey Don't secondo capitolo di una trilogia di film lesbici diretto in solitaria da Ethan Coen con la guida alla scrittura della moglie e sceneggiatrice Tricia Cooke? È nato prima il desiderio di realizzare un racconto che omaggia e fonde generi come noir commedia e detective story attraverso una lente lesbica o più la necessità di raccontare la diversa risposta di due donne davanti al trauma che ne ha segnato e plasmato il cammino? Sicuramente la passione condivisa dei due per le storie investigative hardboiled e poliziesche classiche alla Dashiell Hammett, Raymond Chandler o James M. Cain l'ha sicuramente fatta da padrone prevalendo sul percorso interiore dei personaggi.
Honey Don't: riecco Margaret Qualley

Dopo Drive Away Dolls, il primo della trilogia con Margaret Qualley protagonista, Coen e Cooke ritrovano l'attrice e le regalano un ruolo forse ancor più impegnativo, un'investigatrice privata scaltra ma distratta che naviga le acque scontrose e spesso solitarie della piccola cittadina di Bakersfield, California, dove vivono anche sua sorella con i tre figli. Honey O'Donahue, con un fascino retrò nelle abitudini, nell'abbigliamento (grazie ai costumi impeccabili disegnati da Peggy Schnitzer) e la preferenza costantemente dichiarata per "le ragazze", si trova ad andare oltre i soliti casi di mariti traditi quando la morte, in un incidente stradale, di una donna, che l'aveva precedentemente contattata, si rivela come un palese caso di omicidio. Dietro l'assassinio, potrebbe esserci l'affiliazione della donna ad una congregazione (che è più una setta) guidata dal palestrato e donnaiolo reverendo Drew Devlin (Chris Evans) a cui scopriremo e scoprirà Honey, che piacciono le fedeli con tunica e accessori bondage.
Per investigare meglio, Honey si servirà dell'aiuto della riservata agente di polizia MG Falcone (Aubrey Plaza) che però diverrà subito un suo irrefrenabile e passionale interesse sessuale. Solo alla scomparsa della nipote adolescente, Honey si sveglierà definitivamente dalla ammaliante lussuria per ritrovarla e scoprire la verità. Con la durata perfetta di 88 minuti, Ethan Coen e Tricia Cooke dimostrano nuovamente di saper non solo maneggiare abilmente il genere noir ma di saperlo anche fondere con istanze e fascino queer, incursioni pop e comicità dissacrante. Peccato per la possibilità, non esplorata nella sua totalità, di andare a fondo nel background dei personaggi, specialmente Honey e Falcone, la cui storia di abuso, traumi e motivazioni sarebbe stata motivazione perfetta per rendere Honey Don't anche un efficace film di riscatto o vendetta.
La banalità del sesso. La comicità della violenza
In Honey Don't sesso e violenza si intersecano continuamente, come in una danza dove l'uno è quasi banale, l'altro è così impulsivo e a volte sgraziato da risultare continuamente comico. Un classico del cinema dei Coen che è rimasto ancorato anche nel cinema "del" Coen dove però il regista, insieme a Cooke, preferisce più crogiolarsi dentro quell'affaccendarsi di corpi sanguinanti e deturpati da una gestione esilarante e impacciata delle azioni commerciali invece che dargli un significato più profondo.

Rimane esteticamente entusiasmante assistere all'attacco di un assassino direttamente dal suo riflesso nella pupilla di una sua precedente così come dobbiamo dare atto a Ethan Coen di essersi immerso, corpi, odori, sapori e gemiti nelle scene di sesso, da quelle travolgenti tra Qualley e Plaza a quelle tra catene e sodomia capitanate da Chris Evans che qui, mostra la sua adattabilità ad un registro satirico, comico, persino demenziale.
Un caso da risolvere?

Qual è esattamente il caso da risolvere per Honey O'Donahue? Coen non sembra molto interessato a scoprirlo tanto che a guidare il film è proprio l'incapacità di concentrazione dell'investigatrice che passa dall'attenzione estrema ad ogni piccolo dettaglio sulla pista della setta capitanata dal Pastore Drew a non curarsene minimamente se in altri drammi affaccendata, che comprendano l'utilizzo dei sex toys o la preoccupazione per la nipote vittima di un fidanzato violento. Persino quando è quest'ultima a polarizzare le indagini di Honey, il film liquida tutto in pochi minuti, senza chiedersi i tanti perché. Questa disattenzione di Honey Don't per una trama sensata è intenzionale? diremmo di sì, in fondo il modo di Honey di stare al mondo ed i personaggi che incontra lungo questo sconclusionato cammino sono fin troppo affascinanti per concentrarsi su altro. Era chiaro dai titoli di testa, dove i nomi di Coen e dei suoi collaboratori compaiono sulle vecchie insegne dei negozi d'auto fatiscenti e dei bar malridotti della città di Bakersfield, catturati dalla fotografia da cartolina d'epoca del DOP Ari Wegner.
Ribaltare il topos della femme fatale

Lo hanno dichiarato nelle interviste e nelle note di produzione, Ethan Coen e Tricia Cooke, con Honey Don't avevano intenzione di ribaltare il topos della Femme fatale, dando a Margaret Qualley il ruolo di una donna affascinante ed ammaliante ma che non vive in funzione di un maschile e non deve giustificare il suo posto nel mondo. Intenzioni in tal senso soddisfatte più superficialmente che sostanzialmente poiché per dare significativo e definitivo spessore ad un personaggio, si doveva invaderne un po' di più l'intimità del vissuto e delle motivazioni che la muovono in vita.
Per provare a capire Honey ed empatizzare con lei, bisogna accontentarsi delle interazioni che ha con i personaggi che fanno incursione sul suo percorso. "A me piacciono le persone e capisco invece che a te no, senti costantemente il bisogno di giudicare" così il Reverendo Drew la giudica e psicanalizza. Un confronto acido e amaro però utile a farsi un'idea di Honey. Ed ancora, abbandonata dal padre abusante in giovane età, se lo ritrova davanti. "Tu eri già morto per me", gli dice. Conosciamo Honey talmente poco che non è facile abbracciare del tutto la portata di quella affermazione. Così l'investigatrice rimane un personaggio di cui bisogna solo godere il passaggio ipnotizzante sullo schermo, mettendo a tacere il desiderio di saperne di più.
Conclusioni
Honey Don’t, secondo capitolo di una trilogia di film lesbici di serie B, diretta da Ethan Coen ( senza il fratello Joel) e scritta a quattro mani con la sceneggiatrice e moglie del regista, Tricia Cooke, è un ammaliante ed esilarante omaggio alle storie investigative anni ‘40 alla Dashiell Hammett, con Margaret Qualley nel ruolo di un anti-femme fatale. Al cinema con Universal Pictures dal 18 settembre, il film preferisce intrattenersi e intrattenere con la violenza esilarante, il gioco del sesso e la satira dissacrante, tralasciando di approfondire i personaggi e persino il mistero da risolvere.
Perché ci piace
- Margaret Qualley, investigatrice distratta, dai tacchi e il rossetto impeccabile e il debole per le ragazze, è ipnotizzante.
- Chris Evans e Aubrey Plaza dimostrano di poter andare oltre i personaggi a cui sono stati relegati in passato.
- Ha un ritmo perfetto e mescola bene il noir con la commedia.
Cosa non va
- I personaggi rimangono ad un livello superficiale.
- Il mistero da investigare non è poi così “misterioso”.