Happy Days: i 40 anni di un mito

Happy Days ha offerto un tuffo nei ruggenti Fifties. E oggi, a 40 anni dal debutto, il pubblico guarda ancora questa sitcom conservando la stessa nostalgia delle origini.

Le coincidenze non esistono, in TV come nella vita. Ci sono, però, quegli incastri perfetti che vedono la luce al momento giusto e nel posto giusto, come nel caso di Happy Days. Ha tenuto compagnia al pubblico di 126 Paesi nel mondo per 11 stagioni, a partire dal 15 gennaio del 1974. Dopo 40 anni da quella prima messa in onda, la TV celebra una sitcom storica che invece era nata sotto una stella totalmente diversa.
Richie (Ron Howard), il ragazzo della provincia americana, educato secondo i valori solidi del Midwest, è il fiore all'occhiello della famiglia Cunningham. Diventa ben presto il figlio della società a stelle e strisce, simbolo delle istituzioni solide di un tempo e portatore di messaggi positivi. I protagonisti, dal capofamiglia Howard (Tom Bosley), titolare di una ferramenta, ha le spalle solide del lavoratore onesto e la moglie Marion (Marion Ross) rappresenta la casalinga modello, capace di accogliere sotto la sua ala protettrice persino Fonzie, che potrebbe essere considerato dopo tutto una "cattiva compagnia". Giacca di pelle, sciupafemmine e spavaldo, ha il suo ufficio nel bagno del locale Arnold e fa partire il juke box con un semplice pugno. Il suo "Ayyy" è diventato leggenda tra i ragazzi dell'epoca, probabilmente circondati nella realtà da compagni come Ralph (Don Most) e Potsie (Anson Williams), gli imbranati dal cuore d'oro.

In principio...

Tutto ebbe inizio con un'altra serie (New Family in Town), sempre prodotta da Garry Marshall, il cui pilot non è stato mai sviluppato in una stagione completa, pur dando vita ad un altro progetto (Love, American Style) con alcuni dei personaggi. La vera spinta verso un prodotto a sé stante è stato American Graffiti, che sull'onda della nostalgia per gli Anni Cinquanta, ha riacceso l'interesse verso un passato glorioso e rassicurante. ABC ha comunicato la decisione al cast nel giorno del Ringraziamento del 1973, ad una manciata di mesi prima del debutto ufficiale.

Fuori classifica
Il successo dilagante della serie ha generato veri e propri fenomeni di costume, al punto che lo Smithsonian Museum of American History di Washington ha esposto nel 1980 una delle giacche di pelle di Fonzie. Il personaggio, Arthur Fonzarelli (Henry Winkler), nato come "bad guy" di contorno, ha conquistato a tal punto il favore del pubblico (e non solo per le 55.000 lettere a settimana ricevute dall'attore) da far pensare persino ad un cambio di titolo: Fonzie's Happy Days è stata una soluzione alternativa a lungo ventilata.
Esistono, però, solo poche classifiche che hanno reso omaggio a questo cult. Entertainment Weekly, ad esempio, ha messo all'ottavo posto il series finale nella top ten Big Finishes: The Best Closers and Cliff-Hangers of All Time. TV Guide, al contrario, non inserisce i Cunningham nella rosa delle dieci famiglie cult del piccolo schermo (The 60 Greatest TV Families of All Time) mentre Rolling Stone gli dedica un terzo posto tra i 17 Shows That Lasted Too Long.

Jump the shark

Il cuore della questione riguarda, infatti, il celebre "jump the shark" (Salto dello squalo). La frase idiomatica riguarda la puntata iniziale della quinta stagione in cui Fonzie salta letteralmente con la moto in mezzo agli squali. Col tempo (a partire dal 1987) ha indicato il punto di non ritorno di un telefilm, l'apice della fortuna e l'inizio della decadenza. Per la critica, infatti, gli Happy Days sono durati più del doppio rispetto al necessario, anche se gli indici di ascolto posizionano la sitcom tra le 20 serie tv più seguite negli USA per ben otto degli undici anni di messa in onda.

Riferimenti pop
Basti pensare che I Simpson, show cult targato FOX, hanno dedicato moltissimi riferimenti a Happy Days nel corso delle puntate, come quando, alla rimpatriata del liceo, Homer si identifica con Fonzie o ancora quando Bart ignora chi sia il personaggio. In quel caso il padre, indignato, si scaglia contro il sistema dell'istruzione americana: "Non ti insegnano niente a scuola?".
In effetti Springfield rappresenta proprio quell'insieme di pregi e difetti tipici dei piccoli centri, specchio della società brillantemente messo in scena proprio da Happy Days attraverso Milwaukee. La città del Wisconsin, luogo di nascita del produttore Tom Miller, voleva appunto offrire un quadretto esaustivo degli Anni Cinquanta per riportare il pubblico verso l'innocenza e la trasparenza di quel periodo.

Una grande famiglia
Gli anni felici dei Cunningham sono durati così a lungo grazie anche all'affiatamento del cast, che a decenni di distanza dagli esordi continua a frequentarsi e a partecipare con slancio a reunion di ogni genere. Il capo-famiglia Garry Marshall ha integrato a tal punto vita privata e professionale da portare sul set vari parenti in qualità di comparse o attori, tra cui la mamma, le sorelle (una, Penny, è la celebre Laverne), il figlio, le due figlie e una coppia di nipoti. Lui stesso ha suonato la batteria in scena tutte le volte che il copione lo consentiva.

Moltiplichiamo il successo

Gli spin-off di Happy Days non comprendono solo il naturale evolversi degli eventi e dei personaggi principali, come nel caso di Jenny e Chachi. A volte nascono da spunti della serie madre per prendere una piega totalmente diversa. Le ragazze di Blansky ruota attorno ad una cugina di Howard mentre Out of the Blue racconta di un angelo apparso in un episodio. Accanto all'interesse suscitato da Laverne & Shirley, conoscenti di Richie e soci, troviamo il gioiellino Mork & Mindy che ha lanciato Robin Williams nei panni dello strampalato alieno appena giunto sulla Terra. Ecco, allora, che il sogno americano ha preso vita nelle forme più diverse lasciando il segno nella storia della tv.

Leggi l'intervista al presidente dell'International Fan Club