Grand Tour, intervista a Miguel Gomes: “Il cinema vive di contrasti. E il passato è un fantasma che ritorna"

Il dialogo tra due epoche, il caos e poi la sensualità dei colori. La nostra intervista al regista premiato al Festival di Cannes. Il film è in sala.

Miguel Gomes durante la nostra intervista

Un film che prende forma seguendo l'idea di un viaggio capace di dialogare con il presente. Due epoche a confronto, che si rimpallano e si riflettono a vicenda. Miglior regia a Cannes, ecco Grand Tour di Miguel Gomes che, per ammissione del suo stesso autore, "ruota attorno a due stereotipi universali: la testardaggine delle donne, la codardia degli uomini". La storia parte dalla Birmania del 1918: a Ranong, Edward (Gonçalo Waddington), un funzionario dell'Impero Britannico, sfugge al matrimonio con Molly (Crista Alfaiate).

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Una scena di Grand Tour

La donna, segue allora le tracce del fidanzato attraverso quello che sarà un vero e proprio tour asiatico, intanto che il regista portoghese miscela, in un montaggio alternato, riprese effettuate da Gomes nel 2020, tra villaggi, giungle e mercati di Saigon, Manila, Shanghai, Osaka. "Il cinema non è razionale o scientifico", dice Gomes, durante la nostra video intervista. "Dunque i contrasti sono necessari. Il cinema è uno scontro tra contrasti. Come le pile: negativo, positivo che generano elettricità".

Grand Tour: video intervista a Miguel Gomes

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Crista Alfaiate nel film

Intervistando Miguel Gomes, tra l'altro, scopriamo che comprende perfettamente l'italiano. Con lui, partiamo dall'anti-schematicità di Grand Tour, seguendo una complessa libertà, narrativa e visiva, a tratti anarchica. "È stato un po' caotico il modo in cui abbiamo creato questo film, perché non c'è stata una sola ripresa, ce ne sono state più di tre ed è stato un processo molto organico e quindi c'è stato un momento in cui, per esempio, stavamo montando e scrivendo il film allo stesso tempo, perché avevamo già le immagini del nostro viaggio in Asia e stavamo scrivendo la storia di questa coppia, Molly ed Edward, in reazione alle immagini che avevamo già girato", spiega l'autore.

E prosegue: "Quindi è caotico, ma in un certo senso, l'abbiamo progettato per essere vissuto dallo spettatore, che ha la possibilità di dare creare e rispettare la continuità che abbiamo preparato. Anche se ci sono molti tipi di immagini diverse, c'è discontinuità, ma sta appunto allo spettatore gestire la discontinuità. Creiamo il caos e speriamo che il pubblico lo riesca a gestire".

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Il passato? Come un fantasma

Grand Tour si rapporta con il presente anche grazie al montaggio di Telmo Churro e Pedro Filipe Marques. Un dialogo costante, su cui riflette Miguel Gomes, sempre fermo e deciso in ogni risposta. "Il nostro presente è composto anche dal passato. Quindi ci sono fantasmi ovunque. Credo che ci siano ricordi ovunque, segni del passato. Voglio dire, questo è così impressionante quando qualcuno come me, appena arrivato da Roma dall'aeroporto, nota fantasmi ovunque".

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Il viaggio di Grand Tour

Per Gomes, il film "È un ricordo di un'altra epoca, di un'epoca coloniale, in cui l'Europa aveva reso questi paesi asiatici parte del proprio territorio. Si tratta di fantasmi o forse di cinema antico, perché anche in momenti in cui abbiamo avuto sistemi politicamente sbagliati come il colonialismo, abbiamo comunque fatto film molto, molto interessanti, forse anche più interessanti di quelli di oggi. Quindi questo mondo antico, questo cinema antico, continua ad arrivare".

Il bianco e nero e i colori in pellicola

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Una scena del film di Miguel Gomes

Nonostante diversi sprazzi di colore, Grand Tour è girato quasi interamente in bianco e nero. Tuttavia, la pellicola riesce ad essere altamente sensoriale. "In realtà il film doveva essere completamente in bianco e nero", confida Miguel Gomes. "Abbiamo girato su pellicola in bianco e nero, ma c'era un 10% di colore per motivi tecnici. Perché in luoghi molto bui o di notte, è impossibile catturare buone condizioni tecniche. Abbiamo quindi usato il colore per cercare di catturare questi momenti con una sensibilità più elevata e poi l'abbiamo tradotto in bianco e nero. Durante il processo di montaggio, eravamo comunque un po' stufi del bianco e nero. Così abbiamo detto: "Ok, ma abbiamo queste riprese a colori, mettiamole". Non c'è motivo di far apparire i colori, se non per rendere tutto più sensuale. Non c'è nulla di razionale. È una scelta dettata dal piacere, spesso sottovalutato e ignorato".