De Maria affronta un periodo tragico e doloroso della storia d'Italia attraverso le vicende di un uomo che, inseguendo un sogno al di fuori di ogni tempo e luogo, perderà ogni innocenza, e della sua dolorosa strada verso la consapevolezza.
Arriverà in sala il 20 novembre la quarta pellicola di Renato De Maria, La prima linea, preceduta dal codazzo di polemiche con cui vanno a nozze un po' tutti, in Italia, quando si tratta di oscurare un pezzo di storia del nostro paese, raccontato con voce ferma e onesta, senza giri di parole o ottiche di parte. Un ministro di grande lungimiranza ritiene che sovvenzionare un film sul terrorismo possa in qualche modo essere un affronto alle famiglie delle vittime, l'autore del libro a cui il film è liberamente ispirato non si sente rappresentato dalla pellicola e ci tiene a farlo sapere; ma, nonostante tutto questo, La prima linea ce l'ha fatta ad esistere, e per la cinematografia italiana e soprattutto per il pubblico questo è senz'altro un bene.
Renato De Maria sceglie infatti di raccontare una tragica pagina della storia italiana, quella dello stragismo degli anni Settanta, quando le belle parole e i bei propositi dei Sessantotto avevano già sgombrato il campo in favore della lotta armata più cieca e insensata, da un punto di vista che non è quello più tristemente noto ed esplorato, quello delle Brigate Rosse e dell'omicidio Moro.
Lo sguardo attraverso cui le speranze di quegli anni e il loro tradimento ci vengono raccontati è quello di Sergio, uno dei principali esponenti di Prima Linea, che si trova, nel 1989, in carcere a scontare la propria pena. Con disillusione e consapevolezza, ripercorrerà gli anni più travagliati della sua vita, descrivendo la giornata in cui fece evadere dal carcere di Rovigo la propria donna, Susanna, ma anche il percorso individuale che, partendo dai picchetti davanti alle fabbriche, lo aveva condotto alla lotta armata, alla gambizzazione di agenti carcerari e direttori del personale, ma anche all'omicidio di uomini giusti. E' un racconto duro e freddo, quello di Sergio, di un uomo che ha creduto in qualcosa di forse irraggiungibile e ha cercato di ottenerlo con tutti i mezzi che l'oblio della propria coscienza gli ha suggerito, e che, dopo il suo momento più buio, ha trovato la forza di realizzare che la causa per cui combatteva era quella di nessuno, che gli avrebbe tolto tutto per dargli in cambio solo miseria e solitudine. Ma è anche il racconto di un uomo che, per salvare il proprio amore, accetta ancora una volta quei meccanismi, pur sapendo che è una battaglia persa, che nessun sentimento potrà sopravvivere a quell'orrore con cui si è accompagnato.
La prima linea è un film che non risparmia allo spettatore nessuna crudezza. Si trattava di ragazzi che, in appartamenti invisibili e in automobili invisibili, decidevano del destino di altri uomini e, freddamente, ne diventavano gli esecutori; e De Maria ci mostra proprio questo, senza giustificare, senza gettare l'ombra di un dubbio nei loro sguardi, per non offrirci l'appiglio a qualsiasi vicinanza con le loro ragioni. La loro solitudine, il loro isolamento rispetto al mondo che, nella loro visione, stavano cercando di salvare, è resa tanto sul piano della sceneggiatura, che relega Sergio e Susanna, interpretati da uno Scamarcio e una Mezzogiorno impeccabili, in un limbo sempre più lontano dai propri affetti, dalla propria famiglia, anche dai compagni della prima ora con cui avevano condiviso i sogni più puri e belli, tanto su quello della fotografia: si muovono in tristi cortei nella campagna piatta e grigia, si nascondono in piena vista con coltri di fumo, fragile barriera a separarli dai cadaveri che si sono lasciati alle spalle. La scelta di limitare il racconto al vissuto personale di Sergio, lasciando ad una breve introduzione e a qualche filmato originale il compito di tratteggiare il contesto storico che ha fatto da catalizzatore alle sue azioni, è forse la più onesta possibile: la disamina complessiva di un così vasto e sfaccettato orizzonte storico era impraticabile in terra cinematografica, che è, prima di tutto, anche quando vuole raccontare la verità, una terra di storie, e la storia di Sergio ci dice di quello che animava le lotte di quegli anni molto più di qualsiasi cronaca.
Un film coraggioso, che nonostante l'ostracismo immeritatamente subito è riuscito nell'intento di portare alla luce un sentimento costitutivo dell'Italia di quegli anni, attorno al quale grava ancora un'aura di omertà, come se non fossero proprio il silenzio e la deliberata amnesia a rendere certi fatti ancora più pericolosi.