Il detective Bob Hightower, ligio al dovere, conduce una vita disillusa in seguito alla brusca separazione con l'ormai ex moglie, mantenendo però un ottimo rapporto con la figlia adolescente. Un giorno il mondo gli crolla addosso quando scopre che la fu coniuge è stata barbaramente uccisa da una banda di punk tatuati, seguaci di un culto satanico, e la ragazza è svanita nel nulla, probabilmente rapita.
In God is a Bullet il protagonista è distrutto dal dolore ma determinato a ritrovare la figlia ad ogni costo e per farlo comprende che dovrà addentrarsi in quell'ambiente peculiare, al di fuori della società civile, al confine con il Messico. Lo scalpello per scardinare quella realtà a lui ignota è rappresentato da Case Hardin, la sola vittima del culto che è riuscita a far ritorno a casa seppur profondamente cambiata nell'anima. Con il fondamentale aiuto del misterioso The Ferryman, un tatuatore che vive solitario nel deserto, l'improbabile coppia cercherà di completare la missione ad ogni costo, scoprendo di più l'uno dell'altra.
God is a Bullet: proiettili divini
Un vero e proprio peccato che gli spunti visionari si perdano in un gran pasticcio narrativo e di relativo montaggio, tanto che le due ore di visione sono ricolme di velleità autoriali che stonano con quella violenza di genere che a tratti esce prepotente in sequenze gratuite. God is a Bullet è un film sicuramente ambizioso ma privo di una precisa direzione e non si comprende bene a che tipo di pubblica voglia rivolgersi, tra sprazzi arthouse e rocambolesche sortite action. In quest'adattamento dell'omonimo romanzo pubblicato nel 1999 da Boston Teran, veniamo a conoscenza di due figure apparentemente antitetiche che si ritrovano a unire le forze, chi per fare i conti con il proprio traumatico passato chi in cerca di un nuovo futuro per le persone che ama: solitudini che si incrociano ma che non trovano adeguato scavo introspettivo da una sceneggiatura che corre troppo, lasciando molto per strada. Va detto che la versione estesa, che dura ben trentasei minuti di più rispetto a quella base di due ore, ha più tempo per esplorare certi risvolti, ma in ogni caso la trama non guadagna molto ai fini della linearità.
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Sangue chiama sangue
Le vie del revenge-movie vengono rilette dallo sguardo di Nick Cassavetes - figlio d'arte non soltanto del celebre regista Nick ma anche della proprio oggi compianta Gena Rowlands - che torna a lavorare con Nikolaj Coster-Waldau dopo la commedia romantica Tutte contro lui - The Other Woman (2014). Qua i toni sono ben diversi ma la popolare star di Game of Thrones offre una performance comunque intensa, al pari della sua partner Maika Monroe, dal corpo e viso ricoperti da enormi, finti, tatuaggi. I due attori sono probabilmente il punto di maggior interesse dell'operazione, capaci di elevare figure afflitte, bruciate ma mai sconfitte, emblemi perfetti di questa furia noir che caratterizza una storia senza mezze misure. Il contesto e il contorno - che possono contare anche su Jamie Foxx in un breve ma incisivo ruolo secondario - purtroppo non si rivelano all'altezza, partendo da villain e scagnozzi assortiti ricalcati su banali stereotipi, fino ad una reiterazione di crudeltà varie che si susseguono nel corso di eventi sempre più frenetici e tumultuosi, vagabondanti fuori controllo.
Cuore di tenebra
I rispettivi background sono appena accennati e a dispetto di una vicenda che vorrebbe farsi specchio dei mali della società contemporanea, si ha l'impressione che una patina di dissoluta superficialità permei l'intero costrutto, smorzando sul nascere gli spunti potenzialmente più intriganti in favore di quel caos infernale che a un certo punto prende prepotentemente il sopravvento, lasciando pochi superstiti non soltanto tra le fila avverse ma anche nel numero di spettatori, che probabilmente si sarà già ridotto strada facendo.
E pensare che Cassavetes ha cullato questo progetto per ben diciott'anni prima di riuscire a completarlo: una gestazione talmente lunga che forse gli ha fatto perdere la corretta ispirazione per trasportare su grande schermo un'opera affascinante e controversa, con l'ambientazione sospesa tra Città del Messico e il Nuovo Messico che offre un palcoscenico sicuramente inquieto e turbolento ma non riesce a sfruttarlo appieno. God is a Bullet è un film che lascia molti rimpianti dietro di sé, possedendo qua e là sussulti potenti che si smarriscono in un quadro complessivo scevro di identità.
Conclusioni
Quando sua figlia viene rapita da dei satanisti, un detective è costretto a unire le forze con un'ex vittima del culto, pronta a tutto pur di farla pagare ai suoi passati aguzzini. I due si ritroveranno alle prese con una missione disperata nell'ambiente degradato delle periferie al confine con il Messico, tra vendetta e redenzione. God is a bullet è un'occasione mancata, adattamento sbilenco dell'omonimo romanzo che vede i due protagonisti - i comunque ottimi Nikolaj Coster-Waldau e Maika Monroe - impegnati in una missione cruda e amareggiata, senza esclusioni di colpi. Una violenza a tratti esacerbata e un montaggio schizofrenico (in particolare nella versione "ridotta" di solo due ore) rendono il film di Nick Cassavetes un progetto improbabile, illuminato da passaggi visionari ma incapace di reggere il peso delle proprie ambizioni.
Perché ci piace
- Nikolaj Coster-Waldau e Maika Monroe sono intensi e struggenti.
- Un paio di passaggi visionari e furenti filtrati dallo sguardo autoriale di Nick Cassavetes.
Cosa non va
- La sceneggiatura è vittima di un montaggio impreciso e confusionario.
- Violenza gratuita in più occasioni.
- Il film manca di uno sguardo d'insieme nitido.