Put on a happy face.
Cosa succede se tuo padre è un serial killer? Se lo chiedeva qualche anno fa in tv Prodigal Son e in quel caso il figliol prodigo del titolo era diventato profiler per aiutare la polizia a catturare proprio quelli come il padre, mentre affrontava un'instabilità psicologica. Al contrario in Happy Face, su Paramount+ con appuntamento settimanale, la protagonista Melissa fa la truccatrice, felice di stare dietro le quinte del Dr. Greg Show e far brillare le star del programma, ovvero gli ospiti familiari delle vittime di crimini efferati che vogliono portare alla luce ciò che è successo ai loro cari.
Ispirato come spesso capita ad una storia vera, in questo caso di Melissa G. Moore, divenuta l'omonimo podcast di iHeartPodcast e Moore e l'autobiografia Shattered Silence, scritta a quattro mani con M. Bridget Cook, il serial prova a far luce ancora una volta tra le luci e le ombre della psicologia umana.
Happy Face: Papà Serial Killer

La serie Paramount+ non è un procedurale in cui il serial killer di turno viene reclutato in prigione per diventare consulente della polizia a causa dei propri 'talenti', come il precedente titolo citato. In questo caso Melissa (una convincente Annaleigh Ashford) viene contattata dal padre Keith (un sorprendente Dennis Quaid), che sta scontando l'ergastolo, dopo anni di silenzio attraverso il programma dove lavora per svelare una verità finora celata: una nona vittima mai resa pubblica finora.
Sta dicendo la verità oppure si sta inventando tutto? Quella che si mette in piedi è quindi un'*indagine orizzontale+ che attraversa tutti gli otto episodi e porterà ad una scioccante risoluzione. La donna è costretta non solo a scavare tra i propri ricordi e rimettere in discussione la propria infanzia e il difficile rapporto col genitore, ma anche cercare di proteggere la propria famiglia da lui.
Il marito Ben (James Wolk) ne è a conoscenza mentre i figli, Hazel e Max, ne sono ignari. Melissa si ritrova costretta non solo a riaprire un capitolo doloroso della propria vita mentre pensava di aver voltato pagina per sempre, ma anche ad uscire dall'ombra in cui si era auto-confinata per non stare sotto la luce dei riflettori dopo l'esperienza vissuta. Una corsa contro il tempo dato che un uomo sta scontando una pena che forse è responsabilità del padre.
La protagonista dovrà fare un viaggio fisico e metaforico in Texas insieme alla produttrice Ivy (Tamera Tomakili), determinata ma non spietata, per aprire il vaso di Pandora mentre Ben dovrà affrontare il conseguente squilibrio che si creerà a casa. Il serial pone l'accento anche sui rapporti tra uomini e donne dato il modus operandi carnale di Keith che si firmava, ovviamente, con una faccina sorridente.
Una serie true crime diversa?

Happy Face si rivela un prodotto non propriamente differente dagli altri. È interessante il family drama mescolato al true crime, ben espresso dai rapporti complessi tra i personaggi che avranno uno snodo sorprendente nel finale. Si parla di genitori e figli, ci si chiede se il Male nasca oppure diventi in seguito ad un qualche evento traumatico; se siamo il risultato del contesto socio-culturale in cui cresciamo oppure se possiamo affrancarci dal nostro passato e dalla nostra linea di sangue. Serie come Dexter, Dahmer: Mostro e anche la nostra Qui non è Hollywood hanno già sviscerato questo tipo di interrogativi, forse anche meglio e in modo più approfondito. Rimane comunque interessante il discorso di eredità e successione dato che il rapporto tra padri e figlie femmine è speculare a quello tra madri e figli maschi, vuoi per il retaggio del complesso di Edipo, vuoi per l'evoluzione della nostra società.

La regia utilizza soprattutto primi piani, sguardi e silenzi, mentre la fotografia toni scuri in contrasto col rosso per esprimere il dilemma interiore della protagonista verso la propria linea di sangue. A sorprendere nella performance è soprattutto Dennis Quaid, sempre più sperimentale e aperto a ruoli diversificati e coraggiosi. Il montaggio si prende il proprio tempo e non diventa qualcosa di sincopato e frenetico come altre volte in questo tipo di storie, permettendo al pubblico di assimilare il racconto, fino allo svelamento finale.
Conclusioni
Happy Face è una serie crime che prova a raccontare qualcosa di diverso attraverso il lignaggio familiare, attraverso l'indagine sull'origine del Male e dell'orrore umano, attraverso le interpretazioni convincenti dei protagonisti ma allo stesso tempo non porta davvero nulla di nuovo al genere, pur creando un percorso circolare interessante e simbolico. Funziona più la parte adulta che quella adolescenziale e i confronti tra Melissa e Keith sono i più stimolanti e coinvolgenti. Funzionale il montaggio rallentato a fronte di regia e fotografia buone ma canoniche.
Perché ci piace
- Unire racconto true crime e family drama.
- La storia orizzontale e non episodica.
- Annaleigh Ashford e Dennis Quaid.
- Il montaggio lento e non accelerato.
- Le domande che il serial si pone…
Cosa non va
- …ma già fatte da altri (e forse meglio).
- La storyline teen.