E' un progetto ambizioso quello di Antonio Falduto che nel suo lungometraggio, Il console italiano, in uscita a luglio grazie alla Movimento Film, che lo distribuirà in una ventina di copie nel circuito delle arene estive, racconta da un inedito punto di vista il dramma delle donne africane vittime del commercio della prostituzione con l'Europa. Inedito perché la storia è narrata attraverso lo sguardo di Giovanna Bruno, console italiano a Cape Town, una signora dal grande coraggio, dimostrato nella strenua lotta contro un tumore, costretta a fare i conti con una realtà non immaginata. A farle aprire gli occhi su quella desolazione è l'incontro con una giovane modella, Palesa, con cui riesce ad instaurare un rapporto di rispetto reciproco, nonostante siano innamorate dello stesso uomo, un reporter misteriosamente scomparso nel bel mezzo di un'inchiesta giornalistica su un oscuro giro legato al traffico di esseri umani. Unite dalla passione per Marco, le due viaggiano assieme attraverso Sud Africa e Namibia per ritrovare l'uomo amato e salvarlo. Presentato nella sezione Mediterranea allo scorso TaorminaFilmFest, il film si avvale delle interpretazioni di Giuliana De Sio, Luca Lionello e dell'esordiente Lira Kohl. Ospitati dalla Casa Internazionale delle donne, la struttura che da dieci anni ha raccolto l'eredità dello storico ritrovo del movimento femminista negli anni '70 di via del Governo Vecchio, abbiamo scambiato questa mattina qualche parola con l'autore della pellicola e con la protagonista, Giuliana De Sio, tornata combattiva e in forma dopo l'improvviso ricovero del gennaio scorso per dei gravi problemi di salute.
Antonio, puoi raccontarci il percorso che ha portato alla nascita di Il console italiano? Antonio Falduto: il progetto è nato cinque anni fa. All'epoca stavo girando una grande quantità di documentari e durante le riprese in Sud Africa di uno di questi ho conosciuto una donna accusata di stregoneria che si era rifugiata in uno dei centri d'accoglienza che si vedono anche nel film. Grazie a quell'incontro sono entrato in contatto con un'associazione che aiutava donne in difficoltà, per lo più provenienti da zone rurali del Sud Africa o addirittura da altri stati e mi sono interessato all'argomento. Devo ammettere che in questo lasso di tempo abbiamo incontrato difficoltà produttive di vario genere.
Ad esempio?
Non è mai facile lavorare in una nazione straniera. Al di là dei problemi logistici comprensibili, come ad esempio gli spostamenti lunghissimi e il doversi esprimere in un'altra lingua, ciò che è stato complicato è stato conciliare diverse sensibilità. Senza i finanziamenti dei produttori Sudafricani non avremmo mai potuto portare a termine il progetto, ma chiaramente ci hanno obbligato ad avere un certo numero di attori locali, con un'attenzione specifica per ciascun ruolo.
Il fenomeno in Sud Africa è diffusissimo ed è coperto da una serie di attività di facciata legali, quindi è complesso entrare in contatto con certe realtà. Con la sceneggiatrice, Akidah Mohamed, ci siamo infiltrati in una di queste società e quando hanno scoperto che noi non eravamo intenzionati al business, ma a documentare quanto avveniva è stato davvero difficile uscire illesi da quella situazione. Fortunatamente il tema è molto seguito dai media e in generale si è molto sensibili all'argomento. Nelle Township inoltre è altissimo il numero degli stupri, così come è altissimo il numero delle donne morte di AIDS. Nell'Africa sub sahariana una persona su tre è sieropositiva e questo comporta una spesa sociale enorme per economie già molto deboli. Purtroppo proteggere queste donne è davvero difficile.
Giuliana qual è il ricordo più vivido della tua esperienza sul set di Il console italiano? Giuliana De Sio: ricordo la Onlus in cui abbiamo girato, sistemata in una delle bidonville di Cape Town. Lì dentro c'erano donne con alle spalle storie di inaudita violenza, eppure all'interno di quei luoghi percepivo tra loro una genuina solidarietà, un'armonia che paradossalmente non potevano trovare al di fuori del ghetto, nella città vera e propria, dove erano costrette a fare lavori poco nobilitanti. Non è stato possibile stringere amicizia con tutte, ma di certo non si può dimenticare un'esperienza del genere. Sarebbe stupido non approfittare di certe occasioni professionali che ti vengono offerte e da parte mia ho cercato di portare nel ruolo di Giovanna il sentimento di spaesamento che ho provato mettendo piede in Sud Africa, un luogo straordinario in cui la vastità degli spazi ti faceva davvero sentire piccolo piccolo.
Com'è la tua Giovanna?E' una donna che convive con il problema della morte, con la malattia. E' un personaggio decisamente diverso da quelli che sono solita interpretare ed è stato differente anche il modo di renderla, un po' sottototono. In lei ho visto una dimensione tragica, in fondo non è meno sola delle altre donne che popolano questa storia. Senza mezzi termini, è stato il ruolo più faticoso della mia vita.
Quanto ti ha cambiata l'esperienza di malattia che hai vissuto?
Tantissimo. Le prospettive della mia vita sono cambiate. Io sono cambiata. Ho imparato a chiedere aiuto e con mia somma sorpresa ho capito che puoi anche riceverlo. Sto cercando pian piano di tornare alla vita normale, ma non è facile quando sei stato vicino a morire. L'importante è poterlo raccontare.
Dopo una lunga battuta d'arresto dovuta ai problemi di salute adesso a quali progetti stai lavorando?
Sarò la protagonista della fiction L'onore e il rispetto, in cui vestirò i panni di una mafiosa semi analfabeta, un'assassina con una menomazione fisica che mi sono divertita molto ad interpretare e poi sarò la diva del muto Alla Nazimova nel mini kolossal su Rodolfo Valentino.
Torniamo a parlare di Il console italiano, stupisce la sua impostazione molto 'internazionale', anche dal punto di vista dello stile...
Antonio Falduto: all'inizio pensavo di proporlo come tv movie alla BBC. Volevo che il film potesse raggiungere un pubblico molto vasto, non a caso ho voluto che la protagonista fosse Giuliana, una delle poche attrici italiane ad avere un pubblico trasversale. Poi abbiamo pensato di lavorare ad un lungometraggio per il cinema. E' normale cercare la mediazione tra autorialità e linguaggio classico. In questo caso l'incontro è avvenuto sul piano squisitamente drammaturgico. Mi piaceva che il personaggio principale scoprisse una realtà a lei sconosciuta e che quel momento desse il 'La' ad una serie di cambiamenti interni, una sorta di maturazione.
Giuliana De Sio: è vero che non sembra un film italiano ed è la sua più grande dote. Ultimamente mi è capitato di vedere delle opere profonde e bellissime come quelle di Haneke ed Audiard. Noi italiani in confronto siamo dei lattanti, abbiamo paura di tutto. Si percepisce nelle nostre pellicole questa difficoltà nel raccontare storie. Al nostro cinema manca l'anima, abbiamo tante maschere e pochi esseri umani.