Sarebbe bello raccontare la storia di un anziano signore che ha vissuto il suo sconfinato talento con leggerezza e serenità. Sarebbe una bella storia, ma non sarebbe la storia di Hayao Miyazaki. Un uomo che ha vissuto il suo lavoro come un richiamo ossessivo, la sua arte come una perenne ricerca della perfezione, il suo mestiere come dedizione assoluta. Come se la sua sensibilità rara fosse diventata un fardello da portarsi addosso. Come se i sogni avessero un loro dazio da pagare per essere realizzati e portati sul grande schermo. Per questo, nello spegnere le sue 80 candeline, immaginiamo il grande sensei impegnato a controllare che anche la torta sia all'altezza della situazione, che la cera sia del giusto colore, che la guarnizione del dolce sia ispirata, che ogni fiammella sia animata come è giusto che sia. I meravigliosi 80 anni di Miyazaki fanno alzare il vento su un cinema a cui siamo tutti grati. Per il potere accogliente dei suoi immaginari fantastici, per le sue metafore raffinate, per le sue creature bizzarre e imprevedibili, per una poetica talmente unica da elevare l'animazione oltre il suo stesso genere. Perché i film di Miyazaki passano dal linguaggio animato per elevarlo a mezzo prediletto su cui far viaggiare comodi e leggeri messaggi esistenziali, antropologici e filosofici. Il tutto con un'accessibilità senza precedenti. Mai elitario e criptico nel suoi sotto-strati metaforici, il cinema di Miyazaki è una porta spalancata verso lo spettatore. Dentro ci sono scorci invitanti fatti di colori sfavillanti, musiche evocative, una celebrazione costante della Natura e una negazione convinta di ogni forma di militarismo.
Visionario con i piedi per terra, sognatore e pragmatico allo stesso tempo, Miyazaki (assieme a Takahata) ha fatto dello Studio Ghibli un grande manifesto della cultura nipponica, leggibile anche in Occidente. Oggi, in occasione degli 80 anni del grande maestro, celebriamo la sua arte sopraffina provando a guardarci dentro per capire cosa abbiamo imparato da città incantate, castelli erranti, maiali volanti e foreste da proteggere. Insomma: cosa ci ha insegnato quella creatura meravigliosa che è il cinema di Hayao Miyazaki.
Il potere della trasformazione
Se c'è una cosa che abbiamo imparato dai film di Miyazaki è che non esiste vita senza cambiamento. Non può esserci esistenza senza tappe fondamentali da attraversare ed esperienza da cui uscirne ridefiniti, stravolti o leggermente diversi. La maggior parte dei racconti del grande maestro nipponico sono racconti di tras-formazione in cui tutti i protagonisti sono costretti a uscire dalla loro zona di comfort per vivere l'avventura della vita. Così come la giovane Chihiro de La città incantata si lascia alle spalle mamma e papà per attraversare una soglia tutta da sola, anche la giovane Satsuki si avventura nel bosco alla ricerca dell'ignoto e Ashitaka lascia la sua terra natia per cercare una cura al morbo appena contratto. Viscerale, inquieto e mai statico, il cinema di Miyazaki è in costante mutazione non solo a livello morale, non soltanto in una dimensione intima e interiore.
Il cambiamento passa anche da stravolgimenti fisici, da giovani che diventano anziane e aviatori che si trasformano in maiali per colpa di una maledizione, da un'instabilità fisica ed emotiva che fa del cinema miyazakiano una celebrazione del mutamento. Il tutto senza aver paura di scadere anche nello spaventoso e nello sgradevole, come le grandi fiabe hanno sempre fatto. Nonostante Miyazaki sia rispettoso della tradizione nipponica, di cui ha spesso celebrato molti archetipi, è evidente che in lui scalpiti uno spirito rivoluzionario. Il suo è un fervore intellettuale figlio del Giappone in cui è nato e cresciuto. Un Giappone prima dilaniato dalla Seconda Guerra Mondiale e poi sempre meno rigido, meno chiuso in se stesso e più aperto al vento caldo del cambiamento. Una predisposizione dell'animo che troviamo in tutti i suoi splendidi personaggi sempre in divenire.
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Il valore dell'innocenza
Ancora la Storia a segnare il cinema di Miyazaki. Il trauma della guerra e l'orrore dei bombardamenti sono spine che attraversano la sua anima da parte a parte, e il regista non ne ha mai fatto mistero. Anzi, ha sempre messo a nudo le sue ferite con grande dignità. Basta guardare le scene di guerra cruente del Il castello errante di Howl e Principessa Mononoke, oppure le evocative riletture belliche di Porco Rosso e Si alza il vento, per capire quanto Miyazaki detesti la guerra in ogni sua forma. E non è solo una guerra intesa come battaglia sul campo (o nei cieli), ma una denuncia a tutto tondo verso qualsiasi forma di prevaricazione, violenza, avidità e cupidigia. Non è un caso che spesso le sue storie (sin dai tempi di Conan e Nausicaa) siano ambientati in contesti post-apocalittici o dentro epoche alternative. Come se Miyazaki volesse riscrivere la storia resettando il suo vissuto traumatico. Se il nemico è un militarismo gretto e cieco, il nostro si oppone con le sue armi preferite: la bellezza, la purezza e l'innocenza. Fiero sostenitore del bello, Miyazaki ha affidato quasi sempre le redini dei suoi racconti a bambine e ragazzine indomite, fiere, sincere nella loro ricerca del puro.
Che sia il contatto con la Natura, il rispetto di ogni minuscola forma di vita o l'empatia nei confronti del prossimo, i personaggi di Miyazaki trasudano un bisogno di purezza antico. Se c'è un'arma per combattere i mali del mondo quella è l'innocenza. Un'innocenza perduta da riscoprire, un candore che ritrovi solo negli occhi del fanciullo. Un modo forse ingenuo di guardare le cose, ma anche l'unico modo possibile per riscoprire il buono e il bello che si contrappongono alle miserie dell'essere umano. Ecco: l'impronta etica di Miyazaki ci ha insegnato che la gentilezza può essere più potente di qualsiasi ordigno.
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Trovare la vita ovunque
C'è un altro lascito che sembra banale, ma in realtà rappresenta un tratto distintivo raffinatissimo del cinema di Miyazaki: averci dimostrato che la vita si nasconde ovunque. Da un vecchio aeroplano a un buon piatto di ramen, da un uovo mangiato a colazione a una scopa capace di compiere meraviglie. Se sottolineare la vitalità di creature viventi è una costante dell'animazione e un tratto distintivo doveroso per un cinema così animalista e rispettoso della Natura, donare vita anche a ciò che consideriamo inanimato lo è molto meno. Miyazaki ci ha insegnato che ogni singolo oggetto ha una storia da raccontare. E le storie sono fatte dalle persone. Non è un caso che nei suoi film i castelli si muovano, le città abbiano vita propria, i luoghi siano racconti da scoprire. Per Miyazaki ogni cosa è mito, leggenda, scoperta. Dalle grandi imprese ai piccoli gesti quotidiani. Questo accade perché la sua è sempre stata un'animazione a 360 gradi. Se è vero che il sensei è un uomo ossessionato dalla perfezione, attentissimo a ogni minuscolo dettaglio e a ogni singolo gesto, non ci sorprende che tutti i suoi personaggi siano attraversati da una vibrante energia vitale dalla punta dei piedi all'ultima ciocca di capelli.
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Vivere il cinema in tutti i sensi
Si può disegnare il vento? Si può colorare un sapore? Se sei un film di Hayao Miyazaki la risposta è sì. Nella sua manicale attenzione al dettaglio e nella sua proverbiale pignoleria che non ha risparmiato nemmeno suo figlio da pareri paterni sconcertanti (ovvero quando disse al povero Gorō "tu non sei pronto per dirigere questo film" ai tempi de I racconti di Terramare), Miyazaki ha fatto del suo cinema un'esperienza multisensoriale ricchissima. Se l'impatto visivo è sempre splendido e sfavillante nelle forme, nel character design e nella fluidità dell'animazione, abbiamo ancora nelle narici, nelle orecchie e nel palato la sensazione di aver vissuto i suoi film in tutti i sensi. A confermare questa percezione c'è l'amore di Miyazaki per il cibo.
Sfidiamo chiunque a non aver avuto l'acquolina in bocca davanti ai suoi banchetti, al suo bacon croccante, alle sue zuppe fumanti, alle sue torte infarcite. Per Miyazaki il cibo è convivialità, è cultura, è storia, è un pretesto per connettere le persone. E un ottimo mezzo per far avvicinare il suo cinema non solo al cuore, ma anche allo stomaco del pubblico. Un pubblico ammaliato da odori stuzzicanti, dal borbottio di una pentola, da papille gustative accarezzate dal sapore delle cose buone, da mani che sfiorano manti erbosi, tessuti, pellicce di animali da accarezzare. Insomma, il cinema di Miyazaki ci ha conquistato anche per il suo essere così totalizzante.
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Accettare le contraddizioni
Hayao Miyazaki, come molti di noi, è impaurito dalla prospettiva della morte. Un uomo che non vorrebbe invecchiare. Per questo si aggrappa alla vitalità della sua arte che lo ha già reso eterno e gli sopravvivrà a meraviglia. Hayao Miyazaki è un uomo innamorato del disegno classico, delle mani sporche di grafite e dei fogli sgualciti, eppure ha subito il fascino della computer grafica, uno dei motivi che lo ha fatto tornare al lavoro dopo il suo finto addio del 2013. Insomma, Miyazaki ci ha insegnato forse la cosa più importante di tutte: accettare le contraddizioni dell'animo umano. Nessuno di noi è una cosa soltanto. Siamo tutti la somma delle nostre esperienze che ci cambiano, ridefiniscono, smussano. Siamo tutti imperfetti nei nostri paradossi. Ce lo ha insegnato un cinema che vive di contraddizioni fortissime. Perché l'intera produzione dello Studio Ghibli vive in una zona grigia a metà strada tra la fantasia più sfrenata e la realtà più cruenta, il bisogno di fuggire dal reale e la necessità di attingere dal reale, la grazia del bello e la brutalità della morte.
Lo stesso sensei ha ammesso di essere caduto in contraddizione con il suo film più autobiografico, quel Si alza il vento in cui è davvero impossibile non vederlo riflesso negli occhiali del protagonista Jiro. Ovvero un film in cui si celebra la vita attraverso la fascinazione di uno strumento di morte (gli aerei di guerra). Il tutto raccontato da un regista che ha sempre celebrato la purezza della Natura senza mai disconoscere il suo amore per la tecnologia. Ecco come Hayao Miyazaki ci ha insegnato che solo chi affronta gli orrori della vita può diventare un grande sognatore. E solo chi si sporca le mani con la verità più dolorosa saprà modellare splendide utopie. Grazie di tutto, sensei.