La morte del personaggio di Nicholas Brody, al termine di un'altalenante terza stagione (era il dicembre 2013), ha segnato un fondamentale spartiacque nella storia di Homeland, titolo di punta della rete Showtime e fra i vertici della produzione televisiva degli anni Dieci, con cinque Golden Globe e otto Emmy Award in bacheca. Da allora, gli showrunner Howard Gordon e Alex Gansa hanno avvertito la necessità di trasformare costantemente una serie che poteva rischiare di scivolare nei cliché, evitando di adagiarsi su schemi già consolidati.
Questi continui cambiamenti nei ruoli e nei rapporti di forza fra i personaggi, ma anche delle ambientazioni e degli scenari geopolitici, hanno permesso a Homeland di ripartire in maniera ottima, con una quarta stagione di altissimo livello e una quinta stagione non impeccabile, ma nel complesso all'altezza delle aspettative. E per la sesta stagione (con altre due già in cantiere, con tanto di contratti firmati), Gordon e Gansa hanno scelto di riportare Carrie Mathison in America, là dove la fine della Presidenza di Barack Obama sta per segnare l'origine di una nuova epoca...
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Home, sweet Homeland
Il "ritorno in patria", in corrispondenza con il titolo, è dunque il primo elemento narrativo che ci viene presentato in Fair Game, episodio d'apertura di questo sesto capitolo di Homeland, per la regia di Keith Gordon (negli USA Fair Game sarà trasmesso il 15 gennaio, ma Showtime lo ha reso disponibile sul web con ben due settimane d'anticipo). Carrie Mathison, che già da un anno aveva dovuto abbandonare l'FBI, ora vive a Brooklyn insieme a Frannie, la bambina avuta da Brody, e lavora nel campo dei diritti civili alle dipendenze di una fondazione che si occupa di favorire l'integrazione etnico-religiosa e di contrastare l'islamofobia crescente. Il nuovo plot riguardante Carrie è collegato al personaggio di Sekou Bah, un ragazzo nigeriano di New York arrestato perché sospettato di attività terroristiche in seguito alla diffusione di propaganda antiamericana sul web.
È ancora presto per capire la direzione e le potenzialità della storyline legata a Sekou, ma la psicosi contro gli stranieri, la diffidenza verso l'islamismo e la radicalizzazione di punti di vista patriottici e antipatriottici costituiscono senz'altro dei nervi ancora scoperti dell'odierna società americana (e non solo). In passato Homeland ha subito più volte accuse dovute a un presunto approccio reazionario alla materia trattata (accuse a nostro avviso assai poco fondate), mentre in questa occasione l'eroina impersonata dall'attrice Claire Danes si troverà a battersi su un fronte per lei inedito. A differenza delle première delle stagioni precedenti, Fair Game si accontenta di disporre i vari pezzi sulla scacchiera senza riservarci colpi di scena o nuclei di vera suspense: è il principale limite di un episodio che fa leva unicamente sulla fedeltà di un pubblico ormai consolidato, ma che difficilmente potrebbe regalare alla serie nuovi fan.
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Una nuova inquilina alla Casa Bianca
Nella meravigliosa (spesso) realtà parallela delle serie televisive, quel fatidico 8 novembre 2016 non è mai esistito, o piuttosto ha dato un esito diverso rispetto all'elezione che, in virtù del sistema dei Grandi Elettori, contro la maggior parte dei pronostici e in barba al voto popolare, a breve porterà il repubblicano Donald Trump alla Casa Bianca. Nell'universo di Homeland, più precisamente, Fair Game si apre poco dopo la vittoria di Elizabeth Keane, senatrice dello Stato di New York e prima donna ad aver conquistato la carica di Presidente degli Stati Uniti. La Keane, in attesa di assumere ufficialmente il proprio ruolo, ha un volto già noto ai cultori delle serie TV: quello dell'attrice Elizabeth Marvel, che alla Casa Bianca aveva già puntato (senza successo) nei panni di Heather Dunbar, rivale di partito di Frank Underwood, nella scorsa stagione di House of Cards.
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Un bizzarro "corto circuito" che in qualche modo contribuisce alla costruzione di questo personaggio: tutt'altro che una semplice variante sul modello di Hillary Clinton, Elizabeth Keane appare come una donna carismatica ma affabile, autoritaria ma capace di sottrarsi ai formalismi delle etichette, e soprattutto con un background familiare (la morte del figlio in guerra) in grado di rendere ancora più ambigue e complesse le sue prese di posizione. Uno dei primi provvedimenti sul calendario della Keane, ad esempio, prevede un netto ridimensionamento della CIA e una rivisitazione delle sue strategie in merito alla lotta al terrorismo: e già le sue prime scene in Fair Game preannunciano un probabile braccio di ferro fra la neo-Presidente degli Stati Uniti e il Saul Berenson di Mandy Patinkin, direttore dell'FBI, preoccupato di capire in quale direzione tirerà il vento da lì all'insediamento della Keane alla Casa Bianca.
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La "resurrezione" di Peter Quinn
La terza storyline introdotta dal primo episodio si riallaccia invece in maniera diretta alla precedente stagione, sciogliendo anche le riserve sul destino di un'altra colonna portante di Homeland, Peter Quinn. Sebbene l'agente della CIA interpretato da Rupert Friend sembrasse a un passo dalla morte, in Fair Game ritroviamo invece Quinn incredibilmente vivo e vegeto, in possesso delle sue facoltà mentali e fisiche (con qualche difficoltà motoria) e alle prese con un faticoso processo di riabilitazione, non privo di cadute e problemi. La 'resurrezione' di Quinn sfida non poco la nostra sospensione dell'incredulità, ma il suo rapporto con Carrie rimane uno dei punti di forza della serie: a patto, però, che il percorso del personaggio di Rupert Friend non finisca per impantarsi nei déjà-vu delle crisi personali e delle spirali autodistruttive, una traiettoria già sperimentata in questa puntata inaugurale.
Una puntata in cui, per tirare le somme, Homeland riprende il suo percorso con graduale e studiata lentezza, senza ingranare troppe marce e senza scoprire le proprie carte su quanto ci aspetta negli episodi a venire. Un grande motivo di interesse, al di là della sua natura da spy thriller, sarà capire come uno dei migliori titoli della TV americana riuscirà a parlare della nostra attualità, e ad inserirsi nelle rinnovate dinamiche storico-politiche del presente, in un momento di drastica transizione e di profonda incertezza, tra il sipario sugli otto anni della Presidenza Obama, i nuovi equilibri di potere fra Stati Uniti, Russia ed Unione Europea e la persistenza della minaccia del terrorismo, principale fulcro tematico della serie fin dalle origini.
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3.0/5