E' abituato alle grandi imprese Giorgio Diritti; bolognese, classe 1959, ha diretto solo tre lungometraggi nella sua carriera, eppure con ognuno di questi è riuscito a rivelare talento e originalità registica. Il vento fa il suo giro, pellicola del 2005 girata in occitano e ambientata in una comunità montana del Cuneese, è diventata un caso internazionale, mentre L'uomo che verrà, l'opera della consacrazione, struggente racconto della strage di Marzabotto, vista dagli occhi di una bambina, è stato premiato al Festival di Roma nel 2009, e con tre David di Donatello, tra cui quello per miglior Film, e tre Nastri d'Argento. L'ultimo exploit in ordine di tempo si è realizzato grazie al nuovo lavoro, Un giorno devi andare, in uscita il prossimo 28 marzo, grazie BIM che distribuisce in un centinaio di copie; presentato lo scorso gennaio al Sundance Film Festival, con recensioni lusinghiere su Variety e Hollywood Reporter, il film racconta la storia di una giovane donna, Jasmine Trinca, che decide di andare in Brasile al seguito di un'amica missionaria, per superare il dolore legato alla perdita del figlio che aspettava e alla successiva sterilità. Tra le favelas di Manaus e il Rio delle Amazzoni, a contatto con una comunità di persone povere, ma non per questo meno vitali, ritrova la possibilità di provare ancora dei sentimenti. Abbiamo incontrato regista e cast questa mattina a Roma e ci hanno parlato della straordinaria esperienza vissuta tra le popolazioni di indios brasiliani.
Diritti, qual è stata l'esigenza che l'ha spinta a girare il film? Giorgio Diritti: Volevo cogliere l'occasione del viaggio per spingere gli spettatori a fare un percorso al fianco di Augusta, quel percorso che la spinge a scoprire le cose, le emozioni interiori. E' stata anche un'occasione per confrontarsi con quelle cose che definisci le priorità. Il cuore di questo film è forse il desiderio di essere felici o di vivere meglio. Anni di consumismo e di promesse ci hanno portato sì ad un'evoluzione tecnologica e sociale, ma anche ad un senso di oppressione, pesantezza, angoscia. Non bisogna per forza andare in Brasile per scoprire questa cosa, anche camminando per Roma o per Fregene si può realizzare questa scoperta, ossia vedere le cose in modo diverso, farsi travolgere dalla risata di un bambino che corre verso di te.Ha per lei un valore particolare il fatto che a essere portatrice di questo messaggio di profonda trasformazione interiore sia una donna?
Già nel film precedente, L'uomo che verrà, c'era una dimensione femminile molto forte. Purtroppo la storia ci racconta di uomini orgogliosi, potenti, importanti, ma che spesso si comportati mani nei confronti della società; la donna invece è tutela della vita, anzi è il tempio della vita e per sua natura è accogliente. Lo sguardo delle donne ha un senso di apertura e fiducia nel mondo, la sensibilità femminile è preziosa in ogni ambito. Nelle donne sento una capacità di rapportarsi alle cose della vita con accoglienza.
Cosa hai portato di te nel personaggio di Augusta?
Nella scena in cui gioco con il bimbo sulla spiaggia, non sapendo parlare in portoghese, ho portato il codice che uso con mia figlia quando stiamo insieme, qualcosa che va oltre la parola è che funziona in ogni paese del mondo.
Chi è Augusta?
E' una donna che fugge dalle proprie certezze, da casa sua, da una famiglia femminile, una persona che trasforma il suo dolore in un interruttore, che trova nella disperazione una strada e che, a dispetto del fatto di non poter più avere figli, e si rigenera e fiorisce. Perché in fondo riesce ad essere madre anche con le altre persone ed è bello che a incarnare tutto ciò sia una donna.
Qual è il vostro rapporto con la religione?
Giorgio Diritti: Sono cresciuto in una famiglia cattolica, ma adesso mi sono distanziato dalla Chiesa. Eppure sono affascinato dal cristianesimo. La prima volta che sono andato in Amazzonia per girare una serie di documentari, avevo da poco perso mia madre ed essere lì dopo un dolore così forte è stata una traccia emotiva intensa. Nel processo di scrittura del film, però, non ho calcato la mano più di tanto. Certi elementi come il bene che è condivisione della comunità, o la semplicità di un bimbo che corre e sorride, possono essere un dono di Dio o del caso, ma l'emozione è il respiro della vita. Forse se ci liberassimo della testa e vivessimo un po' più di pancia certe cose le sentiremmo di più.
Jasmine Trinca: Non ho avuto un'educazione religiosa. Il caso ha voluto che anche io sia partita per l'Amazzonia dopo un lutto importante. Non ho usato il viaggio per superare il dolore, ma mi è servito a comprendere un po' di più la persona che sono. Quei luoghi sono il centro del mondo, quella è una natura a cui apparteniamo tutti e stare là non ha a che vedere con il turismo, ma con lo stare in una realtà profonda. Avevo così tanto tempo per pensare che ad un certo punto non ne potevo più. Siamo continuamente bombardati da stimoli e quando cessano sei costretta ad ascoltare te stessa.