Anche per Giovanni Vernia, conosciuto dal grande pubblico televisivo come Jonny Groove, è venuto il momento di debuttare al cinema con un film, Ti stimo fratello, diretto a quattro mani con l'autore Paolo Uzzi, che canta le gesta surreali di questo personaggio così particolare, nato per deliziare la platea di Zelig a forza di tormentoni e sguardi stralunati. Un eroe che non fa dell'acume un punto di forza, che indossa inguardabili pantaloni maculati ed è felice solo su una pista da ballo e sotto i riflettori di una discoteca. L'esperimento cinematografico, voluto e sostenuto dalla Colorado Film, Bananas e da Warner Bros che lo distribuirà in 430 copie a partire dal prossimo 9 marzo, fa perno dunque su una storia semplice, costruita su misura per Vernia, qui alle prese con il doppio ruolo di Jonny, 'cubista' obbligato a sostenere l'esame orale per entrare nella Guardia di Finanza dal padre, finanziere col gusto dei regali costosi (il brillante Maurizio Micheli si diverte ad elargire al professore di turno falsi Rolex sequestrati) e del gemello Giovanni, morigerato ingegnere elettronico, fresco di fidanzamento con l'insopportabile Federica (Susy Laude), chiaramente a disagio al cospetto di un parente così ingombrante. Quel fratello tanto strano gli farà aprire gli occhi sui sentimenti provati verso la dolce Alice (Stella Egitto), spingendolo a mollare tutto per inseguire l'amore. A Jonny, infatuato della stessa Alice, non resterà che consolarsi con l'amicizia di tre drag queen. Perfettamente a proprio agio in giacca e cravatta (ma con i jeans e le sneakers) Giovanni Vernia ci ha accolti questa mattina con un gran sorriso e della prima esperienza al cinema ci ha parlato senza pudori, svelandoci qualche piccolo segreto di un'avventura artistica che ha dell'incredibile.
Giovanni, sei l'ultimo di una larghissima schiera di comici che da Zelig hanno fatto il grande salto al cinema, ci racconti come stai vivendo questo momento della tua carriera e come hai 'progettato' il debutto sul grande schermo?
Beh, il salto è grande non posso negarlo, ma ha avuto il privilegio di farlo con il sostegno di produttori che mi hanno dato fiducia. Già dopo il primo anno di Zelig e soprattutto dopo il grande successo del film di Checco Zalone, in tanti si erano fatti avanti con l'idea di produrre un film dedicato a Jonny Groove. C'era però qualcosa che non mi convinceva troppo nei copioni che mi proponevano, perché il personaggio di Jonny veniva un po' buttato via e non volevo che al cinema si replicassero i quattro minuti di sketch che facevo normalmente in televisione. Nonostante la grande sensibilità che da genovese ho per il denaro, ho rifiutato quelle proposte e assieme a Paolo Uzzi abbiamo deciso di scriverlo noi il film. I produttori ci hanno dato il La, noi abbiamo costruito il background di Jonny, cercando di far capire al pubblico perché fosse così appassionato di discoteca e tentando di farlo vedere anche al di fuori delle sue vesti di personaggio.
Dal momento in cui avete deciso di scrivere il film, come siete riusciti a rimpolpare la struttura?
Mettendoci la mia vita! Ho ripensato ai momenti in cui mio padre, maresciallo della Guardia di Finanza di Gioia del Colle mi metteva in imbarazzo, dandomi puntualmente i calendari artistici delle Fiamme Gialle da regalare ai professori. Per il film volevamo qualcosa di più specifico e allora abbiamo inventato la storia dei finti Rolex sequestrati.
Ma non gli darei questo significato profondo, il tema lo affrontiamo con leggerezza, con ironia. Abbiamo solo avuto fortuna con l'arrivo di Monti.
Per tornare all'aspetto biografico del tuo film, va detto che tu sei davvero un ingegnere elettronico...
L'ho fatto per undici anni e ho continuato a farlo per un anno e mezzo anche mentre facevo Zelig. Mi prendevano per matto perché nelle prove tra uno sketch e l'altro mi mettevo in camerino a lavorare con il computer. Ero il responsabile italiano di un'azienda americana con sede a Portland e con varie ramificazioni in Europa. Dovevo occuparmi di grossi clienti e quindi non potevo perdere tempo. Un giorno, mentre ero in conference call con gli Stati Uniti, l'orchestra di Roy Paci ha iniziato a intonare Toda Joia, toda beleza e ho capito che qualcosa non quadrava.
E qual è stata la tua mossa successiva?
Sono riuscito a prendere una decisione grazie a mia moglie, che io paragono ad Adriana di Rocky. Avevo scritto uno spettacolo teatrale che mettevo in scena solo nel fine settimana, ma il mio manager mi aveva spiegato che le richieste erano davvero tantissime, invitandomi a prendere seriamente in considerazione l'ipotesi di fare solo l'attore. Per me è stata davvero una mazzata, perché per la prima volta nella mia vita ero costretto a fare una scelta e dovevo dimostrare di avere gli attributi. Passai un week end di inferno a pensare e a riflettere, ma quando ne parlai con mia moglie lei mi disse che dovevo essere contento dell'opportunità e che avrei dovuto farmi onore. Così ho scritto agli americani e mi sono dimesso, lasciando tutto, il contratto a tempo indeterminato, il telefono aziendale, la macchina. Loro ci sono rimasti molto male perché grazie al mio successo in tv ero riuscito a gestire il 130% del target, ma alla fine è andato tutto bene.
Ed è arrivata anche l'avventura al cinema. Il set era esattamente come te lo aspettavi? Qual è stata la cosa più difficile nel dirigere il film?
Io non volevo affatto dirigere il film, so bene che un regista deve avere una sua professionalità e con la produzione abbiamo anche contattato altri autori.
Ad esempio?
Non dovrei fare i nomi, ma abbiamo sentito Giulio Manfredonia e Luis Prieto.
Ma qualcosa non ha funzionato...
Si divertivano molto a leggere il copione, ma ero io ad aver paura che qualcosa venisse modificato e dopo tante riunioni la produzione ha deciso di affidare a me e a Paolo Uzzi questo compito, affidandoci un'equipe tecnica di primo livello. Le inquadrature quindi sono state tutte strutturate sotto la supervisione del direttore della fotografia Federico Masiero, che è stato straordinario, ma avevo idee precise su tutta la parte ambientata nella discoteca, sui costumi e in particolare su quelli delle Drag Queen.
Dal fatto che sono un fan accanito della discoteca, lo sono sempre stato, altrimenti un personaggio come Jonny non sarebbe mai potuto nascere. Ho frequentato Ibiza durante le vacanze, ho ascoltato tutta la musica house degli anni '90. Con i miei amici avevamo un chiodo fisso, quello di rimorchiare le ragazze e allora andavamo a ballare lampadati e profumati per lo scopo. E siccome sapevo anche ballare molto bene e quando andavo in pista attiravo l'attenzione, riuscivamo piuttosto bene nel nostro intento. Oddio, a volte mi scambiavano per un gay a causa delle mie movenze, ma centravamo il bersaglio. Tutto questo bagaglio di esperienze le ho messe nel personaggio di Jonny. A scuola di recitazione la prima cosa che ti dicono è che bisogna fare ciò che ti diverte e quello era ciò che mi divertiva. Ho indossato una maglietta attillata, dei pantaloni bianchi e la gente ha cominciato a ridere.
Com'è nato Jonny Groove?
In principio doveva essere un bullo da discoteca, uno che faceva le risse ma non riuscivo a trovare una battuta che facesse divertire il pubblico. Poi un giorno, tornando da lavoro e correndo nel posto dove si tenevano le lezioni di recitazione, mi cambio al volo, salgo sul palco e mi dimentico completamente di quello che avevo scritto. In un primo momento resto come un salame, poi inizio a ballonzolare e rivolgendomi ad una ragazza in prima fila, faccio quello che sarebbe diventato lo sguardo sensuale di Jonny. Hanno riso tutti e allora ho capito che dovevo essere scemo e non bullo.
E quando è nata invece la passione della recitazione?
Da bambino. Ero un tipo taciturno ma osservatore e vivere in una tipica famiglia del Sud ti dà tanti spunti. Alcuni parenti erano delle macchiette vere, come mio zio Eugenio. Ho parlato come lui per tre giorni di fila, fino a quando i miei genitori non hanno deciso di chiamare il medico. 'Febbre non ne ha - gli hanno detto - ma è diventato matto'. Mentre il dottore mi visitava papà e mamma erano in trepidazione, esattamente come nella scena di un film. Arrivò il verdetto. 'Suo figlio è solo un cretino', disse il medico e con uno scappellotto mi ha fatto uscire dal personaggio. Ma la passione è rimasta. Anche al lavoro mi divertivo ad imitare i manager e così a fine turno si creava un vero teatrino.
Cosa ti aspetti dalla tua carriera cinematografica?
Non so, dipende dal successo del film, ma io sento sempre il desiderio di andare oltre. L'egocentrismo del comico ha livelli che voi non conoscete e sono già in ansia perché temo che il pubblico possa non ridere alle battute che io reputavo divertenti, per questo non andrò mai in sala a vedere il film. Sul palco è diverso perché se sento la platea fredda, posso inventarmi qualcosa. Speriamo che il film vada bene per farne un altro o per andare in tour.
Un'ultima domanda, ma odi davvero la musica latino americana, al pari di Jonny?
(con la voce di Jonny Groove) Eh no, fratella, ho visto gente morire in mezzo ai balli di gruppo!