Recensione Bancs publics (Versailles rive droite) (2009)

In un energico tourbillon d'irresistibili siparietti e di personaggi beckettiani, l'autore Bruno Podalydès torna al cinema con 'Bancs Publics', commedia francese all'italiana.

Grosso guaio a Brico-Dream

Isipirato alla commedia italiana fatta di sketch e gag esilaranti, Bancs publics (Versailles rive droite) è il quinto lungometraggio del regista Bruno Podalydès e il terzo capitolo della sua divertente saga intitolata Railway Stations Trilogy, una marcia allegra attraverso un mondo specialmente comico. La trilogia è un fantastico viaggio nelle contraddizioni della piccola quotidianità dei buffi personaggi di Versailles, alcuni provenienti dai ricordi d'infanzia dello stesso regista, altri nati dalla sua inarrestabile fantasia.

Lucie è una donna divorziata che lavora in ufficio tra una chattata alla ricerca di un cuore single amico e una partita a pacman. La sua vita sembra normale e tranquilla fino al giorno in cui vede appeso alla finestra di fronte uno striscione nero su cui imperano a caratteri cubitali bianchi le parole "Uomo solo". Il messaggio la stravolge e Lucie si pone una serie d'interrogativi su chi sia l'uomo solo mentre i colleghi dell'ufficio sono s-mossi da una gran curiosità. Più tardi passa il pomeriggio ai giardini pubblici, dove incontra una serie di strambi soggetti, che affollano le panchine con le loro storie e i loro pensieri. Anche al negozio Brico-Dream le cose prenderanno una strana piega: Lucie conoscerà i suoi strampalati commessi, ma solo più tardi saprà che l'uomo solo l'ha accompagnata tutto il giorno.

Il favoloso mondo di Podalydès è un carillon festoso di personaggi e di situazioni da commedia degli equivoci: la sua girandola comica è un'esplosione in continuum, che non cede mai nel ritmo, coinvolgente, incalzante e affabile, e fino alla fine strappa risate a gogò con le sue battute brillanti e intelligenti, talvolta politically uncorrect, e il suo humour frizzante. Il cast del film conta ben 86 attori, tra i più bravi della cinematografia francofone, come Olivier Gourmet, Denis Podalydès, Pierre Arditi, Josiane Balasko e perfino Catherine Deneuve , tutti protagonisti di una serie d'irresistibili e spassosissimi siparietti mai prossimi alle prevedibili macchiette. Si esprime tra sberleffi e satira leggera, tra le scanzonate disavventure di personaggi che sembrano presi in prestito dall'universo beckettiano e il ribaltamento di certi cliché francesi, la poetica dell'umorismo di Podalydès: una tonalità fresca e lirica che ricorda certi guizzi dell'ultimo Takeshi Kitano.
L'estetica della risata travalica la battuta e si prefigura nelle immagini: divise di commessi bamboccioni, perché al regista sta a cuore la tematica generazionale e si vede, che sembrano carte da pareti alla Magritte, armadi malati che hanno bisogno di essere rianimati, cialde per macchine da caffè giganti e pile di dimensioni anomale, ukulele e trapani gonfiabili giganti, copriwater luminosi per la notte... Il repertorio visivo dei gradevoli sketch è davvero vario e impressionante.
Come nei film più comici però sul fondo del divertissment c'è un sottotesto ben più amaro e meno comico: dietro la disperazione del messaggio che porta scompiglio nell'abitudinaria vita quotidiana degli impiegatucci della Provenza, dietro le leggiadre barchette che sono tenute in un equilibrio precario nell'acqua, dietro le sfide a backgammon tra due nostalgici vecchietti c'è il fantasma della solitudine, che Podalydès sottende abilmente in una battuta raffinata: "La solitudine la si condivide con se stessi". La commedia vira in souplesse alla riflessione problematica che, per quanto agile, però non supera lo slancio, onesto, della straordinaria vis comica, complici la superba interpretazione di tutti gli attori (anche dello stesso regista, nei panni di Bretelle) e un ritmo vivacissimo.
A integrare le prove attoriali e l'umorismo intelligente una regia sbarazzina e convincente che consolida la riuscita dell'opera in una rappresentativa struttura circolare: se l'incipit trasportava sul tapis roulant la nostra protagonista all'interno della stazione, nel finale l'inquadratura si sposta in esterna, dove invece le panchine pubbliche, depositarie di confessioni, di segreti, di rimembranze e di battute al vetriolo, sono riprese dall'alto, in un movimento centrifugo quasi ipnotico, che sembra ricordarci che la giostra continua a girare.