Si è appena conclusa sulla HBO, dopo 10 episodi, la nuova serie midseason Girls, ideata e prodotta dalla giovanissima Lena Dunham, protagonista principale dello show, già regista a 24 anni di Tiny Furniture, delizioso film indipendente girato con pochi dollari in un loft di Tribeca.
La nuova serie racconta le vicissitudini di quattro ragazze ventenni ed è ambientata a New York, ma nonostante da queste prime righe possa venire spontaneo paragonarla a Gossip Girl, in realtà è quanto di più lontano possa esistere in confronto. Girls si discosta notevolmente dallo show di Josh Schwartz, anzi se vogliamo è letteralmente agli antipodi del serial della CW, sia per quanto riguarda la location e i personaggi, sia per le storie raccontate, decisamente più reali e interessanti rispetto a quelle di Blake Lively e soci.
Girls è l'altra faccia di New York, in tutti i sensi.
Intorno alla protagonista Hanna (la Dunham appunto), aspirante scrittrice goffa e alquanto mascolina anche quando tenta di apparire sexy, ruotano altre tre giovani donne: Marnie (Allison Williams) la coinquilina nonché migliore amica da oltre quindici anni, Jessa (Jemima Kirke) amica d'infanzia giramondo e scapestrata, e Shoshanna (Zosia Mamet), la più timida e infantile del gruppo. Diverse sotto moltissimi aspetti, ma incredibilmente simili sotto altri, le quattro ragazze si confrontano e incoraggiano di fronte a problemi affettivi e familiari, come in ogni dramedy che si rispetti. Nel corso della prima stagione, si passa da episodi più leggeri ad altri invece incentrati su temi scottanti, come malattie sessuali, piccole perversioni, tradimenti e crisi d'identità. Molti i pareri discordanti su Girls: c'è chi ha definito la serie "l'anti Sex and the City", chi invece ha parlato delle protagoniste come se fossero le eredi di Carrie & Co, e in entrambi i casi l'impressione sembra errata. Esattamente come Lost, lo show con la Parker non ha bisogno, né mai lo avrà, di un erede, sia perché ha lasciato un segno indelebile nel panorama televisivo della "golden age della TV", sia perché i tempi sono cambiati e molte cose, oggi, non sarebbero neanche più al passo coi tempi. E questo è esattamente il motivo per cui la nuova serie HBO non rappresenta neanche l'anti Sex and the City: è una serie a sé stante, con una propria identità e un potenziale tale da renderla indipendente e non per forza legata a stereotipi o a prodotti televisivi precedenti. Le protagoniste twittano i loro pensieri, passano pomeriggi su Facebook, accettano uno stage pur sapendo che non le porterà lontano. E anche il sesso c'è, ma è ben diverso da quello acrobatico e passionale che fa Samantha: è crudo, "impacciato", a volte timido, totalmente in linea con l'età e l'esperienza delle protagoniste. E al posto delle Manolo Blahnik e delle Vuitton, ci sono sneakers e jeans impataccati, ma anche outift vagamente hippie, acconciature improbabili e accessori da mercatino.
Nel corso di questa prima stagione, impariamo a conoscere le quattro ragazze al centro del plot, e nonostante l'attenzione sia rivolta principalmente ad Hanna, le altre tre non vengono di certo trascurate. In poche puntate abbiamo visto Marnie trasformarsi da una ragazzetta riflessiva e diligente in una donna istintiva e passionale, e Jessa metter da parte il suo atteggiamento da lolita impertinente per sposare un uomo conosciuto due settimane prima e sfidare la sorte. Nell'arco di questi episodi Shoshanna è riuscita a superare alcuni blocchi emotivi che le impedivano di vivere liberamente la sua sessualità, e Marnie stessa ha trovato il coraggio di stravolgere la sua vita, professionale e sentimentale. Quattro ragazze coraggiose e temerarie, piene di difetti come qualsiasi altro essere umano, ma caparbie e tenaci, disposte a lottare per vedere realizzare i propri sogni. In alcuni momenti, la sfacciataggine della serie si è imposta prepotentemente, lasciando in più di un'occasione lo spettatore interdetto e a bocca aperta: alcune scene esplicite, però, sono servite a rimarcare ancora una volta l'autenticità che la Dunham cerca di dare alle storie che racconta, senza filtri, né peli sulla lingua, né tantomeno mezze misure.
La serie della HBO prova a portare la realtà sul piccolo schermo, a volte con prepotenza, altre volte con fragilità, rivolgendosi a un pubblico che è molto più simile alle protagoniste di quanto non creda: quei twenty-something smarriti, confusi, vulnerabili, che spesso, come la protagonista al termine della prima stagione, si fermano a chiedersi "Where am I?", "Dove sono?".
Se siete a caccia dell'ennesima serie ambientata a NY, tutta glitter e lustrini, allora è meglio rivolgersi ad altro. Se invece cercate qualcosa di maggior spessore, beh, lo avete trovato. Girls non mette in scena la perfezione, tutt'altro, ma va apprezzato proprio perché è vero, più di molti altri: è un'altra New York quella che ci viene mostrata, ma anche questo ha il suo fascino, provare per credere.