Non c'è Festival di Cannes dove i fratelli belgi, Jean-Pierre e Luc Dardenne non lascino il segno con il loro cinema del crudo e compassionevole reale e non vincano premi. Non ha fatto eccezione dunque neanche l'edizione 78, dove con Giovani Madri, si sono portati a casa il premio per la miglior sceneggiatura.
In sala grazie alla collaborazione tra Lucky Red e Bim Distribuzione, Giovani Madri si distingue dalle precedenti opere del duo, poiché racconto corale e non focalizzato su di un solo protagonista.
I Dardenne infatti, con il loro stile inconfondibile, che sta vicino ai loro personaggi, senza mollarli un attimo, senza invadenza ma con la capacità di stare in ogni dettaglio, osservano ben cinque giovani donne, ragazze appena adolescenti, già madri, ospiti di una casa famiglia e intente a cercare di imparare ad essere genitrici o comprendere se quella sia davvero la loro strada.
A 74 e 71 anni, rispettivamente, Jean-Pierre e Luc Dardenne, con alle spalle quasi 40 anni i carriera, continuano a rimettersi in gioco e descrivono, durante il nostro incontro, a Roma, in occasione della promozione del film in Italia, la sfida del realizzare un film "di gruppo": "Il problema dell'avere cinque personaggi era scivolare dall'una all'altra e costruire qualcosa che fosse fluido, un po' come la vita, la vita di questi bambini, di queste giovani madri. Ecco, qualcosa che fosse un po' invisibile, un po' impalpabile ma che rappresentasse la vibrazione che si sente quando si vede il film."
Intervista a Jean-Pierre e Luc Dardenne
Un racconto corale come omaggio ai personaggi dei vostri film precedenti, tanti dei quali ricordano le ragazze di Giovani Madri?
Jean-Pierre: No, in realtà non era questo l'intento ma è vero che ci sono delle similitudini con alcuni dei personaggi dei nostri film precedenti. Questa struttura del film, che è effettivamente corale, ci è venuta in mente dal fatto durante la visita che avevamo fatto a questa casa famiglia con lo scopo di per realizzare un altro film, un'altra sceneggiatura. Siamo rimasti così colpiti da quella realtà e queste persone che erano lì che ci siamo decisi a fare un film di gruppo malgrado si tratti di un gruppo composto di solitudini, in realtà. Passiamo dall'una all'altra nel film ma ognuna doveva avere il suo percorso per arrivare a una certa luce, un'apertura verso qualcosa di più felice del destino che hanno conosciuto durante il film. E abbiamo costruito tutto in modo da lasciare aperte le possibilità senza blocchi in modo che la storia non si smarrisse, facendo attenzione a non far sparire il personaggio a favore della sceneggiatura e della struttura del film.
Essere madri senza essere state figlie
È doloroso guardare a queste storie e constatare che queste ragazze, nella maggior parte dei casi vogliono essere madri, anche se poi a loro non è mai stato permesso di essere figlie. Avete voluto raccontare anche questo?
Luc: Mi auguro che non sia soltanto doloroso. Quello che volevamo raccontare era come queste cinque ragazze sono effettivamente diventate madri ma al tempo stesso sono rimaste bambine, Sono state private dell'infanzia perché la loro storia è legata al loro passato e si intreccia essenzialmente con quella delle loro madri o delle loro nonne. Il film racconta come ciascuna di queste ragazze cercherà di liberarsi da questo. E liberarsi vuol dire riuscire a occuparsi del proprio bambino, andare a scuola, trovare un lavoro oppure, come una di loro sceglie di fare, non tenere il proprio bambino, darlo in adozione, poiché tenerlo, vorrebbe dire ripetere la storia sua, di sua madre e di sua nonna. Dunque è questo che noi abbiamo cercato di mostrare, come grazie al luogo in cui vivono, grazie al sostegno di tutte queste educatrici che sono intorno a loro, queste ragazze riusciranno a farcela.
Vecchie e nuove generazioni di giovani
Spesso, nel vostro cinema, avete raccontato le giovani e i giovani. Come stanno cambiando i ragazzi in questi anni? e che generazione è questa che raccontate?
Jean-Pierre: È vero che spesso i nostri protagonisti sono stati spesso dei giovani e credo sia perché speriamo che siano detentori di un cambiamento possibile nella loro storia di vita, e che ci siano ancora possibilità inesplorate. Allo stesso tempo non so dire, oggettivamente, in cosa siano cambiati. L'unica cosa che ho notato è che, da quando abbiamo realizzato La Promesse, 30 anni fa, i giovani oggi sono soli mentre prima forse potevano contare sul passaggio di tradizioni, da una generazione all'altra, di una tradizione operaia, di solidarietà, di aiuto reciproco, legato al movimento operaio e invece oggi... ognuno è solo e ciascuno deve trovare da solo i propri valori, il proprio cammino, il proprio "universale", se posso dire. È questo che speriamo perché, in alternativa, uno può anche semplicemente trovare il cinismo, come approfittare degli altri e arrangiarsi per trarne il massimo. Sfortunatamente questa è un po' una mentalità che oggi dilaga: approfitta di tutto ciò che puoi, per soddisfare il tuo piacere personale. Ecco, è terribile ma è così.
Qual è il ruolo del vostro cinema e di questo film, in questa analisi sulle nuove generazioni?
Jean-Pierre: Ciò che cerchiamo di fare con i nostri personaggi è mostrare che si può non essere cinici, non pensare solo a sé e non disprezzare l'altro. Al contrario, si può trovare un rapporto di amicizia, d'amore, di responsabilità nei confronti degli altri. È questo che cerchiamo di filmare, non dico che sia la realtà ma ciò che filmiamo fa parte, anche, della realtà. E la cultura è lì per cercare anche di educare, di distrarre anche... Ma, allo stesso tempo, ecco, dare un'altra speranza alla vita più che al profitto.